mercoledì 27 novembre 2013

TUTTO UN ALTRO CALCIO: CARLOS CASZELY, LE MANI DIETRO LA SCHIENA

di Roberto Pivato


La sera del 21 novembre 1973 la selezione calcistica cilena è al gran completo al Palazzo de La Moneda di Santiago. L’occasione è di quelle speciali: il presidente Pinochet vuole stringere le mani ad uno ad uno ai valorosi calciatori che sono riusciti nella lodevole impresa di qualificare il Cile per i mondiali in Germania Ovest dell’anno successivo. Tra questi calciatori ce n’è uno bassoccio e un po’ tracagnotto, con folti capelli neri e ricci e un paio di baffoni dello stesso colore. 
È il cannoniere del Colo Colo e della nazionale, l’amatissimo Carlos Caszely. Carlos è in fila e aspetta l’arrivo del dittatore, lui che era un sostenitore di Allende suicida l’11 settembre di quell’anno durante il golpe del generale. Carlos ripensa alla patetica messa in scena del pomeriggio: lo Stadio Nacional di Santiago è praticamente vuoto, ci sono solo soldati coi fucili puntati sulle tribune, uno strano odore di morte negli spogliatoi, un arbitro che si presta alla sceneggiata e i giocatori della Roja. Si dovrebbe disputare la gara di ritorno dello spareggio contro l’Unione Sovietica per l’accesso ai campionati del mondo. All’andata, in URSS, finì 0-0. I sovietici però si sono rifiutati di recarsi in Cile a giocare, ritenendo inaccettabile calcare un campo di calcio divenuto campo di prigionia e di tortura in un paese retto da una dittatura militare. La FIFA non sente ragioni (se non quelle della politica e degli interessi, sic!). Assegna la vittoria a tavolino al Cile, che si qualifica, e appoggia la ridicola farsa voluta dal regime. 
La nazionale di casa dovrà fare il suo ingresso in campo e giocare comunque, contro un avversario invisibile, segnare e farsi immortalare dai fotografi in atteggiamenti esultanti ad eterna memoria dello splendore della dittatura. Tutto procede secondo copione: i cileni si passano la palla e arrivano davanti alla porta incontrastati. Carlos riceve la sfera e pensa di buttarla fuori, anziché in rete, come segno di ribellione. Poi però si guarda intorno e ha paura dei fucili spianati su di lui. Tocca ad un compagno che mette in rete e viene fotografato mentre esulta come avesse segnato un gol vero. 
Al rientro negli spogliatoi non c’è nessuna gioia, solo vergogna mista a rabbia ed incredulità. Solo ora i calciatori cominciano a realizzare di aver preso parte a tutto tranne che ad una partita di calcio. 
Il Re del metro quadrato (così soprannominato per la sua capacità di trovarsi sempre al posto giusto in area di rigore per segnare) vede Pinochet avanzare verso di lui. Allora incrocia le mani dietro la schiena. Il dittatore è costretto ad accettare lo smacco e a passare oltre. 

Negli anni a seguire Caszely non saluterà mai Pinochet e deciderà, nel 1988, di fare qualcosa di concreto per opporsi al suo regime. Si svolge il referendum per assegnare o meno un nuovo mandato presidenziale al generale. Nelle previsioni dovrebbe essere un plebiscito di Sì, invece, grazie anche all’iniziativa di Caszely, il quale gira uno spot pro-No in cui compare la madre che racconta di essere stata catturata e torturata negli anni ’70, il No si afferma e il Cile torna ad essere un paese democratico dopo 15 anni. 
Carlos può così liberarsi di quel senso di vergogna e di complicità col regime che non lo aveva mai abbandonato da quel lontano 21 novembre 1973. 

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