giovedì 1 settembre 2011

IL DUELLO


Il mio avversario se ne sta lì, zitto e immobile. Bastardo. Quel suo silenzio,
quella sua immobilità sono un insulto. “Vuoi prenderti gioco di me, vero? Eʼ
inaccettabile”, penso tra me e me. La mia vendetta calerà sopra di te,
implacabile e devastante, come uno tsunami.
Appoggio la mano sinistra alla spalla destra e faccio ruotare il mio braccio
muscoloso prima avanti, per due giri, poi indietro per tre volte, senza mai
staccare lo sguardo dal mio nemico. La canottiera “bianca a coste”, esalta
la mia schiena palestrata e la “tartaruga addominale”. Il jeans, appena
strappato, lascia intravedere un pezzettino di coscia. Eʼ depilata. Ci tengo.
Molleggio dolcemente sulle mie scarpe preferite, le “All Stars” viola. In
questo momento, il mondo esterno non esiste: sono concentrato su
quellʼinfame che ho davanti a me. Vedo solo lui, sembra di ferro, molto più
grosso e molto più alto di me, circa due metri. Non mi fa paura, io sono più
veloce di lui. Immagino cosa sta accadeno alle mie spalle: immagino i
passanti impauriti che accellerano il passo e fanno finta di niente, anche
se, con la coda dellʼocchio, cercano di seguire la scena il più a lungo
possibile, da lontano; immagino i miei amici, sono ansiosi, tesi, si staranno
chiedendo se ce la farò. Li sento, in lontananza, mi incitano: “Dai, sei tu il
campione! Sei tu il più forte! Distruggilo!”. Cʼè anche LEI ad assistere: è
bellissima, ma è preoccupata. E quando è preoccupata è ancora più bella.
Quel completino corto, leopardato, glielʼho regalato ormai dieci anni fa e le
sta sempre benissimo.
No, non devo distrarmi, devo rimanere concentrato o potrebbe essere la
fine. Ora basta, è lʼora di darci un taglio. Visualizzo la mia strategia per
sferrare lʼattacco finale. Ecco, sono pronto. Eʼ il momento. Piego la testa a
destra e poi a sinistra, facendo schioccare il collo come solo Mike Tyson
sa fare. Stringo la bandana bianca che mi avvolge le dita della mano
destra, pronta per picchiare. Un paio di saltelli sul posto, una breve
rincorsa, due, tre, quattro passi, e parte un pugno che potrebbe fracassare
il cranio persino al mitico Bud Spencer. “Piri-piri-piri-piri-piri-piri-pì! Macho-
Man Macho-Man!!!”, risponde lʼavversario sconfitto. Quel diabolico
marchingegno volgarmente chiamato “Punji-Ball”.
Ho vinto! “Adrianaaa!” urlo con la bocca storta come Rocky. I miei amici
sorridono, gridano, mi abbracciano e mi fanno i complimenti. LEI, la “mia
Adriana”, mi bacia con passione.
Poi, ancora carico di adrenalina, alzo le braccia al cielo, stringendo forte i
pugni, mi tolgo la canottiera, e la faccio roteare in aria, mostrando ai
passanti il mio nuovo tatuaggio a forma di dragone: la testa parte dalla
scapola sinistra, il corpo del drago continua, avvolgendomi il fianco destro,
per scomparire davanti, al di sotto della cinta. Dove termina la coda lo si
può solo immaginare.
Non cʼè dubbio, ho passato i quarantʼanni, ma sono ancora io il campione,
lʼunico, lʼoriginale, lʼimbattuto macho-man della sagra dellʼAssunta.

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