lunedì 1 aprile 2013

THE GARDEN HOUSE


un racconto di Silva Golin
parte settima e ultima

“Bene ci siamo tutti? Allora io e Fenella andiamo in cucina a prendere i piatti”.
Fenella continuava a chiedersi, come una specie di mantra, ma come ha fatto ad arrivare domenica sera così in fretta. Lei si sentiva inadeguata, la cena sarebbe stata una schifezza e la sua camicia verde menta  le sembrava scialba, per non parlare dei jeans, tutte le signore erano agghindate come fate e trasudavano essenze costose. Fenella per calmarsi aveva soltanto massaggiato due gocce di olio essenziale sui polsi.
Alina le batteva sulle spalle, confortandola. Inoltre Maurizio a stento la guardava in faccia. Per fortuna era venuto solo, portando per davvero una pianta, un alberello di mele. Era carino e aveva una bella forma. Inoltre, pensò Fenella, avrebbe usato le piccole mele per decorare l'albero di Natale.
Tutti avevano avuto apprezzamenti per la casetta, era bella, era insolita, era demodè, era originale....
E tutti si erano complimentati con il bravo architetto che la aveva ristrutturata, insomma la serata fu piacevole, i cibi finiti, il vino rosè bevuto con parsimonia da chi doveva guidare e i dolci ebbero successo. Alla spicciolata gli ospiti se ne andarono, e Alina fu accompagnata alla stazione per prendere l'ultimo treno. Fenella aveva una montagna di piatti da lavare, sedie da giardino da sistemare e un leggero mal di testa. Maurizio se ne andò quasi per ultimo. Poi Fenella rimase sola, in mezzo alla baraonda non sapendo da che parte cominciare. Così, come era sua abitudine fece l'ultimo giro nel giardino. Quella sera più che mai, sembrava incantato, e lei si sentiva vuota e sola. Con se stessa poteva ammetterlo, aveva sperato che Maurizio si fosse accorto della sua confusione, della tristezza dei suoi occhi, delle pallide guance che aspettavano i suoi baci. Un'auto, nel viale, era strano sentirla a quell'ora, in quella via in cui nessuno abitava. Fenella corse al cancello di legno e lo aprì piano. La macchina era di Maurizio, ma lui non scendeva.
Avrà dimenticato qualcosa, pensò Fenella. Così si avvicinò alla portiera, lui si accorse di lei e uscì.
“Ti giuro che non è una scusa, la macchina ha qualche problema, fa un rumore che non mi piace. Posso dormire sul divano? Sono stanco morto e domani mattina devo essere in cantiere presto, ti scoccia?”
“Ma non ti ricordi? Io il divano non c'é l'ho! Ho solo un letto ed è molto stretto… Io non credo sia il caso, non puoi dormire in macchina?”
“Ti prendi cura di tutti quei stupidi animaletti che spuntano nel tuo giardino, le briciole per gli uccellini, l'acqua in ciotolette perchè non soffrano la sete... e io che sono un essere umano, non merito un po’ di comprensione?”
“Va bene, ok. Ma mi sembra molto sconveniente, e poi non hai il pigiama.”
“Dormirò vestito”.
Con un sospirò Fenella acconsentì.
“Stai facendo un gesto di carità, soprattutto dopo che ti ho maltrattata, quasi ingiustamente.”
“Infatti”.

E davvero il lettino da una piazza e mezza le sembrava più stretto che mai. Fenella indossava una camicia da notte chiusissima, Maurizio si era adattato a un pareo fantasia e la maglietta girocollo, poichè il giorno dopo non poteva presentarsi al lavoro tutto strazzonato. Come Fenella sentì la porta del bagno aprirsi chiuse la luce e si distese occupando trenta centimetri di letto. Maurizio fece altrettanto. Fenella voleva proporre di mettere un cuscino tra di loro oppure una coperta arrotolata, ma le sembrava una cosa da medioevo, infondo si trattava di poche ore. E poi si disse, erano così stanchi che si sarebbero addormentati subito.
“Bella festa, buono il cibo, chi ha cucinato?”
“Soprattutto Alina io non so molto cucinare”.
Fenella decise che non sarebbe riuscita a chiudere occhio, aveva freddo, poi caldo e il cuore le martellava così forte in petto che si stupiva che Maurizio non lo sentisse. Per questo rimase male quando sentì il suo respiro pesante e regolare, si era addormentato, piantandola in asso.
Ma la stanchezza alla fine ebbe la meglio anche su di lei.
Alcuni raggi di sole entrarono dalle imposte, Fenella si svegliò lentamente con la strana sensazione di essere bloccata al letto, tentò di muovere le gambe e questo fu peggio, si immobilizzò subito perchè con un ginocchio aveva sfiorato una zona morbida. Maurizio le era avvinghiato addosso, il suo viso appoggiato nel collo, le braccia che la cingevano in modo possessivo, i capelli arruffati e finalmente il suo vero odore, di pelle, di uomo. Fenella respirò piano chiedendosi cosa fare, forse durante la notte lo aveva cercato lei.
“Non muoverti”.
Il suo respiro così vicino al collo le fece il solletico. Lentamente le sue labbra le sfiorarono il lobo dell'orecchio e una mano si spostò a tenerle la nuca. Le sfuggì un respiro lungo e soddisfatto, i suoi occhi nel buio incrociarono quelli di lui, paura, tristezza, inadeguatezza, tutto scomparì in un istante. Fenella era solo felice, di sentire la vita scorrere in quelle braccia che la stringevano, in quelle gambe lunghe, in quel petto che a stento riusciva a trattenere la forza che conteneva. Il suo cuore pulsava impazzito, ma si lasciò travolgere dai suoi baci, dalle carezze languide sulle braccia e i capelli. Fenella capiva che era giusto, che aveva desiderato questo, che stava vivendo un momento magico ed irripetibile, che non avrebbe mai amato così…

                                                                       FINE

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