mercoledì 17 dicembre 2014

FLORILEGIO DI SPROPOSITI NATALIZI

di GP F1



Le dieci frasi “sciogli ghiaccio” che potrete dire o che vi sentirete dire il 25 dicembre. La classifica non prevede un ordine di importanza ma si focalizza sui luoghi comuni che spesso si utilizzano per improntare, proseguire o concludere una conversazione che deve svilupparsi nel modo più neutrale possibile.

“Tanti auguri, seto! Pareva l’altro dì e invesse se sa passà un ano”. Frase di tipo Interstellar, l’ultimo film di Christopher Nolan, in cui i personaggi si rendono conto di una differente percezione del tempo in base alla loro posizione nello spazio. Il “seto” posto successivamente agli auguri funge da rafforzativo assoluto.

“Te si sempre sta beo/a, peta che te fasso i auguri”. Commento che tende al complimento infinito. Essendo il concetto di bellezza molto relativo, non si trova però il nesso tra la prima parte dell’affermazione e la seconda parte della stessa.

“Vien qua che te baso e te fasso i auguri”. Solitamente la frase viene sussurrata nel momento in cui scocca il cosiddetto “bacio parente”. In qualsiasi famiglia c’è un parente che, nel tentativo di baciare una guancia, scocca invece un bacio nell’orecchio destro o sinistro della vittima. L’effetto si può definire “diapason atomico”. Il fischio percepito si assopirà dopo circa dure ore dall’episodio scatenante.

“Intanto se sentemo e tachemo. No gò fatto tanta roba”. Anche in questo caso entra in gioco il concetto di relatività. Perché bisogna sedersi il prima possibile se il pranzo non prevede nulla di impegnativo? Diffidare della modestia del cuoco.

“Gavìo da fare el 31? Parchè conosso un posto dove che i fa el musetto col cren che se na favoea!! Pà no parlare dea lengua…..”. Frase solitamente pronunciata proprio mentre si sta affrontando il piatto più impegnativo del pranzo natalizio. E’ strano come nello stesso momento in cui si stanno ingurgitando centinaia di calorie ci sia anche la facoltà di pensare alle future calorie da assimilare. Il nostro spirito di sopravvivenza non ha confini.

“Peta che se femo na foto tacai l’albaro. Mi no so mia bon/bona….tien qua. Dopo te me a fe vedare”. Che nostalgia delle macchine fotografiche con il rullino! Il periodo di transizione tecnologica si fa sentire sempre di più. Siete digital natives o digital immigrants?

“Varda ciò, chi che ghe se! No sta mia passare trovarme seto! Ormai so anca stufo/a dirteo!”. La finta sorpresa iniziale seguita dal consueto e schietto rimbrotto finale. Se per caso chi viene interpellato risponde con un’altra domanda il discorso potrebbe ingarbugliarsi ancora di più. Sconsigliabile proseguire la conversazione con una surreale “Ma steto sempre dove che te stasevi?”.
“Te ricordito chea volta che……” Il finale è volutamente aperto perché solitamente la frase viene completata con una situazione di palese imbarazzo vissuta da chi viene chiamato in causa. L’effetto ricordo e successiva risata è irresistibile ma a volte l’aneddoto raccontato è lo stesso di ogni anno.

“Grassie seto! Ghi ne gavevo proprio bisogno!! Ma no gavevimo dito de no farse i regai st’ano?”. Frase da dire a regalo ricevuto. Bisogna saperla recitare bene. Fino a “bisogno” si deve essere felicemente sorpresi. La domanda successiva deve essere posta a mò di rimprovero ma con i famosi occhi del gatto con gli stivali di Schreck.

“Ben ciò. Magnà anca st’ano. Desso, dopo a Befana riva Pasqua in un attimo”. Frase conclusiva di un pranzo che magari è durato fino alle 17.30 del pomeriggio. Fuori è calata l’oscurità, l’apparato digerente sta lavorando come una centrale termonucleare e l’unico che probabilmente è ancora in grado di rispondere, non risponde ma sospira malinconicamente.

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