martedì 25 marzo 2014

TUTTO UN ALTRO CALCIO: SÓCRATES, LA DEMOCRAZIA NEL PALLONE

di Roberto Pivato


Nel 1982 il Brasile è governato da una dittatura ormai da quasi vent’anni. A San Paolo c’è una squadra di calcio, fondata ad inizio ‘900 da operai, che fin’ora è rimasta pressoché nell’anonimato, a causa dei scarsi risultati ottenuti sul campo: il Corinthians. In quello stesso 1982 Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente e solamente Sócrates, è un ragazzo di 28 anni, un campione noto a tutti per le sue straordinarie doti coi piedi, ma dotato anche di un’intelligenza acuta e di un non comune senso sociale nell’ambito calcistico. 
D’altra parte quando si ha un nome così impegnativo, che il padre gli diede dopo la lettura de La Repubblica di Platone, è destino che non si debba essere una persona qualunque. Soprannominato il “Magro” (per la sua corporatura alta e smilza), oppure il “Dottore” (per la sua laurea in medicina), Sócrates è un talento purissimo, un calciatore dotato di infinita intelligenza tattica, visione di gioco e abilità tecnica (un altro suo nomignolo era “il tacco di Dio”, a causa della sua predilezione per questo tipo di giocata spettacolare). 
È però anche un personaggio piuttosto controverso ed eccentrico: look che non passa certo inosservato, con capelli lunghi e folta barba; tendenze politiche di sinistra ampiamente dichiarate; poca tolleranza per la dittatura e per la vita professionale di un calciatore brasiliano dell’epoca. 
Tutto questo è Sócrates, il quale rimane, tuttavia, un idolo indiscusso del popolo carioca: il capitano della nazionale forse più spettacolare, ma non vincente, di tutti i tempi. Ai mondiali del 1982 i verde-oro, infatti, vengono fatti fuori dalla ben più concreta Italia, mentre in Copa America avevano racimolato un terzo posto nel ’79 e nell’ ’83 finiranno secondi. La rivincita “socratica” andrà però ben oltre l’aspetto puramente sportivo. Nel 1982 il “Dottore”, assieme ad altri compagni del Corinthians quali Wladimir e Casagrande, rifiutano l’autorità dell’allenatore e danno vita ad una sorta di autogestione interna: è l’inizio della “Democrazia Corinthiana”. 


Tutte le decisioni riguardanti la squadra (tattica, formazioni, allenamenti…) vengono prese in assemblee in cui il parere di ciascuno ha lo stesso potere (dal magazziniere al capitano), secondo il principio per cui: «una testa, un voto». In tal modo vengono presi provvedimenti scandalosi per la consuetudine calcistica brasiliana dell’epoca: niente ritiri, poiché portano sfiducia nel calciatore che avverte di dover essere controllato; possibilità di personalizzare le magliette bianco-nere di gioco con scritte che sveglino le coscienze sociali dei tifosi (la più famosa delle quali era la semplice: «Democracia», cioè «Democrazia»), o entrare in campo sostenendo uno striscione con scritto lo slogan: «Ganhar ou perder, mas sempre com democracia» («Vincere o perdere, ma sempre con democrazia»). 
Sembra una pazzia, eppure ha tantissimo successo tra il pubblico. Il Corinthians, da squadra mediocre e per lo più perdente, diventa un simbolo in tutto il paese e riesce perfino ad aggiudicarsi due campionati paulisti consecutivi (1982 e ’83). L’esperienza della “Democrazia Corinthiana” dura solo un altro anno, mentre la dittatura in Brasile cadrà definitivamente soltanto nel 1989. Certamente, però, l’esperienza innovativa di Sócrates e compagni ha contribuito affinché questo potesse accadere ed è stato certamente il più grande successo del “Dottore” il quale, al contrario, finirà tristemente la sua carriera (disputando anche una stagione deludente in Italia tra le fila della Fiorentina) e poi morirà, nel dicembre del 2011, per i suoi eccessi alcolici. Ma crediamo che per lui, il quale soleva dire che «essere campione è un dettaglio» rispetto ad essere un uomo, la democrazia in campo e fuori sia stata la soddisfazione che vale una vita.

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