martedì 1 marzo 2011

CARMIGNANO PAESE CHIC


A Carmignano di Brenta si vive bene, si respira aria pulita e profumo di natura... Fin qui nulla
di nuovo, ma ecco lo “scoop”: Carmignano è un paese “chic”.
Questo è quanto si evince da una ricerca effettuata dall’ I.L.S.S. (Istituto Locale di Statistica Soggettiva, con sede in località Boschi), e condotta dal suo presidente, il noto Prof. Turchelli, laureato a pieni voti presso l’Università “CEPPU” di Camazzole.
Dall’indagine, infatti, è emerso che Carmignano ha raggiunto il “livello medio più alto di chic-cheria” tra i comuni della provincia di Padova con un numero di abitanti inferiore o uguale a 7.586.
L’ennesima vittoria sugli eterni rivali, in particolare sui comuni di San Pietro in Gu’ e di Grantorto, classificati rispettivamente al secondo e al terzo posto.
I dati raccolti ed elaborati sono stati calcolati su un campione rappresentativo di 17 persone (all’ I.L.S.S. non sono scaramantici, ci spiega il Prof. Turchelli, “Non ci spaventa nemmeno il fatto che spesso, alle cene, ci sediamo a tavola in tredici!”).
Per comprendere meglio il valore della ricerca, l’ I.L.S.S. ci ha permesso di pubblicare i principali indicatori che sono stati presi in considerazione per determinare il “livello di chic-cheria” di un paese:
- il numero delle banche presenti sul territorio comunale;
- il numero dei bar presenti sul territorio comunale;
- il numero dei parrucchieri e delle parrucchiere;
- il numero dei centri estetici;
- il numero delle rotonde;
- il numero dei SUV parcheggiati male negli orari di punta;
- il numero dei distributori automatici di latte fresco;
- il numero delle macellerie diviso per il tempo medio di attesa necessario per ordinare 7 costolette, 12 salsicce e 4 petti di pollo (al sabato pomeriggio);
- il numero dei supermercati rapportato al numero degli abitanti che vanno a far la spesa all’ALìPER di Fontaniva/Cittadella;
- il numero degliamanti del vino (residenti);
- il numero degli amanti della birra (residenti);
- il numero delle attività imprenditoriali suddivise per settore;
- il reddito medio dichiarato;
- il reddito medio non dichiarato (il “nero”);
- il debito medio dichiarato;
- il debito medio nondichiarato (valido solo se avallato da strozzini iscritti all’albo);
- la presenza di una piscina (basta ci sia la “prima pietra”);
- la presenza del “polo scolastico” (basta ci sia la “prima pietra”);
- la presenza di un “poli-ambulatorio” (non vale se c’è solo la “prima pietra”);
- la durata media delle ferie, moltiplicato per “pigreco” e sottratto al luogo di villeggiatura scelto (è una nuova formula inventata dai matematici dell’ I.L.S.S. che presto sarà adottata anche dalla U.E.);
- il livello di istruzione del proprio vicino di casa;
- il Q.I. (Quoziente Intellettivo) del proprio vicino di casa;
- il Q.I. percepito del proprio vicino di casa;
- il tempo medio trascorso in piazza durante il “periodo pizza-in-piazza” (nei paesi dove esista);
- il tempo medio trascorso alle sagre (durante le sagre);
- il livello di mobilità sociale;
- il tempo necessario affiché gli scienziati dell’ I.L.S.S. capiscano cos’è la mobilità sociale;
- il valore medio di un immobile all’interno del territorio comunale;
- il tempo necessario affiché gli scienziati dell’ I.L.S.S. si rendano conto che gli immobili non si comprano all’IKEA.
Ringraziamo l’ I.L.S.S. e il Prof. Turchelli per averci concesso in anteprima i risultati di questa straordinaria ricerca che verrà pubblicata ufficialmente il mese prossimo e sarà disponibile presso gli uffici dell’ I.L.S.S. .

UN PAESE A SPICCHI




I quasi 40 anni di pallacanestro a Carmignano

La storia della pallacanestro carmignanese inizia ufficialmente il 28 Ottobre 1972 con l’affiliazione della Polisportiva al CSI di Vicenza. Gli altri sport coinvolti nell’avventura erano la pallavolo, e l’atletica leggera. Questi movimenti sportivi nacquero successivamente alla costruzione del Centro Giovanile parrocchiale che, con una certa lungimiranza, aveva previsto l’acquisizione di abbastanza spazio per  dare modo a tutti questi sport , ed al calcio, di avere un luogo dove venire praticati.
Dal ’79 l’affiliazione del basket diventa federale ed iniziano da allora i campionati ufficiali del movimento.
Facendo conto tondo siamo ad un anno da festeggiare i 40 anni di canestri nel nostro paese, abbiamo così pensato di farci raccontare questa storia da Antonio Verzotto che, anche se per ragioni anagrafiche non può dire di averli vissuti tutti, ha da poco festeggiato i suoi 25 anni di attività tra le panchine biancorosse. 

I primi tempi furono pioneristici, ricorda Antonio, il Palazzetto dei Boschi ancora non c’era, al suo posto una gettata di cemento che fungeva da pista di pattinaggio. Col tempo vennero la copertura, prima, dopo qualche tempo venne chiuso anche dai lati, dopo ancora gli spogliatoi, il campo in linoleum ed alla fine arrivò  il riscaldamento, correva l’anno 1988.
Gli albori furono all’aperto, al Centro Giovanile e non di rado capitava d’inverno di spalare la neve per poter giocare. Fu anche giocato un campionato intero in trasferta per sopperire alla mancanza di una struttura minimamente confortevole. Ma queste sono storie che si vivevano in più di un paese negli anni ‘70, non era prerogativa di Carmignano.
La tua vicenda personale con questo sport come inizia?
Ci avevo giocato a scuola, alle medie, quando un professore appassionato portò ogni sezione a fare la propria squadra e partecipare ai Giochi della Gioventù.
La televisione passava gran poco di basket, appena la differita di qualche spezzone di campionato italiano, c’erano però i giornali e al tempo, erano i primi anni ’70, si prendeva Telecapodistria e qualche canale della Svizzera italiana che passava le partire dei campionati yugoslavi, i maestri europei del basket.
Assieme al mio compagno di scuola Enrico Gori, grandissimo appassionato già in quegli anni, ci avvicinammo a questa disciplina così come un ragazzino si appassiona al calcio attraverso le figurine dei propri campioni.
La Polisportiva quando entra nella tua vita?
Nell’85 Domenico Sartore, all’epoca Presidente, volle rilanciare la pallacanestro e chiamò Paolo Pesavento, professore cittadellese di Educazione Fisica, a gestire un Centro di Minibasket ed io ne divenni dirigente, avevo 21 anni. La prospettiva di stare in panchina, gestire la squadra nello spogliatoio mi conquistò subito. 
Il mio primo campionato giovanile carmignanese fu nel 1986 coi giovani del ’73 e del’74. Con me c’erano anche Francesco Baldo e, con le squadre femminili, Rosanna Sartore e Roberta Biffanti. Enrico Frigo e Domenico Sartore continuavano invece a seguire gli aspetti burocratici e logistici. Ricordo anche i fratelli Rossi, Giovanni e Mauro, ed il mio compagno della prima ora Enrico Gori.
Come sono mutate le difficoltà da allora ad oggi?
All’inizio le strutture erano scarse, ma eravamo pochi e non c’erano da fare grandi manovre per sistemarci negli spazi palestra. Ora gli sport si sono moltiplicati: ginnastica, karate, calcetto oltre a quelli che già c’erano: la struttura oggi c’è, magari da sistemare ma c’è, però ci sono da fare i miracoli per farci stare tutti!
E, se oggi sembra scontato sapere che a Carmignano c’è la possibilità di fare basket, all’epoca c’era da correre per farlo sapere a più persone possibili ed avere un numero di giovani che consentisse di formare una squadra.
Una sorta di professionalizzazione poi c’è stata nel corso di questi 25 anni, siamo diventati più bravi a trattare coi ragazzi sia dal punto di vista sociale che sportivo ma credo sarebbe un guaio se dimenticassimo il gusto che aveva lottare un anno intero per vincere quella sola partita che ci potevamo permettere di vincere nel corso dei primi campionati!
Quali soddisfazioni sportive ricordi con particolare piacere?
Quando eravamo ancora “scarsi” andammo a giocare una partita a Santa Maria di Sala coi ragazzi del 73/74. Per entrambe le squadre era l’unica partita che potevano vincere nel corso dell’anno e l’arbitro non arrivò. Decidemmo di giocare facendo arbitrare gli allenatori delle due squadre con l’esito che ogni allenatore fischiava tirando dalla parte dei propri giocatori: vincemmo una battaglia clamorosa!
Qualche anno più avanti la partita da vincere divenne quella col Camposampiero, mentre con le squadre dei paesi più grandi la lotta era davvero impari. Ora i livelli si sono appiattiti per fortuna delle società più piccole come la nostra.
Le prime soddisfazioni vennero coi ragazzi del ’75. Erano in pochi ma buoni e poi si aggiungeva qualche giovane del ’76. Per due anni consecutivi arrivammo alle final-four provinciali dove però non riuscimmo mai a portare a casa la vittoria a causa della concomitanza con le gite scolastiche che ci portavano via i già pochi ragazzi che avevamo. Ricordo ragazzi come Franco Ferramosca e Franco Bergamin che arrivavano a fare anche 40 punti a testa a partita!
Ricordo anche un incontro di fine anni ’80 a Limena dove ci presentammo in 4, ce ne mancava uno per arrivare ai 5 minimi per giocare. Loro non avevavo ancora vinto una partita in campionato e non vedevano l’ora di approfittare di questa occasione. Decidemmo di giocare in barba al regolamento 5 contro 4. Giocammo con Ferramosca, Bergamin, Bernardi e Pilotto tutta la partita, senza cambi, e vincemmo. Credo che a Limena ancora se la ricordino!
Altre soddisfazioni me le ricordo con la squadra 83/84 dove Mauro Dalla Bona e Mirko Bergamin facevano sfracelli e anche la classe degli ’81 e degli ‘82 se la cavava bene. Ci furono poi degli anni più o meno competitivi, ma all’inizio del nuovo secolo (suona come qualcosa di storico) con Roberto De Rossi abbiamo dato un nuovo slancio all’attività partecipando con i ragazzi a diversi tornei, ospitando formazioni di varie parti d’Italia e creando quindi nuove occasioni di confronto e di crescita che si sono concretizzate in ottimi risultati con le  squadre dei ’90 e dei ‘91 e successivamente dei ’94 con cui vincemmo la prima edizione del Torneo di Marostica, che ora è una manifestazione di grande rilievo.
Come allenatore la soddisfazione più grande è stata invece vincere per due anni il trofeo Città di Padova coi ragazzi del 1993.
E se parliamo di soddisfazioni umane?  
Sono tante e sono nessuna perché in 25 anni ce ne stanno tante e diventa persino difficile ricordarle.
Ho avuto molta soddisfazione da quel gruppo di ex giocatori che si è legato al punto da essere ancora al Palazzetto sentendo il dovere ed il piacere di continuare ad impegnarsi in società come allenatori.
E poi incontro tanti ragazzi divenuti adulti che si ricordano di alcuni episodi divenuti importanti nei loro percorsi di vita.
Quale hai visto essere la crescita nel modo di insegnare il basket in tutto questo tempo?
Lo sport è cambiato, è evoluto ed oggi favorisce l’atletismo sulla tecnica. Un ragazzino basso e rotondetto aveva vita più facile 15 anni fa rispetto ad ora.
I libri del basket invece sono rimasti più o meno quelli, tanti allenatori però privilegiano sempre più il risultato rispetto alla crescita armonica della tecnica con le capacità logiche dei ragazzi.
Queste forzature nell’insegnare letture e visioni di gioco che non si apprendono più attraverso un vissuto ma attraverso dettati, ha portato ad un aumento dei giovani che abbandonano lo sport prima dei 18 anni perché stanchi e privi di stimoli, e ad una crisi generale del movimento italiano registrabile coi scarsi risultati delle nostre squadre di club e nazionali.     
E come sono cambiati i ragazzi che vengono in palestra oggi da quelli che ci venivano negli anni ’80?
Erano più curiosi i giovani degli anni ’80. Era uno sport nuovo, da scoprire. Ora si aspettano principalmente di giocare ed hanno minor fame di apprendere. E poi i genitori sono molto più esigenti verso i propri figli, verso l’allenatore e verso la società, probabilmente perché arrivando a conoscere di più lo sport ci si sente anche più legittimati a commentarlo.
Quale augurio ti senti di fare al movimento all’alba dei suoi 40 anni di attività?
Che la struttura regga se qualcuno di quelli che tira la carretta adesso volesse farsi un po’ da parte. Che ci siano insomma, in futuro, delle persone che si facciano carico dell’impegno e della cura che serve per portare avanti un movimento come questo.
Ma sono ottimista, le troveremo!

L'EDITORIALE

Vettura "di cortesia"

Il “Babao” è quella figura  mostruosa che i genitori usano dalla notte dei tempi per mettere in soggezione i propri figli di fronte a situazioni di pericolo che non riescono ancora a percepire del tutto.
L’efficacia  del metodo deve avere convinto  alcuni esperti di marketing politico ad impiegare tale meccanismo anche con gli adulti, i risultati di questa applicazione sono facilmente visibili nelle cronache territoriali di questi ultimi tempi.
Nel paese di Cittadella, in particolare, tale metodo è usato con regolarità da qualche anno dall’attuale Sindaco e Parlamentare della Repubblica Massimo Bitonci, divenuto professionista del metodo “Babao” attraverso le continue messe in guardia del popolo votante sul pericolo di venire culturalmente colonizzato dagli immigrati di religione diversa da quella cattolica.
Le voci sull’incisività dell’azione devono essere arrivate anche a Grantorto, dove il Sindaco in carica Sergio Acqua, sentendo arrivare la stagione delle elezioni primaverili, sembra avere raccolto l’esempio del collega d’oltrebrenta, pensando bene di mettersi a raccogliere firme contro la richiesta della comunità musulmana di avere uno spazio dove poter pregare assieme.
I nostri amici grantortesi hanno così iniziato ad avvistare il “Babao” percependo così il pericolo imminente e firmando numerosi per mettere al sicuro la propria identità religiosa dall’invasione culturale islamica.
Il metodo deve essere sembrato quindi maturo per essere esportato, tanto che l’Onorevole Bitonci, autoproclamatosi paladino del “Babao”, ha deciso di portare avanti la propria campagna per tutto il territorio dell’Alta Padovana.
In tutto questo si ergono fortunatamente le mature voci di chi sembra aver sorpassato la necessità di percepire i pericoli attraverso la creazione di fantasiosi mostri di paura e ci piace segnalare tra queste quelle dell’Amministrazione comunale di Carmignano e del gruppo consiliare di minoranza di Insieme per Carmignano.
A noi che scriviamo preme invece dare spazio alla convinzione che per difendere una cultura sia del tutto pretestuoso ostacolare quelle differenti, una filosofia di questo tipo non potrà che essere perdente ed ammettere, di fronte alla storia, quanto sia povero l’animo di chi ne fa un mezzo per raggiungere propri fini personali.
Da un punto di vista più pratico non è poi secondario considerare come professare i propri credi alla luce del sole, tenendo le porte aperte a chi è curioso di conoscerli, sia anche funzionale ad allontanare i pericoli connessi alla clandestinità delle fedi ed al rischio potenziale di essere lasciate nelle mani di chi può, a proprio piacimento, creare i “Babao” che più gli fanno comodo.