lunedì 4 luglio 2011

LE VACANZE DEL CARMIGNANESE


Un duro lavoro di pianificazione e di negoziazione

Lavoro, lavoro e ancora lavoro.
Passiamo la maggior parte delle ore della nostra vita a lavorare. Le altre le passiamo ad arrabbiarci per motivi legati al lavoro: stipendio, carriera, crisi, colleghi, ferie,...
Ferie. Eh già. Anche le ferie sono la causa di molte discussioni al lavoro (ci vai prima tu, ci vado io, io voglio la settimana di ferragosto, no: dobbiamo darci il cambio perché l’azienda resta aperta e l’anno scorso a ferragosto ci sei andato tu, quindi quest’anno ci vado io...); e di molte discussioni in famiglia: decidere la meta non è mai cosa semplice.

Metà giugno, pizza-in-piazza a Carmignano. Riporto il dialogo tra una coppia di miei amici (conviventi e senza figli), che stavano decidendo dove andare in vacanza (e che ringrazio dal momento che mi hanno permesso di pubblicare quel che segue, seppur in forma anonima).

LEI: Dove andiamo in vacanza? Stavolta decidi tu, amore, sennò decido sempre io!
LUI: Beh, lo sai, io andrei in montagna, in un posto tranquillo, rilassante, fresco... a camminare nel bosco, a stretto contatto con la natura...
LEI: Mmmm... in montagna però ci si annoia... io preferirei andare al mare, in villaggio, magari in un’isola della Grecia, che ne dici,“cetriolino”?
LUI: Mah... se dovessi decidere io...
LEI: E poi al mare andiamo in disco, balliamo, conosciamo altra gente, facciamo festa, beviamo un buon mojito seduti in spiaggia, la sera, con quella brezzolina fantastica...
LUI: Beh... io... veramente...
LEI: Creta! La terza settimana di agosto! Partiamo dall’aeroporto di Verona, è comodo, ci porta mio fratello, mi son già messa d’accordo... anzi, qui in borsa ho il depliant del villaggio turistico, animazione “energy”... aspetta, guarda, son passata oggi in agenzia...
Dal depliant scivola fuori qualcosa...
Lui, sospettoso, raccoglie quei foglietti...
LUI (sorpreso): Ma... questi sono i biglietti... non avrai mica già prenotato?!?
LEI (con un sorriso lo abbraccia): Sapevo che saresti stato d’accordo, amore! Ti amo!
Bacio
LUI (disorientato):...
LEI: Ahn, volevo dirti che ho dovuto usare il tuo bancomat per prenotare, perché avevo speso tutti i miei soldi per comprare un paio di cose, tra cui il telo da spiaggia di Louis Vuitton... pensa l’ho trovato in offerta a Padova solo a 179,90 euro! Un affare!
LUI: Sì, un affare per Louis... Ma la terza settimana di agosto è lontana e qui emerge un grosso problema...
LEI: Ammmore, “cetriolino” mio, però non possiamo mica andare a Creta bianchi come il latte, no...?!?
LUI (irritato): Sì che possiamo, vado al mare per abbronzarmi, no?!? E in montagna per rilassarmi...
LEI (ignorando la provocazione): Cooosaaa?!? Vuoi andare in vacanza, vuoi andare in spiaggia senza avere un po’ di colore?!? Ma gli altri ci prenderanno in giro, che vergogna!
Ma amore, siamo in giugno, da qui ad agosto è lunga... dobbiamo andare qualche domenica al mare, così prendiamo un po’ di colore, no!?! Partiamo la mattina presto presto presto e torniamo la sera, OK?!?
LUI (ironico): ...allora, fammi capire... andiamo a Jesolo per abbronzarci in modo da non andare a Creta bianchi come il latte... ma a Jesolo non ci vorrai mica andare così, senza un minimo di abbronzatura...?!?
LEI (senza cogliere l’ironia): Infatti... vedo che inizi a ragionare... è per questo che oggi ho anche prenotato un ciclo di lampade dall’estetista...
LUI (sempre ironico): Ahh... ecco... volevo ben dire...
LEI: Sì ed ho dovuto usare sempre il tuo bancomat, perché non avevo contanti e c’era l’imperdibile offerta dell’estate: paghi in anticipo e ti regalano anche un set di creme e gli occhiali in carbonio di Lapo Elkann! Pensa solo 1999,90 euro!
LUI (rivolto a me): Vedi Fabio, mai dimenticare il bancomat sopra al comodino...
LEI: Macché comodino! L’avevi lasciato sotto alla piastrella dietro all’asciugatrice, in lavanderia...
Non sai che fatica spostare l’asciugatrice!!! Comunque, dovresti imparare a nasconderlo meglio! I ladri, al giorno d’oggi, son furbi!
LUI (rassegnato): Ecco, hai ragione...
E così iniziano le avventure di una coppia di carmignanesi “pendolari del mare” che sognano le lontane ferie d’agosto e, nel frattempo, per non pensare troppo al lavoro, si dividono tra una pizza-in-piazza e svariate ore di coda sulla Treviso-Mare, in direzione Jesolo

DAL FIUME AL MARE


Abbiamo incontrato Alessandro Rigon, un giovane carmignanese di 25 anni, appena tornato da un anno di volontariato nello Zambia. Abbiamo raccolto le sue impressioni e le sue immagini di un mondo a noi così lontano e sconosciuto, o conosciuto solamente attraverso quello che la tv e i giornali ci mostrano. Qui di seguito l’affascinante chiacchierata fatta assieme.

Da dove è nato il desiderio di fare un’esperienza di volontariato in Africa?
Sinceramente non avevo mai pensato seriamente di andare in Africa a fare volontariato. Finiti gli studi ho fatto vari lavori, poi Angelo Chemello, un mio ex capo scout che da anni lavora come medico in Africa, mi ha consigliato di rivolgermi ai missionari comboniani se volevo tentare un’esperienza diversa; così sono andato da loro, non ancora del tutto convinto di partire, e dopo un periodo di conoscenza di qualche mese mi è stata proposta come meta lo Zambia. Gli accordi erano di restare anche solo un paio di mesi, sarei potuto tornare quando avrei voluto, ma alla fine sono stato via un anno.
Ci dici che cosa facevi all’interno della missione e come è strutturata?
La missione si trova nell’est Zambia, in una zona rurale (la città più vicina dista 120 km) molto estesa (circa 170 km) che si chiama Chikowa. Questa missione è stata fondata negli anni ’40, tuttavia è ancora una zona di prima evangelizzazione di cui comunque si occupano solo i sacerdoti e i brothers (fratelli, una sorta di frati moderni): tanto per intenderci nessuno mi ha chiesto di convertire qualcuno, né tantomeno di andare in chiesa. Io mi occupavo principalmente di lavori di edilizia: dal sistemare le capanne, al fare i tetti delle chiese, a costruire stalle per le capre... facevo comunque un po’ tutto quello di cui c’era bisogno. Con me lavoravano 5-6 ragazzi locali, tutti giovani dai 19 ai 33 anni: lì soldi non ce ne sono, quindi tutti hanno bisogno di lavorare. Attorno alla missione vera e propria (che comprende tra l’altro la scuola, una falegnameria, un’officina, un mulino e un’azienda agricola) si estendono una miriade di villaggi immersi nella foresta. Inoltre nel territorio di Chikowa c’è un grande parco naturale che dà un po’ di lavoro grazie al turismo dei safari.
Com’è la vita delle popolazioni locali?
La maggior parte della gente lavora la terra, coltiva per lo più frumento per fare la polenta (che loro mangiano tre volte al giorno!), mentre solo i più intraprendenti provano la coltivazione del cotone o dei bagigi. Le condizioni di vita sono durissime: si lavora a mano, in condizioni pessime, tra il fango e le zanzare. Durante i mesi delle piogge (da dicembre a marzo) la popolazione si sposta dai villaggi ai campi, vivendo in capanne fatiscenti, isolati a causa delle frequenti esondazioni dei fiumi. La gente dimostra tuttavia un grande spirito di adattamento e di sopravvivenza di cui dubito noi saremmo capaci in quelle condizioni. Da sottolineare che c’è una differenza abissale tra mondo rurale e città: in quest’ultime i costumi e lo stile di vita occidentale inizia pian piano a diffondersi e qualcuno riesce a mettere da parte un po’ di soldi per vivere più dignitosamente. Nelle zone rurali, invece, il governo è quasi inesistente, viene riconosciuta molto di più l’appartenenza tribale e il potere del principe-capo della tribù. In queste zone se non ci fossero dei missionari che dedicano la loro vita a queste popolazioni, esse sarebbero abbandonate a se stesse.
Quali sono i problemi maggiori che hai visto?
Sicuramente aids e malaria che mietono moltissime, troppe vittime. Poi il diffuso alcolismo tra i maschi: nella loro società sono gli uomini a comandare, ma sono le donne che fanno andare avanti la baracca, svolgendo anche i lavori più duri. Un altro problema che rallenta il miglioramento della loro condizioni è la mancanza di intraprendenza: sono ancora pochi quelli che cercano di migliorare nel lavoro per tentare di guadagnare qualcosa di più. Molte persone infine sono ancora legate a credenze magiche promulgate dagli stregoni e così tendono a rivolgersi a loro in caso di malattia piuttosto che curarsi. Diffusissimo è pure l’analfabetismo.
Come sei stato accolto dalla popolazione del posto?
Benissimo! Sono tutti molto ospitali e amichevoli, non hanno nessuna diffidenza nei confronti dei bianchi. La zona è sempre stata molto tranquilla, dopo due mesi che ero lì già giravo in bicicletta di notte in mezzo ai campi senza il minimo timore. Il senso di condivisione e di ospitalità è fortissimo: tutti ti invitano nelle loro capanne per mangiare insieme, anche se il cibo non basta neppure a loro, e presentarti tutta la famiglia. Ho trascorso persino un mese in un villaggio con una famiglia, mangiando con loro, lavandomi nella loro stessa bacinella d’acqua, ascoltando la radio coi bimbi la sera e le storie degli adulti attorno al fuoco. Gli unici un po’ malvisti sono gli inglesi (lo Zambia è una loro ex colonia) e soprattutto cinesi e indiani che sono lì per puro business e tendono a vendere merce scadente alla popolazione poverissima per accumulare denaro.
Che visione hanno dell’occidente e dell’Italia?
Tutti dicono che vogliono andare all’estero, ma in realtà non sanno nulla dell’occidente e dell’Italia, nemmeno dove si trovano geograficamente. Solo chi abita in città, grazie ai media, ha qualche idea più reale del mondo circostante, ma i poveri delle foreste credono che in Europa o in America sia tutto magnifico ed è difficile spiegargli che non è esattamente così.
La cosa più bella e quella più brutta che hai visto?
Cose belle ce ne sono un’infinità… mi ricordo in particolare di una notte in cui stavo accompagnando in auto una partoriente all’ospedale. Lungo il tragitto però la ragazza ha dovuto partorire; per fortuna con me c’era un’infermiera ed è andato tutto bene. Quando poi ho chiesto alla donna come avrebbe chiamato il figlio mi ha risposto che lo avrebbe chiamato “macchina” nella loro lingua, proprio perché era nato in auto. Una cosa che mi ha colpito positivamente è inoltre il desiderio dei giovani di imparare lavori nuovi, la loro passione. La cosa più brutta è senz’altro tutta la gente che muore tra grandi sofferenze, perché deve continuare a lavorare e non può curarsi adeguatamente. Un’altra cosa triste è la diffusa prostituzione: molte donne per mantenere la famiglia sono costrette a produrre grappa di giorno e a prostituirsi la notte. È una realtà accettata socialmente e che tutti sanno, tant’è vero che non ho mai sentito un sacerdote dire in chiesa di smetterla con la prostituzione, mentre, al contrario, esortano all’uso dei preservativi contro l’aids e alla moderazione nel bere.
Ritieni che quest’anno ti abbia cambiato?
Certamente il mio modo di vedere le cose è cambiato, ma un conto è il modo di vedere le cose, un altro è il modo in cui le vivi. Non basta un anno in Africa per riuscire a vivere in modo diverso qui in Italia, ad esempio apprezzando maggiormente le piccole cose, o cercando di condividere di più ciò che si ha. Credo sia un percorso in evoluzione e quest’anno per me è stato solo l’inizio, tant’è vero che tra poco andrò in Uganda per due settimane.

OLANDESE CON CESTINO



Pedalate in prosa attraverso un paese dell’Alta

Esterno giorno di un tardo Sabato pomeriggio di metà Luglio: vista da dietro una bici olandese con cestino percorre senza nessuna fretta le tremolanti vie d’asfalto di una Carmignano che si fa bella per la serata estiva. E’ l’occasione ideale per osservarla facendo lucide considerazioni su quel che mostra, tenendo sempre le mani ben salde sul manubrio.
Il quartiere Boschi, per primo: non è molto diverso da una piccola e secca Venezia e sembra studiato per abbattere il desiderio di pedalare verso quel ramo del nostro fiume, tant’è che i marciapiedi non fanno parte della cultura “boschiva” ed il quartiere si dona, arreso, ad auto e furgoni come fa Venezia con traghetti e gondole. E’ così che provare a raggiungere in bici Ceo Pajaro, senza essere costretti a staccare il piede dal pedale in segno di resa, è impresa degna di Binda o Girardengo.
Nulla però in confronto alla presa della libera frazione di Camazzole che, fatta in bicicletta, mette a confronto diretto ciclista e macchina in una giostra in cui i primi, ed a volte anche i secondi, hanno facoltà di scegliere da quale lato della strada partecipare alla tenzone: da sinistra per vedere negli occhi i potenziali investitori, da destra per affrontare al buio i potenziali disarcionatori.
Dove invece gli spazi per ciclisti e pedoni non mancano è il distinto viale Europa in cui, dalla rotonda omaggio al sollevatore di pesi fino al monumento omaggio ai nostri caduti, i viaggiatori a bassa emissione inquinante possono disporre di piste più che sufficienti a preservare la loro sicurezza. Altrettanto non si può dire per la loro digestione, messa a ferro e fuoco dal dunoso progetto dell’Ingegner Dromedari che sembra causare più di un problema di rigurgiti a chi percorre la via nella sua interezza. Singhiozzanti ma almeno vivi, alla meta!
A metà fra i primi due casi ed il terzo si inserisce viale Martiri che porta onore al proprio nome soltanto per un pezzo, quello che dal distributore va verso la statale mentre la parte restante si contorna di piste ciclabili e pedonali rosse mattone che le danno un taglio molto casual e che ben si abbinano allo stile espressionista dell’informe rotonda che alleggerisce la struttura imponente della via.
Percorrendolo sui pedali, il paese regala anche piacevoli sorprese quale la scoperta di come un distributore automatico di latte posizionato in una rilassata via centrale, come via Don Milani, possa diventare un luogo di imprevedibile socialità per il popolo delle bottiglie trasparenti con tappo a vite che si ritrova a fare rifornimento di latte dando luogo a sani riti di condivisione delle quotidiane abitudini alimentari.
L’olandese con cestino finisce lì vicino la sua corsa, legata ad una rete metallica di quelle verdi mentre il suo lucido Cavaliere ciabatta con poca eleganza verso un’acqua e menta gassata con ghiaccio prima di andare a farsi bello, anche lui, per la serata estiva.
La prosa, più della poesia, si nutre di precarietà.         

L'EDITORIALE


Tabella 1
Tabella 2


E’ stato votato tanto. Questa la principale impressione che ci hanno lasciato i referendum di Giugno, quelli che ci chiedevano di esprimerci, detto molto sinteticamente, su acqua pubblica, energia nucleare e legittimo impedimento. In barba ad inviti (espressi fra le righe o soltanto accennati) ad andare al mare, la grande maggioranza degli italiani ha deciso di passare comunque ai seggi ed imbucare le loro schede.
Le tante possibili interpretazioni del voto nazionale hanno avuto naturale sfogo sui mass media e già ci è stato dato modo di apprezzarle.
Proviamo adesso a calare Carmignano sul territorio: prima quello provinciale, poi quello regionale e quello nazionale per vedere dove ci possiamo collocare rispetto al resto.
Dalla Tabella 1 è chiaro come la media dei votanti, in paese, riesca ad essere superiore, di lunga, a quella nazionale dove, per tutti e quattro i quesiti, riesce a staccarla di quasi 5 punti percentuali. Più vicino il dato se ci caliamo nel Veneto o nella Provincia padovana dove la forbice si restringe, rimanendo comunque superiore in entrambi i casi: di 2 punti in regione e di poco meno di 1 nella provincia. Carmignanesi popolo di referendari quindi?
Per capire se sia veramente così vale la pena andare a frugare nelle urne dei nostri vicini padovani, ovvero in quelle dei paesi confinanti o che ci stanno a meno di venti minuti di macchina: è nella Tabella 2 che troviamo la sintesi di quel che è successo. Per il podio provinciale non servirà scomodare nessun vicino di casa vista la distanza che ci separa da Battaglia Terme (al primo posto), da Ponte San Nicolò e da Cadoneghe. E’ Fontaniva a distinguersi per la generosità del proprio elettorato che la mette al quindicesimo posto tra tutti i comuni padovani. Carmignano si attesta sui dati di Piazzola attorno al trentacinquesimo posto (sfiorano entrambe il 62%) andando a posizionarsi nel primo terzo di classifica. Dopo di noi una settantina di comuni tra cui la vicina Gazzo che registra ben 8,5 punti percentuali in meno e sfiora di poco la maglia nera in questa improvvisata competizione elettorale.
Verrebbe da dire quindi che si, siamo un paese vicino ai temi di questo referendum, ma a voler analizzare fino in fondo le percentuali di afflusso divise per i 6 seggi comunali ci accorgeremmo di come sarebbe più corretto dire che sia Camazzole la vera patria dei referendari.
Col 67% di affluenza ai seggi è proprio Camazzole a distinguersi, un dato che, da solo, l’avrebbe portata al prestigioso secondo posto solitario nella provincia. Siamo sicuri che i combattivi abitanti della ridente frazione non perderanno occasione per puntare dritti all’oro alla prossima occasione!