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martedì 27 gennaio 2015

DAL FIUME AL MARE: DANIELE HA SCAVALCATO L'OCEANO

dalla Redazione


Ciao Daniele, dove ti trovi in questo momento?
Mi trovo a Bard College, un'università situata circa 150 km a nord di New York City, nello stato chiamato anch'esso New York. Il college sorge nella valle del fiume Hudson, lo stesso fiume che attraversa New York City. Sono qui per insegnare lingua e cultura italiana agli studenti del college, non come professore ma come tutor (o, come dicono gli americani, “teaching assistant”).

Che percorso hai fatto per arrivare a Bard College?
Sono arrivato qui fondamentalmente per caso: lo scorso anno cercavo un progetto che mi permettesse di insegnare italiano in un paese anglofono, e parlandone al bar con amici sono venuto a conoscenza di questo programma, della durata di un anno. Mi sono messo in contatto con una ragazza, anche lei carmignanese, che aveva partecipato allo stesso programma di tutoring a Bard College: dopo averne parlato con lei ho inviato il mio CV e ho fatto un colloquio su Skype, finché ad Aprile ho ricevuto la lettera di assunzione.
Il campus di Bard è immerso nel verde, e i paesini limitrofi, oltre ad essere piuttosto piccoli, sono pure abbastanza lontani! Il campus è costruito sulle sponde dell'Hudson, quindi ogni giorno posso fare una passeggiata in riva al fiume, proprio come se fossi a casa! Rispetto allo stereotipo del college americano che si vede nei film e nelle serie tv, Bard è molto più “selvatico”, c'è molta foresta e non è raro vedere cervi e daini pascolare nei prati del campus. Inoltre gli studenti sono mediamente molto ricchi (Bard è nella top 10 dei college più costosi degli USA!), quindi questo crea un po' un contrasto tra l'ambiente in cui è inserito il college e le abitudini degli studenti che ci vivono. In ogni caso, New York City non è molto lontana, quindi spesso gli studenti trascorrono lì il fine settimana; si sente parecchio l'influenza della città sul college, sia per lo stile di vita degli studenti che per le attività che vengono fatte in campus: spesso vengono a suonare band da NYC, e ci sono spettacoli teatrali, concerti di musica classica e mostre d'arte con artisti di buona fama.


La biblioteca di Bard College

Di cosa ti sorprendi quando cammini per strada?
Insegnare italiano qui mi ha permesso di venire a contatto con molte persone interessate alla nostra cultura, non solo nel college ma anche nei paesi confinanti: spesso si tratta dei figli, nipoti e pronipoti degli italiani trasferitisi in America negli anni 40-50. In particolare però mi ha colpito come ci siano molti over 60 interessati alla nostra cultura: sono solitamente persone con un livello di cultura piuttosto alto, abbastanza ricchi, che si interessano alle nostre tradizioni culinarie, artistiche e cinematografiche come un modo per rimanere legati alle loro origini. Per quanto riguarda gli studenti di italiano all'interno del college, sono perlopiù figli di italiani all'estero e studenti di origine ispanica (per i quali l'italiano è la lingua più facile da imparare, essendo madrelingua spagnoli). Non mancano tuttavia studenti americani, cinesi, brasiliani, ungheresi, ecc., che, affascinati da un particolare aspetto dell'Italia, decidono di studiare la nostra lingua.

Com'è l'Italia vista da dove ti trovi?
Al di fuori di alcuni ambienti particolari, come appunto il dipartimento di Italiano nel college o le comunità di italo-americani, l'Italia non è certo il centro del mondo per gli statunitensi. Non ho mai trovato sul giornale un articolo che parlasse di qualcosa accaduto in Italia, e raramente l'americano medio ha idea di cosa succede da noi. Anche nell'ambiente universitario, la lingua e la cultura italiana sono secondari rispetto a quella spagnola-ispanica (d'altra parte lo spagnolo è la seconda lingua più parlata negli Stati Uniti!), francese e tedesca.

Quando pensi a Carmignano cosa ti viene in mente, senza pensarci troppo?
Se penso a Carmignano mi viene in mente che a Maggio sarò a casa, e magari potrò godermi un'estate più soleggiata di quella passata!

lunedì 23 dicembre 2013

TRA L’ARGINE E LA RIVA - Il favoloso racconto della vita di Ceo Pajaro - Parte 1

In occasione delle festività natalizie Fuori Luogo vi ripropone in 3 puntate l'intervista integrale a Ceo Pajaro già apparsa nella nostra passata versione cartacea.
E' un modo per condividere una storia che ci unisce e ci identifica con la serenità che contraddistingue un augurio sincero.
Buona lettura dalla Redazione di Fuori Luogo. 



Per spiegare ad uno straniero il significato del termine ‘luogo’ potremmo utilizzare la definizione pulita ed efficace scritta sul dizionario. Oppure azzardare un’operazione meno immediata ma certamente più affascinante: che se in un determinato posto geografico, oltre a precise caratteristiche fisiche, riesci a riconoscere anche un umore ed un clima generati “naturalmente” da chi questo posto lo abita, allora avrai riconosciuto ciò che potresti descrivere con gli stessi aggettivi che si possono utilizzare per descrivere una persona. Potremmo poi prendere lo straniero per mano ed accompagnarlo in osteria da Ceo a mangiare un panino e bere una spuma o una birretta. Oltre a comprendere con poco sforzo il significato del termine, si porterà a casa il ricordo di un’esperienza da poter raccontare perché le storie che profumano di vita conservano il loro profumo anche in lingue differenti. 



IL LOCALE

A chi è stato almeno una volta da Ceo Pajaro prendendosi il giusto tempo di guardarsi attorno, non sarà sfuggito che, lì dentro, anche le sedie avrebbero una storia interessante da raccontare. Quando proponiamo a Ceo ed al figlio Nano di regalarci un po’ di tempo per ricordare la loro storia, che è anche la storia di un pezzo del nostro paese e della nostra Brenta, le parole non fanno nessuna fatica ad uscire.
Ed allora si parte. Si parte dal principio: “Raccontaci Ceo, da dove è iniziato tutto?” e Ceo racconta: “Ero giovane, era il 1949. Qui il posto era proprio bello, mi piaceva. Prima che arrivassi io, qua dove siamo adesso passava la ferrovia che portava la ghiaia dai cantieri del Duca Camerini di Piazzola alla stazione di Carmignano, e poi da lì a tutta l’Italia. Chiesi se si poteva costruire una casa e mi dissero che sarebbe stato troppo pericoloso, che l’acqua del Brenta prima o poi l’avrebbe portata via. Non mi importò, non li ascoltai: ebbi il permesso dal comune e costruii questa casa, avevo 23 anni allora. Nato l’8 Ottobre del ’26 anche se le carte dell’anagrafe riportano la data del 9”.
“E l’osteria?” chiediamo. “Dal primo giorno che venni ad abitare aprii l’osteria, anche se allora non si trattava proprio di osteria ma di un circolo del dopolavoro in cui i clienti dovevano avere una tessera per poter “consumare”. Non si poteva aprire un’osteria per problemi di bacino di popolazione. A quel tempo c’era il locale che oggi si chiama Malatesta che occupava già la licenza nella nostra zona per cui fino al ’69 non saremmo stati osteria”.


“Appena aperti qui preparavamo panini, le morette del Brenta fritte con la polenta che pescavamo con la moscaròea: una trappola per mosche che avevamo adattato alle nostre esigenze. La si posava sdraiata in riva al fiume in maniera che l’acqua la riempisse per metà, ci mettevamo un tappo e, sul fondo, della farina gialla che serviva da esca. Quando il pesce entrava non ne usciva più e quando la moscaròea era piena di pesce ci bastava tirarla su e mettere il pescato nel crivèo con la farina e dopo a friggere”. “A quei tempi funzionava a un franco alla passùa: quando uscivi dal locale, anche solo per pisciare, il contratto si scioglieva ed al rientro andava rinnovato!”. Il cibo a chilometri zero e l’happy hour di quarant’anni fa…
Penso ai rimpianti di chi è troppo giovane e non ha potuto vivere l’osteria a quella maniera, nel frattempo il racconto prosegue: “il pesce del Brenta abbiamo potuto mangiarlo fino al ’91, poi le cose sono cambiate, troppe concerie che, a monte, scaricavano e inquinavano l’acqua e il pesce spariva tutto, gli ultimi anni servivamo solo pesce di mare e, dal 2003 abbiamo deciso di smettere anche col servire pasti, troppo, troppo lavoro, no se riussiva a ‘ndarghine fòra!”.
Chiediamo di slancio: “Cos’altro è cambiato qui attorno da quando c’è l’osservatorio dell’osteria?” “Uh, un sacco di cose: dal modo in cui si trascorre la Pasquetta in Brenta ai mutamenti della fauna, uccelli e pesci soprattutto. Della Pasquetta mi ricordo cos’era negli anni ’60 e ’70, quando le famiglie venivano ad aprire la bella stagione in Brenta mangiando ovi e fugassa accompagnati da vino bianco. E com’era bello giocare a Rugolo – ricorda Nano – bastava una tavola di quelle che usano in edilizia, un mucchio di sabbia e delle uova che coloravamo cuocendole con ortica (per farle venire verdi) o altre spezie. Si facevano rotolare le uova su questa tavola che sistemavamo in pendenza e finivano nella sabbia. Chi lanciava l’uovo dopo di te, se toccava il tuo, se lo poteva portare a casa. I più fortunati erano quelli che potevano permettersi uova di oca o di faraona perché non si rompono mai…”.
“Dal punto di vista faunistico i cambiamenti sono stati, se possibile, anche di più: in questo periodo vediamo tante specie di uccelli, diversi però da quelli di una volta. La bigia padovana, ad esempio, non c’è più da almeno 10 anni credo, per colpa delle cornacchie e delle gazze che se le sono mangiate tutte.
Poi adesso abbiamo gli scoiattoli che prima non avevamo mai visto, vanno da una pianta all’altra ed è bello guardarli correre dalla finestra. Ce ne sono sia di quelli neri che di quelli rossi. Poi ci sono i picchi che senti fare – tac tac tac – sugli alberi: quello normale e quello verde. Vi è mai capitato di avere l’impressione che qualcuno vi rida dietro quando siete seduti fuori sotto la pergola? Quello è il verso del picchio verde. Gli uccelli tradizionali come il martin pescatore non sono mai mancati, mentre di nuovi sono arrivati i gabbiani che prima non c’erano. Cucaine e rondoni, invece, non se ne vedono più”.
“Se guardiamo ai pesci, siamo in un momento fortunato: sono tornati tutti a parte lo strijo che non c’è più da quando hanno fatto la diga di Carturo che gli impedisce di risalire fino a qua e, se faranno altre briglie nel fiume come sembra sia in progetto, allora si vedranno altri numerosi cambiamenti. Per adesso la pesca va forte anche se, rispetto a una volta, c’è meno di tutto, meno pesci, meno uccelli, di conseguenza meno pescatori e meno cacciatori.”    
E se semo anca divertii in sti ani savìo: dal ’71 al ’73 abbiamo organizzato la sagra della pasquetta, di fianco l’osteria c’erano perfino le giostre; e anche un paio di feste dell’Unità, per due anni consecutivi sempre nello spazio dietro il locale”.
E anca al giorno d’oncò e storie da contare no manca! Ogni mattina, Lunedì escluso, si parte qualche minuto prima delle 7 col primo caffè al primo cliente che è sempre Callisto Mariga, e fino alle 7 di sera è lunga, specialmente durante la stagione calda” (continua...)