domenica 24 febbraio 2013

THE GARDEN HOUSE


un racconto di Silva Golin
parte seconda

Il dott. Poggi si sedette alla scrivania, indossava una camicia azzurra a righe e un paio di jeans, capelli folti, castani e lunghi sul collo, con due basette importanti, le maniche della camicia erano un po’ arrotolate e da questa spuntavano due avambracci abbronzati. La pelle del viso era liscia, abbronzata, occhi neri e una bocca sensuale. Emanava un profumo costoso molto buono, forse troppo intenso. Sembrava abbastanza giovane.
“Buongiorno, si accomodi, mi chiamo Maurizio Poggi, se posso esserle utile.”
Fenella pensò che sembrava un disco, non la guardava in viso, guardava le sue mani che erano strette sui manici della misera borsa non firmata, e immaginò quello che lui stava pensando di lei. Lui pensava che era insignificante, che era giovane, che era in disordine, che non emanava alcuna fraganza, che non aveva nemmeno gli orecchini alle orecchie.
“Sì, beh dunque... io possiedo una casetta, che ho ereditato alla morte di mio nonno... lei abita qui in paese?”
“No, veramente abito a una ventina di chilometri”
“Me lo chiedevo per sapere se l'aveva vista, comunque volevo stimare quanto mi sarebbe venuto a costare farci dei lavoretti…”
“Che tipo di lavoretti? In che stato è la casa? Lei ci vive dentro in questo momento?”
“Si, io ho sempre vissuto lì, cioè dalla morte dei miei genitori, dieci anni fa”
“E quanti anni ha? Signorina? Non mi ha ancora detto come si chiama”
“Fenella, Fenella Ferrardino. E ho vent’ anni”
“E' giovane, come sta a finanze, ha i mezzi per provvedere ad una ristrutturazione? Perchè in genere sono molto dispendiose... scusi la domanda ma bisogna viaggiare con i piedi per terra”
“Lo so, è per questo che mi trovo qui, vorrei un parere tecnico, una stima dei costi, come si dice un preventivo… io ho un lavoro, mi mantengo con quello, non so, prenderò le decisioni necessarie poi”
“Va bene, devo vedere la casa, quando posso passare? Quando la trovo a casa? Ci vorrà un po’ di tempo, e lei dovrà farmi vedere tutto, poi potrò dirle la mia opinione”
“Sì, io sono a casa tutti i giorni dopo le diciannove, è troppo tardi?”
“No, va bene, mi dia l'indirizzo, passerò quando ho finito il lavoro”

“Grazie, lei è molto gentile”
“Aspetti a dirlo quando sarò spietato per la sua casa! Ebbene l'indirizzo?”
“Via Dell'orto”
“Il numero civico?”
“E' l'unica casa della via”
“Molto bene, vogliamo fare dopodomani?”
“D’accordo”
Si alzarono all'unisono. Durante il colloquio Maurizio la guardò spesso in viso. Non poteva credere che avesse vent’ anni, sembrava averne quindici ed era timida come una di dodici, e pensare che viveva sola, mah!
Fenella rimase sorpresa che: uno, non le avesse dato una stretta di mano di saluto e due, non l’ avesse accompagnata alla porta, dovette fare il corridoio fino all'uscita da sola, e lì naturalmente c'erano le segretarie che non le rivolsero nemmeno uno sguardo.
Dubitava fortemente che sarebbe venuto a vedere la casa.
Invece venne, era molto caldo, gli uccelli cantavano, le zanzare pungevano, i moscerini come nuvole non davano tregua, ma il giardino era rigoglioso, il te era freddo e la casa era fresca perchè aveva i muri spessi in pietra.
Perfino il profumo di Maurizio non si sentiva in mezzo a quell'esplosione di rose e ginestre.
“Il giardino è un' incanto, sbaglio o lei non passa il tosaerba?”
“E' vero, io passo una macchinetta, che è un rudere con una lama, ma è senza motore, e la passo solo nei sentieri dove cammino, il resto cresce spontaneo, e in altezza come vede, infatti la casa, che ha solo un piano sembra sommersa”
“Sembra un cottage inglese”
Entrammo in casa, purtroppo i mobili, le piastrelle, i divani erano vecchi e molto usati. Anche se c'erano fiori nelle brocche antiche e alcuni caminetti, Fenella leggeva negli occhi di Maurizio lo scetticismo. Ma via via che passavano da una stanza all'altra Fenella vide anche il suo occhio professionale fare un esame attento della disposizione delle stanze, delle finestre e dei muri portanti, nessun angolo fu risparmiato.
Davanti ad un bicchiere di te freddo Fenella chiese cosa ne pensava.
“Difficile dirlo se non so cosa hai in mente. Quanto vuoi ristrutturare, vuoi ampliare o tenere questi volumi? Fare un secondo bagno? Mettere la doccia? Cambiare e rimodernare la cucina?”
Fenella sorrise timidamente. Lui continuò incalzante.
“Non mi dirai che vuoi stravolgere la personalità di questa casetta e farne un posto high-tech, tutto lucido in nero e rosso? Non mi sembra proprio il tuo stile…”
“Vede dott. Poggi... io pensavo…”
“Ti prego chiamami Maurizio”
“Va bene, io pensavo ad un cambiamento un po’ più profondo della casa, in un senso ecologico, ecocompatibile, mi capisci?”
“No, non del tutto”
“Io so che ci sono modi per rendere una casa ecosostenibile, cioè non dannosa per l'ambiente”
“Motivo? Fai parte di una setta? Cioè ecocompatibile va bene ma mi sfugge lo scopo, nobile, ma mi sfugge. Prova a spiegarti”
“Io amo il mio giardino, lo amo perchè non solo mi da gioia a guardarlo ma so che è utile per tanti tipi di animaletti che ne traggono beneficio, uccelli o topi, eccetera, la natura è importante per me, so che il mio contributo è poco ma se questa sarà la mia casa per sempre la voglio ecologica fino al midollo”
“Hai le idee chiare.” Poi continuò:
“Farò una stima di tutto, ma devo essere sincero non mi è mai capitato, cioè sono cose che stanno prendendo piede ma, una casetta, tutta ecologica, va bene mi informerò e ti farò sapere, e comunque avrai delle agevolazioni io credo dal comune o dalla regione per questo tipo di scelta, quindi, tanto meglio, bene Fenella ti saluto e mi farò sentire io”
Se ne andò.
(CONTINUA)

domenica 17 febbraio 2013

THE GARDEN HOUSE


Pubblichiamo con piacere un racconto scritto da Silva Golin per Fuori Luogo.
Il racconto verrà pubblicato settimanalmente in 7 puntate a partire da oggi e per altri 6 Lunedì.
Buona lettura e grazie alla disponibilità di Silva.
                                                      
THE GARDEN HOUSE
(1° puntata)

In un paesino qualsiasi, in un regione qualsiasi c'è una casa piccola e funzionale, circondata da un giardino dai colori pastello, con fiori selvatici che crescono liberi e alti, piante che producono frutti dolci di cui si cibano gli uccelli migratori, la casa è protetta in parte da una aiuola di alloro e biancospino molto alta. C'è un cancello in legno con una campanella in ferro e un portone  più grande, sempre in legno. Quasi non si vede il muro di pietra della casa, ma il tetto in ardesia, e un prolungamento in vetro e metallo come fosse una serra d'inverno.
L'unica abitante della casa si chiama Fenella,una ragazza di soli venti anni, esile e dolce.
Questa è la sua storia.
Fenella era la secondogenita di una  famiglia semplice, aveva perduto i genitori in tenera età, la sorella maggiore era iscritta all'università e con successo proseguiva i suoi studi. Fenella crebbe per lo più con il nonno paterno, in un ambiente sereno ma un po’ rigido. Il nonno era severo e taciturno, la ragazza era sempre stata molto timida e anche un pochino triste.
Fenella era meravigliata dalla natura intorno a se, le piaceva prendersi cura del giardino, svolgendo  i lavori meno pesanti e occupandosi dell'orto. Fenella non era particolarmente bella, ne particolarmente intelligente, era mite, gentile e profonda. 
Dopo aver superato con discreto successo gli esami di maturità trovò impiego come tuttofare dalla signorina Annamaria e nel suo negozio che vendeva un po’ di tutto, dalle caramelle alle porcellane. Fenella si occupava delle consegne, dei lavori di pulizia, riordino, magazzino o piccole comissioni, come portare il cagnolino dal veterinario o fare la spesa. Era un impiego vario come mansioni, ma piacevole. La signorina era gentile, anche se Fenella aveva il sospetto che il nonno ci avesse messo una parolina per farla assumere, ora però lei doveva metterci la sua parte per non farsi licenziare.
Trovare lavoro era stato un passo avanti molto importante per la sua indipendenza anche se come tipo di impiego non richiedeva grandi capacità manageriali o titoli accademici. La sorella di Fenella si chiamava Alina e in quel periodo decise di tornare a casa per qualche giorno.
Il nonno ne fu felice, Alina stava frequentando un master, e lavorava part-time da un notaio. Viveva in una grande città, in un appartamento con altre due amiche. Era molto allegra e la casa con Alina si riempiva di risate. Le due sorelle passavano il tempo facendo passeggiate o ammirando le migliorie apportate in giardino con gli esperimenti botanici di Fenella.
“Ma sai che ci sai proprio fare con le piante, e questi vasi così spogli cosa sono?”
“Ho piantato dei bulbi primaverili, sono fatti come le cipolle, sono scuri e brutti, ma ti sembra impossibile, poi spuntano dei fiori belli e profumatissimi.”
Rispose Fenella, premendo con le dita la terra di un vaso.
“Qui è molto bello, la casa del nonno è vecchia, ma il giardino sembra fatato, come ti trovi al lavoro?”
“Bene, davvero, ho degli orari che mi permettono di tornare per pranzo e cena, quindi riesco ad occuparmi del nonno, anche se abbiamo una signora per le faccende più pesanti che viene due volte la settimana.”
“Che stupida sono, io mi godo la vita, tra scuola e uscite con gli amici e tu badi alla casa e al nonno, ti scoccia questo, è molto difficile per me capire se sto facendo l'egoista, probabilmente sì... Siamo così diverse noi due.”
“Non preoccuparti Alina, a me va bene così, sono soddisfatta della mia vita.”
Ormai si erano avvicinate alla porta d'entrata, il nonno le aspettava come sempre in salotto, leggeva tranquillo seduto nella sua consueta poltrona, sorrise quando entrarono. Aprì le braccia per accoglierle entrambe.
Alina tornò al suo lavoro e alla sua vita, Fenella proseguì con la sua.
A primavera i bulbi spuntarono timidamente tra la terra umida di rugiada e crebbero velocemente, il giardino era bellissimo, le giunchiglie si muovevano dolcemento al vento.. il nonno morì. Fu un trapasso sereno, ma che lasciò sgomente le due ragazze. Quando tutto finì, il funerale, le visite dei vicini, le carte burocratiche, furono convocate dal notaio del paese, l'unico.
I beni del nonno erano molto pochi, non era agiato, viveva della sua pensione. Ma c'erano dei soldi da parte, investiti in Bot. E poi c'era la casa e il giardino. Il nonno era stato previdente e aveva diviso così i suoi averi, i soldi ad Alina, la casa e il giardino a Fenella che ne aveva sempre preso cura.
Era una soluzione equa? Le sorelle ne furono soddisfatte, Fenella amava quel giardino, in fondo al cuore lo aveva sempre sentito suo. La casa necessitava di molte migliorie ed era piccolina, ma era la casa del nonno.
Le ragazze si abbracciarono, erano sole ancora di più. Ma la vita va avanti e il tempo aiuta a sopportare la perdita delle persone care.
Qualche istituto immobiliare contattò Fenella per sapere se avesse intenzione di vendere la casa, lei rifiutò categoricamente. Ma decise che alcune cose andavano fatte per rimodernarla un po’, solo che i soldi erano molto pochi, non poteva permettersi impianti costosi e nemmeno piastrelle di lusso o la vasca con l'idromassaggio.
Era necessario un preventivo per farsi un'idea della cifra necessaria.
Si rivolse al notaio del nonno per un consiglio. Il notaio le indicò uno studio di un suo amico architetto, il dott. Magnabosco.
Fenella finito il lavoro, con la sua bicicletta, si recò allo studio. Si sentiva un po’ stanca perchè la sua datrice di lavoro, che l'aveva sostituita dopo la perdita del nonno, aveva deciso di prendersi una breve vacanza. Fenella aveva i capelli castani raccolti sulla testa, ma quella che il mattino era stata una pettinatura ordinata, ora era informe e il trucco si era liquefatto sotto gli occhi, così aveva un aspetto ancora più stanco. Indossava jeans e una camicetta color cipria e un paio di ciabattine infradito senza tacco. Lo studio era grande ma senza pretese, dietro un bancone c'erano un paio di segretarie che battevano al computer, quando la videro entrare una si alzò con aria annoiata e le chiese cosa desiderava.
“Avrei bisogno di un appuntamento con l'architetto.”
“Quale in particolare?”
“Non saprei, è per una valutazione della mia casa, vorrei apportare qualche miglioria...”
“Una ristrutturazione.”
“Esatto, una ristrutturazione.”
“E il permesso del comune ce l'ha? Materiali pericolosi magari? Da smaltire?”
Fenella era stanca ora e iniziava a sentire una certa cefalea, rispose:
“Potrei parlare con un architetto, prendo un appuntamento se va bene, ho bisogno di molti chiarimenti,..quanto costa una delucidazione pressapoco?”
“Il dott. Poggi è in studio ed è libero, non le costerà niente esporre le sue domande, naturalmente se vorrà poi farsi fare un progettino… allora vedremo. Prego l'accompagno.”
Fenella raccattò la borsa in juta a righe e seguì la segretaria per un lungo corridoio. Le pareti erano color rosa salmone, con foto in bianco e nero di New York del secolo scorso, quando era ancora in costruzione. Il corridoio portava in un open-space con molti tavoli adibiti alla progettazione, regnava un bel po’ di disordine e in sottofondo una canzone di Giorgia.
Il dott. Poggi era di spalle, qualche metro più in là si trovavano altri due architetti o geometri, molto concentrati.
“Dott. Poggi sarebbe così gentile da dedicare un attimo alla signorina” e, dicendo questo, la segretaria fece un cenno del capo in direzione di Fenella che ne stava a qualche metro indietro con le mani intrecciate, ”ha bisogno di alcuni chiarimenti per un immobile”.
Il dott. Poggi si volse e guardò Fenella negli occhi poi fece di sì con la testa. Si avvicinò a lei, non le diede la mano, ma le fece segno di seguirlo verso un ufficio, l'unico con le pareti, una porta e una scrivania con due poltroncine davanti...
(CONTINUA)

venerdì 15 febbraio 2013

CHIEDI CHI ERANO I TIMSHEL




La biografia dei Timshel

Il nucleo iniziale del gruppo, composto da Simone Pedron (pianoforte) ed Enrico Tecchiati (chitarra classica), nasce nel ‘93 e, per circa un anno, si concentra sullo studio e sull'esecuzione di brani rock-pop anni '70. Nell'Ottobre del ‘94, nel garage di Simone, ha luogo la prima prova che aggiunge al duo la voce di Denis Vanzo (la prima canzone testata è "Nata dal cuore" dei Timoria). Di qualche mese più tardi è l'arrivo di Dario Bernardi (basso) e del primo di una serie di batteristi.
Inizialmente le prove, anche d'inverno, si fanno in una ex stalla dove non era raro trovare le casse bagnate dalla pioggia o addirittura ghiacciate. I primi concerti (con un repertorio che andava dai Litfiba, passando per i Doors, i Timoria ecc.) non tardano ad arrivare e, pur nell'ingenuità del periodo, offrono buone soddisfazioni.
A seguito di continui problemi con i batteristi iniziamo a proporre anche un repertorio in acustico (siamo alla fine del 1995) che diventerà, poi e per più di un anno, il cavallo di battaglia del gruppo visto il numero crescente di richieste per concerti nei locali e nelle piazze. Nel frattempo continua, massiccia, la composizione di brani propri e l'accrescimento nel numero dei brani in scaletta (entrano i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Queen ecc.) ma la mancanza di un batterista stabile non permette la giusta riuscita sonora.
E' nel 1997 che, mentre Dario (causa servizio militare) veniva sostituito da Andrea Basso, entra Luca Caretta alla batteria e, finalmente, la svolta (sonora, di coesione musicale e di gruppo). I concerti aumentano sensibilmente (almeno una decina al mese); giriamo con un furgoncino arancio della Volkswagen (LT 28), ci attiviamo, assieme ad altri gruppi locali, affinché la sala prove del Centro Giovanile sia disponibile per tutti, auspicando una “rinascita musicale” in un paese che pareva addormentarsi giorno dopo giorno, e mettiamo a disposizione la nostra attrezzatura per i gruppi più giovani.
Nel '97 Dario si congeda e riprende il suo posto, Enrico parte per un lungo viaggio e viene sostituito da Damiano Tessari, ed i concerti continuano, inarrestabili.
Torna Enrico nel '98, Damiano rimane comunque e decidiamo, sempre sotto il nome Timshel, di preparare un repertorio parallelo per racimolare il denaro necessario alla registrazione dei nostri brani. Arrivano anche 2 voci femminili (Cristina Mantoan e Cristina Tappa) ed il repertorio si sposta verso musicalità soul e disco music (Aretha Franklin, Gloria Gaynor, Jerry Lee Lewis ecc). E' in questo periodo (che durerà circa 3 anni) che “non avevamo nemmeno il tempo per respirare” visto che i concerti diventano 3-4 a settimana (talvolta anche 6). Il repertorio, in questo periodo arriva a sfiorare i 150 brani; indimenticabile il concerto tenuto ad Albbruck per il gemellaggio, che durerà ininterrottamente dalle 20 alle 00:30 (4 ore e mezza, con le dita e le voci al limite).
Nel 2001 Dario lascia il gruppo, ritorna Andrea, registriamo e mixiamo 4 brani composti da Simone ed Enrico, facciamo un concerto in un locale nell'altopiano di Asiago e... il gruppo si scioglie! Siamo nell'estate del 2002.
Molti, nel tempo, ci hanno chiesto quale fosse l’origine del nostro nome, semplice: il nome Timshel deriva dalla medesima parola ebraica, che significa “tu puoi”, ripresa dallo scrittore statunitense Steinbeck nel libro “La valle dell’eden” dove lo scrittore interpreta un passo della Bibbia con “tu puoi governare sopra il peccato”, sottolineando come l’uomo sia libero, libero di scegliere.

Quante date fatte nella vostra carriera? Difficile dare numeri precisi, ma si può parlare sicuramente di qualche centinaio.
Mai pensato di fare il salto rivolgendovi ad un pubblico più ampio? Premesso che abbiamo avuto spesso la fortuna di suonare in contesti in cui il pubblico era decisamente numeroso, a seguito di impegni lavorativi e scelte personali di alcuni componenti (tra l'altro coincidenti con la realizzazione del primo demo, concretizzato dopo mesi di registrazioni e missaggi in proprio) la decennale esperienza "Timshel" si è fermata proprio nel momento in cui si poteva pensare a qualcosa di più; qualcosa che, probabilmente, sarebbe stato messo in discussione per la discordanza tra alcuni nostri ideali e le logiche di mercato.
Perché è importante esserci a questa festa del 4 Giugno (la festa tenutasi a Carmignano il 4 Giugno 2011, ndr)? L’occasione è quella che permette una molteplicità di aspetti positivi, ognuno di questi legato da un filo conduttore che è quello del ritrovarsi dopo tanto tempo tra le band storiche carmignanesi del recente passato, rivivendo un po’ quel sano antagonismo che ci autorizzava, per certi aspetti, a sentirci un po’ importanti (stile Beatles e Rolling Stones, o Duran Duran e Spandau Ballet, per intenderci). Ritrovarsi tra gli amici che formavano le diverse band e gli amici fedeli che non solo non mancavano un concerto, ma addirittura si prodigavano, nel limite del possibile, a far sì  che i concerti riuscissero nel migliore dei modi; infine, tra le band e i loro fans che, per quanto ci riguarda, sono stati sempre numerosi, partecipi ed affezionati, cosa che ci ha sempre fatto piacere ed inorgoglito.   
Quali valori genera un’esperienza di gruppo duratura come la vostra? Sarebbe scontato dire, tra tutti, l’amicizia, anche se in realtà essa rimane, con tutte le sfaccettature che può assumere nel corso degli anni, il valore più importante rimasto dall’esperienza fatta. Ne aggiungerei altri due: la solidarietà, anche per momenti di difficoltà personali, ed il rispetto (per la persona, in generale), per l’impegno profuso, per la professionalità dimostrata e, perché no, anche per la bravura espressa attraverso la musica. 
Cosa piaceva di più del vostro gruppo a vostro parere? Un mix di fattori: dire che i componenti del gruppo (gli storici, quantomeno) erano tutti fighi è scontato ed alle ragazze, quantomeno, non dispiaceva certamente. Più seriamente, a parte i generi musicali proposti che riscontravano un discreto successo, forse era il nostro modo di esprimerci sul palco e di proporci al pubblico, anche in quei momenti non prettamente “concertistici”, dove si rimaneva a stretto contatto coi fan, che poi erano per la maggior parte amici e amici degli amici, diventando anch’essi dei Timshel, cioè liberi di scegliere.    

giovedì 7 febbraio 2013

STORIA D'ARTISTA




Il poeta giovane: Guido Bovo


Vi raccontiamo l’affascinante storia di un giovane poeta carmignanese degli anni ’40, Guido Bovo, ai più sconosciuto, che nella sua breve esistenza è comunque riuscito a lasciare un segno in chi lo ha conosciuto. E così, dopo la sua dipartita, l’amico e medico Giuseppe Mesirca ne ha raccolto e pubblicato le poesie permettendo che la sua opera giungesse fino nelle nostre mani tramite il dono prezioso fattoci da Pino Cervato, grazie al quale siamo venuti a conoscenza di questa personalità di cui ignoravamo l’esistenza e di cui, al contrario, siamo ben lieti di dare nuova voce e vita.

Guido Bovo nasce il 23 febbraio 1924. Di lui Pino Cervato ci offre questa testimonianza: «Guido era di dieci anni più grande di me, quindi i nostri rapporti non sono mai stati di vera e propria amicizia, come invece accadeva col fratello Nildo. Guido frequentava l’università, cosa assai rara a quell’epoca. Le uniche occasioni in cui potevo vederlo erano le esercitazioni fasciste del sabato al campo sportivo. Guido era molto atletico, un bel ragazzo, pieno di vita, oltre che molto intelligente. Mi ricordo che lo ammiravo mentre praticava lancio del giavellotto. Nessuno però sapeva che scrivesse poesie». L’unica testimonianza scritta dell’opera poetica di Bovo è la raccolta “Viole nere” che comprende poesie e prose dell’autore stesso e una serie di traduzioni di poeti tedeschi (Hölderlin in particolare) e francesi. Quest’opera pubblicata postuma (nel febbraio del 1946), la si deve a Giuseppe Mesirca, un medico di Citadella. Grazie alla prefazione di Mesirca si riescono ad ottenere maggiori informazioni riguardo alla vicenda e alla personalità di Guido Bovo. I due si conobbero per iniziativa di Bovo stesso che contattò Mesirca tramite lettera per complimentarsi di alcune sue prose comparse in un quotidiano. Da quel momento l’affinità culturale li portò a frequenti incontri nel rifugio segreto di Guido in riva al Brenta, nei pressi di Camazzole. In queste occasioni Mesirca ci dice di aver imparato ad ammirare a pieno l’anima dell’amico, un’anima sensibile e un intelletto fuori dal comune: Bovo leggeva moltissimo e conosceva praticamente tutte le maggiori opere della letteratura mondiale. In questo lo aiutava anche la sua conoscenza di svariate, che gli consentiva la lettura delle opere originali e le loro traduzioni. Insomma, un’intelligenza e una cultura fuori dal comune, soprattutto per un ragazzo di 19 anni e per lo più in tempo di guerra. Lo stesso medico cittadellese ci narra le vicende che avevano condotto Guido all’ “esilio” in riva al fiume nel ’44: «Chiamato alle armi, sfugge per caso ad un bombardamento aereo che colpisce la caserma, a Padova, abbandonata la sera prima. Viene mandato a La Spezia [] Poi trascorre qualche mese fra i colli verdi di Sassuolo [] Trasferito a Bassano nel maggio dello stesso anno [] È costretto a fuggire da Bassano alla vigilia della partenza, ordinata dai tedeschi. Ma non può restare nella casa paterna, esposto al pericolo di arresti e di deportazione. È ancora il Brenta che gli offre un rifugio sicuro». Qui, in costante simbiosi con la natura, la sua ispirazione e la sua tecnica poetica si affinano e lo portano ad uno stile già maturo che è quello raccolto in “Viole nere”. Ma qui, il clima rigido dell’inverno, lo fa ammalare: una meningite che lo uccide nel giro di un paio di mesi, poco prima del suo ventunesimo compleanno, spegnendo un genio che probabilmente aveva appena iniziato a muovere i suoi luminosi passi.


RITORNO
Sera di nebbia, che dai campi sali
sulla mia strada, gli alberi e la vita
volgono in fuga gli anni disuguali
(come l’eco dei pianti inaudita

che da me solo scocca e in me rimane)
nel candore dei palpiti autunnali
di che mi avvolgi le paure vane.

Guardo la nebbia, ho le ciglia bianche.
Il volto dell’umanità ferita
si è perduto, posare l’ossa stanche
è pure cosa dolce e infinita.

Ma non so se le pallide fiumane
in cui mi muovo son la nostra vita,
se ci si sfugge, se ci si rimane.

IL MIO MESE VICINO ALLA GUERRA





In Siria con Paolo che ha visto ciò che aveva soltanto sentito raccontare

La Redazione di Fuori Luogo ha incontrato Paolo Dalle Tezze, trentenne di Carmignano progettista di software che, per lavoro, si sposta spesso in paesi lontani. A cavallo tra Maggio e Giugno di quest’anno ha avuto la possibilità di trascorrere un mese in un paese in guerra, la Siria.
Una guerra civile tra l’esercito del dittatore Al-Assad e i civili insorti sull’onda della Primavera Araba, che ha provocato finora decine di migliaia di morti soprattutto tra i civili e a cui la comunità internazionale non è ancora riuscita a dare risposta, messa in scacco dal veto di Cina e Russia ad un intervento armato.
Abbiamo raccolto l’immagine portata a casa da Paolo di questa nazione che, geograficamente e culturalmente, è porta naturale tra l’Occidente e l’Oriente del mondo. 

Paolo, com’è arrivata nella tua vita la Siria?
Mesi fa arrivarono in azienda due ordini per lavori da iniziare da lì a breve: il primo in Messico ed il secondo proprio in Siria. Ero assegnato per il lavoro in Messico, un giorno però confessai al mio collega che non ero proprio interessato ad andare in Messico e lui, con mia estrema sorpresa, mi confessò della sua infelicità all’idea di andare in Siria. Non persi l’occasione e gli proposi uno scambio di lavori che lui accettò molto volentieri. Così ho incontrato questo paese di cui avevo letto nei libri di Rafik Schami

In Siria dal 2011 c’è una guerra civile di cui sentiamo spesso parlare nei media, hai pensato anche a questo prima di andare la?
Si, ci ho pensato. Tra l’altro il nostro cantiere era proprio nei pressi di Homs, la città più colpita dagli scontri. Per questo si è deciso di spostarci a Damasco per dormire; è la capitale del paese e la situazione lì era più calma, ma ciò ci costringeva ogni mattina ed ogni sera a fare un’ora e mezza di macchina per andare dal luogo di lavoro al posto che ci ospitava per la notte

L’hai vista mai la guerra?
La guerra l’ho riconosciuta lungo le strade che percorrevamo ogni giorno in cui i militari armati si nascondevano dietro le dune di sabbia. E nei posti di blocco che periodicamente ci chiedevano i documenti e controllavano le nostre borse fatto, questo, che mi ha portato a riflettere sul rapporto che si costruisce tra i colleghi di lavoro in situazioni come queste dove il comportamento eccessivo di qualche tuo compagno nei confronti dei militari può mettere nei guai anche te: si sviluppa così, per un limitato periodo di tempo, un legame tra persone, anche di nazionalità diverse, che per certi versi considero più stretto dei legami che si generano in un matrimonio

Com’è diversa la guerra che si sente raccontare nei media da quella che si può vedere con gli occhi?
Vedi, noi eravamo consapevoli della situazione sociale in cui ci trovavamo ma non c’era in nessun modo la sensazione di pericolo vivo presente, si trattava di un pericolo potenziale, di una situazione che si sarebbe potuta trasformare da lì in breve in grave e per questo motivo il nostro era uno stato di allerta costante e avevamo sempre pronto un piano di evacuazione che ci avrebbe condotto al confine col Libano.
Certo, se qualcuno si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato anche il Pentagono diventa un luogo pericoloso, ma in quei miei 32 giorni non ho mai percepito la sensazione di pericolo. Se si esclude la presenza militare avevo l’impressione di vivere in un luogo lontano anni luce da quello che facevano vedere le notizie diffuse in occidente.
E’ per questo che definisco esasperato il modo con cui si fa informazione da noi, e l’unico modo che ho avuto per comprenderlo è stato quello di trovarmi lì e sentire che da casa i miei cari temevano per me, di riflesso alle notizie sentite in televisione, mentre nel mio mese siriano ho avuto anche modo di fare il turista andando a visitare il suck antico (il tipico mercato di strada), la moschea di Omayad nella città vecchia di Damasco e anche di cenare in un ristorante in centro, accompagnato da un collega siriano.

Hai avuto modo di scambiare impressioni con cittadini siriani?
Si, ed è con loro che ho capito cosa significhi vivere sotto un regime.
Non tanto dalle loro parole quanto dai loro silenzi. Quando ho provato a far emergere opinioni politiche o sociali mi sono trovato di fronte a dei muri di diffidenza e timore. Se si esclude una breccia aperta quasi alla fine della mia esperienza con un collega del posto che mi ha raccontato di essere stato sotto interrogatorio per 14 giorni consecutivi perché sospettato di collaborare con gli insorti, tutti gli altri che ho provato ad avvicinare hanno mostrato soprattutto diffidenza e timore di essere “ascoltati”.
Facile comprenderlo per me dopo aver avuto la dimostrazione pratica di come tutti i telefoni fossero sotto controllo (suonavano liberi anche se dall’altro capo la comunicazione era stata interrotta) e di come l’informazione pubblica fosse sotto stretto controllo delle forze governative.

Nei tuoi viaggi di lavoro c’è stato un paese che più degli altri ti ha colpito positivamente?
Ho sempre avuto una predilezione per l’est del mondo e le mie esperienze si sono svolte principalmente in paesi dell’Asia. Tra tutte, la mia esperienza migliore è stata quella cinese, vissuta in una città di 6 milioni di abitanti quasi sconosciuta in occidente!
Ho visto persone sorridenti, felici perché serene e capaci di godere di ciò che hanno, tanto o poco che sia. Non è questa l’idea che ritrovo nell’immaginario che si ha in Italia della Cina e mi fa piacere poter portare la  mia esperienza a sostegno di un possibile cambio di opinioni.

L'EDITORIALE

Ti sei pulito i piedi prima di entrare?

Avete mai avuto la sensazione di guardarvi attorno e sentire di non appartenere a ciò che vi circonda? Trovarvi a disagio nel luogo e nel tempo in cui siete collocati e cominciare, da una parte, a chiedervi il perché, il per come il vostro mondo sia diventato tanto estraneo e, dall’altra, fantasticare su come dovrebbe invece essere un universo della dimensione più giusta per accogliervi.
In un momento storico ed in un luogo geografico in cui è così facile soffocare gli entusiasmi a favore di un latente stato di imbarazzo nei confronti del domani, abbiamo voluto creare un Fuori Luogo che provasse ad indagare sui possibili vestiti che può indossare la sensazione di disagio rispetto a ciò che sta attorno.
L’abbiamo fatto chiedendo al nostro compaesano Paolo di parlarci della sua esperienza di lavoro in una zona del mondo in cui si combatte coi fucili, poi ancora ci siamo immaginati la situazione che si prova ad essere sopra un treno e venire traditi dalle sicurezze che la tecnologia contemporanea ci illude di avere, troverete in questo numero anche la recensione al libro “L’eleganza del riccio”, fine metafora del vivere una vita interiore del tutto staccata da ciò che le circostanze ci chiedono.
Una nota particolare per uno degli articoli di questo numero, dedicato ad un giovane poeta carmignanese scomparso molti anni fa prima, forse, di avere il tempo di godere del proprio talento assieme a tutti coloro che gli stavano attorno. E’ un onore, per noi, aver potuto raggiungere la storia di Guido Bovo attraverso le parole dell’amico Pino Cervato che ci hanno raggiunto rendendoci parte di una vicenda artistica ed umana così lontana nel tempo quanto vicina per la tensione emotiva che l’ ha ispirata.
Un ringraziamento sentito va anche a Carlo Cervato per aver voluto condividere con Fuori Luogo uno dei suoi racconti, Vicent e Margot, che ci ha accompagnato per tutto il 2012 e che, in questo numero, troverà la sua conclusione.
Buona lettura.