mercoledì 11 febbraio 2015

TUTTO UN ALTRO CALCIO: ÉTIENNE MATTLER, DIFESA E RESISTENZA

di Roberto Pivato

Mattler con la Coppa di Francia del '37

Quando nel ’44 lo videro tornare, a Sochaux non credevano ai propri occhi. 
Le notizie giunte assicuravano che era morto, come tanti altri, in un campo di prigionia nazista. E invece eccotelo lì, come il tempo non fosse mai passato da prima della guerra. Non solo era vivo, ma voleva pure tornare a giocare. E come si poteva dirgli di no?! Lui era Étienne Mattler (Belfort, 25/12/05 – Sochaux, 23/03/86), mica uno qualsiasi! 
Col Sochaux aveva giocato dal ’29, fino a quando l’invasione nazista fermò anche il calcio, e lui, dopo essere stato baluardo della retroguardia giallo-blu, decise di esserlo anche della Resistenza. Combatté i tedeschi, fu catturato e deportato e tutti lo credettero morto. Invece lui era scappato. Si era divincolato dalla marcatura teutonica e, per una volta, aveva fatto come le punte, quelle svelte, che non sai mai da quale parte andranno. Ne aveva marcata di gente così! E quasi sempre aveva avuto la meglio lui. Chissà come sarebbe andata a ruoli invertiti? Andò bene. 
Mattler evase e si rifugiò in Svizzera, finché le cose non cominciarono a migliorare, Parigi venne liberata nell’agosto del ’44 e lui poté rivedere la Francia. Da giovane aveva giocato nella formazione del suo paese, Belfort; poi due anni allo Strasburgo e, infine, l’approdo ai Les Lionceaux. Qui vince due campionati e una coppa nazionale e si consacra come forte difensore (lo chiamavano le balayeur, cioè lo spazzino, il netturbino). Se ne accorgono pure in nazionale e Mattler prende parte ai primi tre mondiali della storia. Diventa anche capitano dei Bleus, dimostrando tutto il suo carisma e coraggio in un’occasione particolare: il 4 dicembre 1938, a Napoli, si svolse un’amichevole tra l’Italia (fresca campione del mondo per la seconda volta, proprio in terra francese) e i transalpini. Il clima non era certo dei migliori: le tensioni fra i due paesi erano forti e durante la coppa del mondo i calciatori azzurri erano stati continuamente fischiati dai supporter locali (anche e soprattutto per il loro saluto romano all’inizio delle partite).

Meazza e Mattler al calcio d'inizio di Italia - Francia del '38 

Alla vigilia dell’incontro amichevole, nell’albergo partenopeo dove la nazionale francese era allocata, Mattler si mise a cantare a squarciagola “La Marsigliese”, seguito dai propri compagni. Un semplice gesto che infuse però coraggio e serenità a quei calciatori che, se non erano proprio impauriti, avrebbero sicuramente desiderato trovarsi altrove. Durante la gara, com’era prevedibile, il pubblico di casa si prese la sua stupida rivincita: fischi e offese in continuazione nei confronti dei giocatori avversari, in particolare verso quelli di colore. Difficile giocare in quelle condizioni; avvilente quantomeno. Deve essersene accorto il capitano, il quale, malgrado una clavicola danneggiata, rimane in campo per tutto il match per sostenere e infondere morale ai compagni. Appena tornato era naturalissimo per lui presentarsi subito alla sua squadra, forse ancora prima che ai suoi familiari od amici. D’altra parte la passione non si placa, nemmeno con le guerre, nemmeno con la prigionia e l’esilio. Étienne riprende il suo posto nella difesa del Sochaux, soprannominata emblematicamente “Linea Maginot”. Nella stagione ‘45/’46 ricopre anche il doppio ruolo di allenatore-giocatore, poi decide di fare il ct a tempo pieno. Guida il Thillot fino al 1949, poi il ritiro. 
La morte, quella vera stavolta, arriva nell’ ’86. A Sochaux non lo vedranno più tornare.

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