lunedì 25 marzo 2013

THE GARDEN HOUSE



un racconto di Silva Golin
parte sesta

Con il cellulare sempre acceso e gli operai in casa Fenella non ebbe più pace. Le decisioni, tutte importanti da prendere, erano milioni e lei era sull'orlo dell'esaurimento nervoso. Maurizio era più abituato a questa pressione, le telefonava a qualsiasi ora, senza neanche salutarla le faceva domande di ogni tipo, sui colori, le piastrelle, il ripiano della cucina, i sanitari, vasca o doccia, ampiezza delle finestre. E inoltre continuava a rimuginare perchè non metteva mai in moto la macchina del nonno, si sarebbe rovinata, avrebbe fatto la ruggine. La casa sembrava un campo di battaglia, ogni volta che Fenella tornava dal lavoro si chiedeva quale pezzo non avrebbe trovato.
Passò l'estate, e arrivò settembre, la casa sembrava a buon punto, mancava davvero poco. Era bellissima. Come un sogno che diventa realtà. Fenella si chiedeva se da lassù il nonno la giudicasse male, oppure se era felice di tutti i cambiamenti apportati, forse se non è d’accordo me lo farà capire, comincerò a sentire la sua voce che mi chiama la notte o la sua presenza con quadri che cadono da soli o la radio che esplode.
“Signorina, farà una bella festa quando sarà finita” Le aveva detto un operaio. Una festa? Che idea splendida, ma gli amici di Fenella erano davvero pochi e i parenti ancora meno. Sarebbe stato molto deprimente fare un bilancio delle proprie conoscenze e scoprire che erano così limitate. Sua sorella era molto più socievole ed espansiva. Se almeno avesse avuto dei vicini o dei compagni di scuola simpatici. Invece non c'era nessuno in particolare, tranne qualche cliente del negozio, ma era un rapporto diverso. Forse era l'insicurezza che la bloccava, forse la rigida educazione che aveva ricevuto e forse era anche noiosa e acida come una zitella, avrebbe dovuto comprarsi un abito rosso e invitare gente a casa, per una festa, e avrebbe brindato alla nuova vita. O forse per lei era più giusto una cena, una cena intima con le persone che l'avevano sostenuta e avevano creduto nelle sue idee così particolari.
Mentalmente cominciò a fare un elenco. Beh sua sorella, la signorina Annamaria, l'architetto Magnabosco, il capo del cantiere, il suo aiuto giardiniere, e anche Maurizio, naturalmente, e questo le fece correre un brivido lungo la schiena. Questo era il momento di sapere se era fidanzato, perchè Fenella avrebbe dovuto chiedere agli invitati di portare le mogli. Da molte settimane si chiedeva se lui volesse parlarle proprio di questo, ma Fenella aveva sempre cercato di soprassedere all'argomento con qualche scusa.
Con l'aiuto di Alina, che era venuta a passare qualche giorno alla casetta, iniziarono i preparativi. Per prima cosa furono invitati con un simpatico biglietto i partecipanti, poi fu deciso il menù, molto informale, una serie di piatti semplici, per un buffet in giardino, che era rigoglioso di frutti e colori, le fronde del salice toccavano terra. Per l'occasione Fenella aveva predisposto candele e torce. L'invito che doveva ancora spedire era quello di Maurizio, perchè non conosceva il suo indirizzo. Per fortuna una mattina aprendo le imposte lo vide risalire il sentiero, era imbronciato, camminava con lo sguardo fisso a terra, la campanella squillò e Fenella aprì la porta in pigiama lilla, con una leggera sciarpa avvolta sulle spalle e gli occhi penosamente appiccicati e i capelli scomposti. Era molto imbarazzata dal suo aspetto, e da quello che lui avrebbe pensato, ma l'ora era insolita.
“Buongiorno”
“Ciao, scusa per l'ora ma ieri l'architetto mi ha riferito che domenica sera è a casa tua per una festa, una specie di inaugurazione, è vero?”
“Per l'appunto io volevo invitarti, ma non conoscevo il tuo indirizzo.”
“E non potevi chiamarmi? Ah, ma già, tu mai una volta ti sei degnata di telefonarmi, perchè? Oppure vuoi escludermi di proposito“ le afferrò entrambi i polsi e la stretta sembrava d'acciaio “non mi vuoi alla tua festa, hai paura che ti metta in imbarazzo, questa stupenda casetta, questo gioiello eco, bio, del picchio l'ho studiato io, l' ho fatta io, io… verrò alla tua cena, sappilo, che tu voglia o no.”
“Ma io lo voglio, anzi se vuoi venire con qualcuno....”
“Sì verrò con il mio ego ferito, i miei dispiaceri e naturalmente con una pianta in vaso per la padrona di casa, che sono certa non gradirebbe un mazzo di fiori recisi!”
E con questo mollò bruscamente il polsi di Fenella girò sui tacchi e andò via.
Lei ebbe la sensazione di averlo offeso e ferito, capiva il suo punto di vista e se ne doleva. Ma ormai la sua timidezza e sbadataggine avevano fatto la frittata, per non parlare il magico incanto che tra loro c'era, e questo forse per sempre.
(CONTINUA)

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