mercoledì 3 novembre 2010

L'EDITORIALE


E con questo siamo ad un anno. Un anno di Fuori Luogo corso via veloce tra gli entusiasmi neo-adolescenziali del primo numero, con l’emozione delle prime consegne casa per casa e l’attesa delle reazioni di un paese che, per quanto ricco e amato, temevamo si rivelasse pigro a reagire di fronte alla nostra proposta.
Poi via col secondo numero e tutti gli altri con sempre più la certezza di lavorare ad un’idea brillante ed apprezzata. L’attenzione che si è spostata progressivamente dall’esterno verso l’interno a ricercare in redazione di affinare l’arte, per mostrarsi attenti anche alla forma oltre che ai contenuti ed essere sempre più visibili, soprattutto per rimanere utili nel rispondere ai bisogni che di volta in volta riuscivamo a rilevare nei lettori.
E’ stato un percorso intrapreso non da giornalisti ma da una piccola redazione di appassionati volontari che, col tempo, ha provato a capire come guardare da giornalisti cercando di cambiare i propri occhi, alzando il proprio punto di vista sempre più fino a sperimentarne uno nuovo, oggettivo, non imparziale perché l’imparzialità appartiene all’indifferenza, ma di certo interessato ed attento verso un territorio a cui vogliamo così bene da essere sfacciati nel rivelarne le brutture e le contraddizioni oltreché i suoi tanti tesori.
E così è stato come smontarlo un po’ questo paese, liberarsi man mano dei legami superficiali per arrivare all’essenza e riuscire a descrivere ciò che c’è di veramente bello e ciò che rimane di proprio brutto.
Su tutto due cose: gli entusiasmi e le distinzioni.
I primi sono il carburante di un motore sociale che fermenta, scoppietta gioiosamente alimentando le rincorse agli scopi delle proprie esistenze; le seconde ne costituiscono il limite, le barriere artificiali che minano il perseguimento di questi obiettivi vitali.
Se gli entusiasmi si alimentano e riproducono all’interno dei gruppi, le sempre più frequenti distinzioni sembrano essere soltanto la scusa per creare barriere divisorie, utili soltanto a scaricare responsabilità in caso di insuccesso e riempire frustranti mancanze di risultati.
E’ un paese che fa ogni giorno un po’ più fatica ad aprire le finestre al mattino per godere di ciò che riuscirà a vedere fuori, è un paese che non conosce più il proprio vicino di casa ma conosce benissimo ciò che accade nel mondo attraverso il proprio televisore. Le tradizioni si trasformano da collante di una comunità a pretesto per distinguersi da chi ne possiede di differenti.
Carmignano non è un punto nero, siamo inseriti in un momento difficile della storia in una nazione che fatica a trovare la propria attuale identità all’interno di questo labirinto di modernità e, non dimentichiamoci, questo è solo il punto di vista non imparziale di chi scrive questo giornale oppure, vedetela come vi pare, può semplicemente diventare il pretesto per dimostrarsi differenti da come possiamo sembrare.

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