giovedì 1 dicembre 2011

L'EDITORIALE

Sotto una luce nuova


Mi è capitato in questi giorni di trovarmi fra le mani una vecchia foto di giornale che catturava una manifestazione di fine anni ’60 in Europa. Una foto che raffigurava quei giovani, vestiti di lana  e velluto, che ebbero il merito, per primi, di rivendicare la loro appartenenza anagrafica e che desideravano distinguersi dai propri genitori riconoscendosi come portatori di rivendicazioni del tutto originali e rivoluzionarie.
Naturale associare quel momento del passato con ciò che giornali e telegiornali contemporanei ci mostrano quotidianamente dei movimenti giovanili, vestiti adesso di cotone e nylon, che si incontrano e si muovono condividendo l’insostenibilità di questo loro presente e l’impossibilità di immaginare un futuro sostenibile.
Angosciante riflettere su come le due generazioni, così simili nel momento della rivendicazione, siano l’una la conseguenza dei comportamenti dell’altra.
Visto con gli occhi di oggi, l’impressione è che tutto ciò che veniva rivendicato negli anni ’60, e soprattutto le soluzioni che a questo disagio sono state trovate, avessero come obiettivo l’immediato, ma mancasse di una coerente visione strutturale che potesse assicurare garanzie al di la del tutto e subito.
Voglia di diritti, di libertà, di uguaglianza persi per strada con il passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Dimenticati fino a diventare nuovamente privilegio e necessario oggetto di rivendicazione da parte dei nuovi giovani che altro non sono se non i figli dei primi.
Ci troviamo quindi di fronte al rischio di una nuova, ennesima frattura sociale che si aggiunge a quella economica, a quella geografica, a quella di genere e a quella culturale: una frattura generazionale che rischia di mettere di nuovo i figli contro i genitori.
Se diabolico è perseverare, chi giustamente rivendica attraverso le reti fisiche e virtuali di questi nuovi anni ’10 e si propone di concorrere ad elaborare nuove soluzioni, non può dimenticare lezioni giuste ed errori da non ripetere. Un nuovo sistema è necessario, i sacrifici andranno distribuiti equamente e nessuno dovrà essere escluso da questa partecipazione, ma il fine non potrà non avere una soglia più estesa di quella che ebbe il fine di 50 anni fa, a scapito dell’immediatezza dovrà non dimenticare l’esigenza di guardare oltre se stessi fino ad immaginare una responsabilità che sia al di la delle proprie speranze di vita e di benessere.
Si può fare!

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