giovedì 1 dicembre 2011

IL CARMIGNANESE, LE FESTIVITA' E IL CENTRO COMMERCIALE

di Fabio Marcolongo


Il centro commerciale. Meta invernale/festiva prediletta dai giovani del ventunesimo secolo.
Ma molto spesso, all’interno della coppia, l’esperienza del centro commerciale è vissuta in modo diverso tra uomo e donna.



RICCARDO (detto Richi)
Quando una domenica sera prenatalizia lo vedi arrivare al bar, capisci subito. Cammina lungo il marciapiedi con le mani in tasca, le spalle leggermente incurvate in avanti, i capelli spettinati, gli occhi iniettati di sangue. Non pensare di andargli incontro e di chiedergli con entusiasmo e voce squillante: “Ciao Richi! Dove sei stato di bello oggi?”. Rischi di beccarti una testata diretta al setto nasale. E’ meglio usare un approccio più “morbido”, accogliente (ma non troppo).
Mi raccomando: voce bassa, leggermente disinteressata (ma non troppo): “Ciao. Che schifo, domani al lavoro. Oggi è stata proprio una brutta giornata per me. A te invece... ti vedo...”.
Ecco. I puntini di sospensione, la pausa, la tua salvezza. A questo punto ti troverai di fronte a due alternative: se lui non concluderà la frase non azzardarti a concluderla tu! Perché, sia che tu dica: “...ti vedo... bene”, sia se dirai: “...ti vedo... mi sembri arrabbiato”, scatterà la suddetta testata. Quindi, con la massima nonchalance ed indifferenza (ma non troppo) lascia cadere le tue parole nel vuoto e offrigli immediatamente qualcosa da bere: “...ti vedo... ...spritz Aperol o Campari? Sai che ho provato una nuova birra? Si chiama Auschwenzeit. Ne ordino un paio?”. E ricorda: il tempismo è tutto.
Al contrario, se la fortuna ti assisterà, la tua frase la completerà lui: (TU) “Ciao. Che schifo, domani al lavoro. Oggi è stata proprio una brutta giornata per me. A te invece... ti vedo...”.
(LUI): “Taci và, siamo stati alle PIRAMIDI... io volevo partire all’una per evitare il casino, ma la Stefy aveva parenti a pranzo.
Sono andato a casa sua a bere il caffé... e quella sua zia romana impicciona che parla sempre... mi ha ‘massacrato’ per più di un’ora: non stava mai zitta! Mi ha raccontato che ha fatto fare dei lavori a casa. Ce l’aveva con gli imbianchini, gli idraulici ed in particolar modo con gli elettricisti: gli elettricisti qua, gli elettricisti là... e se tutti pagassero le tasse, e se i lavoratori ‘in proprio’ fossero onesti,... Poi mi ha chiesto che lavoro faccio, e io orgogliosamente le ho risposto: l’elettricista, ho la partita IVA. Gelo e silenzio per trenta secondi... Alla fine,siamo partiti da Carmignano alle quattro! Com’è la nuova birra che hanno qui? La... ahh sì, la Auschwenzeit... ordiniamo? Due Auschwenzeit per favore...”.
Ce l’hai fatta: hai evitato la testata. Ora, per non rompere il delicato equilibrio del tuo amico, è importante che non lo interrompi.
Anzi, continua a fi ssarlo dritto negli occhi e ad annuire ogni 30- 35 secondi: deve credere che ti interessa tutto quello che ti sta raccontando.
“Ti dicevo... siamo partiti da casa della Stefy alle quattro, siamo arrivati in prossimità delle PIRAMIDI venti minuti dopo, ma poi... abbiamo trovato una coda interminabile: un’ora e un quarto per trovare un parcheggio!!!”. Richi continuerà con un interminabile monologo: racconterà che ha dovuto pagare tutti i regali di Natale con il proprio bancomat (anche il “pensiero” per la zia romana: un profumo di D&G da 120,00 euro); confesserà la sua paura di dover tornare al centro commerciale il 24 dicembre; e, attraverso una serie di creative bestemmie natalizie, sfogherà tutta la rabbia per aver trovato la sua macchina nuova tutta ammaccata.

STEFANIA (detta Stefy)
Arriva tardi e bacia il ‘suo LUI’ che ha appena finito di raccontare. Io Richi lo capisco. E’ difficile dire di no quando la Stefy chiede qualcosa: è carina,
sempre sorridente, positiva, gioiosa, ti guarda con quei suoi begli occhioni blu, luccicanti e vivaci. Con l’entusiamo simile a quello di un criceto quando sale sulla ruota, inizia a descrivere la meravigliosa giornata appena passata:
“Dovevamo partire all’una, sai, Richi è sempre ansioso quando dobbiamo andare al centro commerciale. Vuole partire presto per trovare meno gente. Ma cosa ti farà poi la gente, eh amore? Non ti mangia mica, no? Lui la odia... e poi odia i miei parenti, ma come faremo quando ci sposeremo?!?
Pensa che mia zia Lella, oggi, a casa mia, l’ha intrattenuto per quasi due ore per non farlo sentire in imbarazzo! Poi, quando siamo arrivati alle PIRAMIDI si è innervosito per un’oretta di coda alla ricerca del parcheggio, e all’uscita si è arrabbiato per una bottina alla macchina nuova...
Amore... devi imparare a rilassarti, prenderla con filosofia!
E’ SOLO una macchina, non vorrai mica diventare schiavo di un oggetto, no!?!! Devi essere positivo, abbiamo trovato un sacco di bei regali per Natale: la borsa di Prada per mia sorella, la macchinetta del caffé per i miei, il profumo di D&G per la zia Lella, le pantofole per la nonna,...!
Pensa, che io non avevo portato la carta di credito perché volevo tornare a comprare tutti i regali la Vigilia, così facevamo un altro giro alle PIRAMIDI per respirare questo meraviglioso clima natalizio. Invece Richi ha insistito per prenderli tutti oggi, e si è offerto di pagare lui con il suo bancomat! Che tesoro!
Così adesso, la Vigilia, possiamo tornare senza il pensiero dei regali, vero amore?!”

Ecco, ripeto, io Richi lo capisco. E gli auguro di passare delle buone feste, anche se l’altro giorno, quando l’ho rivisto, davanti ad un buona birra Auschwenzeit, mi ha raccontato che quella maledetta domenica gli hanno clonato il bancomat.

AL CENTRO PER RIPARTIRE

L'inaugurazione del Centro Giovanile nel 1971


Presente e futuro di un oratorio da riscoprire

Uno degli articoli che tenne a battesimo il primo numero di questa testata si interrogava sul futuro del Centro Giovanile parrocchiale di Carmignano, una struttura irrinunciabile alla vita della nostra Comunità per chi sia cresciuto in paese dagli anni settanta ad oggi.
Nel corso delle successive uscite di Fuori Luogo siamo tornati spesso, più o meno indirettamente sull’universo del Centro Giovanile, per parlare di attività che al suo interno sono state proposte ed anche (nell’ultimo numero di Settembre 2011), di attività che non ci saranno più.
Cade proprio a fagiolo, quindi, l’anniversario del quarantennale dall’inaugurazione del Centro, festeggiato a fine Novembre 2011, per incontrare il Parroco Don Egidio, presente a Carmignano ormai da tre anni, per raccogliere la sua esperienza, le sue motivazioni e la sua filosofia nell’ambito della gestione di uno spazio fondamentale per il paese come quello del Patronato.      
“Arrivo dalla Parrocchia di Montecchio Maggiore e, in precedenza, ho conosciuto tra le altre le Parrocchie di Rosà e Torri di Quartesolo, tutte realtà particolari perché caratterizzate da una forte presenza commerciale. Arrivare a Carmignano mi ha riportato vicino alla mia realtà cittadellese, terra in cui sono nato ed ho vissuto con la mia famiglia”. “Qui ho trovato un grande patrimonio di volontari e di disponibilità nel partecipare alla vita della comunità cristiana”.
Non ci mettiamo molto ad arrivare a parlare del Centro, perché l’occasione del quarantennale lo facilita ed anche perchè sembra essere un tasto cruciale per entrambi gli interlocutori.
“Quando sono arrivato in paese mi sono trovato di fronte alla scelta se dare precedenza agli investimenti per la Chiesa o a quelli per il Centro e, in accordo con Consiglio Pastorale, Consiglio Affari Economici e NOI Associazione, non abbiamo avuto dubbi nel dare priorità a quelli per il secondo”. “Nel mio caso la scelta è stata motivata dall’imminente anniversario del quarantennale ma anche dall’importante ruolo che affido ai giovani all’interno della mia azione nella comunità cristiana”.
Don Egidio ci porta l’esempio della sua precedente esperienza di Parroco in cui ha lavorato per la creazione di spazi sportivi che fossero appetibili per i giovani e di come fosse legato al proprietario della discoteca “Boom” che, alcuni ricorderanno, era presente nel territorio delle Alte di Vicenza. Con lui condivideva la convinzione che per essere accattivante verso i più giovani, un luogo deve sapersi rinnovare ciclicamente, almeno ogni biennio, perché bisogna saper stare al passo con il dinamismo dei ragazzi.
Con la stessa motivazione, unita all’esigenza di adeguare in termini di normative sulla sicurezza il posto, l’opera di Don Egidio ha investito nel Centro Giovanile, sia negli spazi interni che in quelli esterni, dove il rinnovamento non è ancora ultimato.
Tutto è stato pensato al fine di concedere degli spazi sicuri e rinnovati alla comunità che ora può sfruttare l’ex atrio come sala dove festeggiare compleanni, i nuovi servizi igienici messi a norma, nuovi serramenti ed un parco giochi esterno (dietro il Centro) dove le famiglie possono portare i più piccoli.
Si è pensato anche alla sicurezza in termini di ordine pubblico, ci racconta Don Egidio, recintando il parcheggio con cancelli e dotando tutti gli spazi di telecamere in grado di riprendere anche quando fa buio.
Gli interventi che ancora rimangono da fare all’esterno riguardano la piattaforma retrostante il Centro dove non troverà più spazio lo skatepark in favore di un impianto sportivo multidisciplinare.
Proprio riguardo la questione dello skatepark, cui abbiamo dato spazio nello scorso numero, chiediamo a Don Egidio di approfondire la scelta fatta, risultata incomprensibile a molti ragazzi e molti adulti che abbiamo incontrato dopo l’uscita dell’intervista all’Associazione Zucka nel numero di Settembre.
“Quando parlo di rinnovamento intendo anche questo”, ci spiega il Parroco, “dopo 12 anni, assieme agli altri tre organi che gestiscono la vita della Parrocchia e del Centro Giovanile abbiamo creduto fosse il momento di dare spazio ad altro, ad altre attività, cambiare giro per allargare l’offerta del Patronato per i giovani”.
Ma non c’era proprio margine di dialogo coi ragazzi che hanno gestito lo skatepark fino ad oggi? Chiediamo al Parroco, che ci risponde: “i ragazzi dell’Associazione Zucka li ho incontrati personalmente per spiegare che non avremmo rinnovato il comodato d’uso della piattaforma e mi sono anche impegnato a fare loro due diverse proposte di spazi in altri comuni in cui poter spostare le loro attività”.
“Ho concesso loro la possibilità di fare l’ultima festa (Zucka contro tutti) nel 2010 nel parco del Centro ma la dimensione dell’evento era già troppo grande per essere gestita in sicurezza in quello spazio”.

Pluralità di interessi al pubblico e sicurezza degli impianti sono state le linee che hanno guidato fin qui l’azione di Parroco e comitati di gestione verso il rinnovamento del nostro Centro Giovanile, priorità senz’altro condivisibili che aspettano ora il riscontro della loro efficacia in termini di presenze e relazioni significative che vi verranno costruite.
Riconoscendo appieno il valore degli interventi strutturali fin qui fatti e la fortuna di avere chi se ne prende incarico e responsabilità ci sembra doveroso sottolineare qui un concetto ben espresso da Don Egidio anche nella prima pagina del depliant sul quarantennale del Centro Giovanile, da poco distribuito a tutte le famiglie, che ben sintetizza il principio che dovrebbe regolare la gestione di un luogo cardine della vita sociale carmignanese: “l’Oratorio non è il pallino di alcuni volenterosi che si accollano iniziative e problemi, ma investe tutta la comunità”. Proprio per validare questa preziosa dichiarazione sarà necessario operare in modo inclusivo per evitare il rischio che qualcuno si senta più “investito” di altri a portare a termine questa difficile missione.
Buon lavoro a tutti!

L'EDITORIALE

Sotto una luce nuova


Mi è capitato in questi giorni di trovarmi fra le mani una vecchia foto di giornale che catturava una manifestazione di fine anni ’60 in Europa. Una foto che raffigurava quei giovani, vestiti di lana  e velluto, che ebbero il merito, per primi, di rivendicare la loro appartenenza anagrafica e che desideravano distinguersi dai propri genitori riconoscendosi come portatori di rivendicazioni del tutto originali e rivoluzionarie.
Naturale associare quel momento del passato con ciò che giornali e telegiornali contemporanei ci mostrano quotidianamente dei movimenti giovanili, vestiti adesso di cotone e nylon, che si incontrano e si muovono condividendo l’insostenibilità di questo loro presente e l’impossibilità di immaginare un futuro sostenibile.
Angosciante riflettere su come le due generazioni, così simili nel momento della rivendicazione, siano l’una la conseguenza dei comportamenti dell’altra.
Visto con gli occhi di oggi, l’impressione è che tutto ciò che veniva rivendicato negli anni ’60, e soprattutto le soluzioni che a questo disagio sono state trovate, avessero come obiettivo l’immediato, ma mancasse di una coerente visione strutturale che potesse assicurare garanzie al di la del tutto e subito.
Voglia di diritti, di libertà, di uguaglianza persi per strada con il passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Dimenticati fino a diventare nuovamente privilegio e necessario oggetto di rivendicazione da parte dei nuovi giovani che altro non sono se non i figli dei primi.
Ci troviamo quindi di fronte al rischio di una nuova, ennesima frattura sociale che si aggiunge a quella economica, a quella geografica, a quella di genere e a quella culturale: una frattura generazionale che rischia di mettere di nuovo i figli contro i genitori.
Se diabolico è perseverare, chi giustamente rivendica attraverso le reti fisiche e virtuali di questi nuovi anni ’10 e si propone di concorrere ad elaborare nuove soluzioni, non può dimenticare lezioni giuste ed errori da non ripetere. Un nuovo sistema è necessario, i sacrifici andranno distribuiti equamente e nessuno dovrà essere escluso da questa partecipazione, ma il fine non potrà non avere una soglia più estesa di quella che ebbe il fine di 50 anni fa, a scapito dell’immediatezza dovrà non dimenticare l’esigenza di guardare oltre se stessi fino ad immaginare una responsabilità che sia al di la delle proprie speranze di vita e di benessere.
Si può fare!

giovedì 1 settembre 2011

SULLA RAMPA: IL FUTURO DELLO ZUCKA SEMPRE PIU' LONTANO DA CARMIGNANO


Prossimi alla data fatidica dell’undicesima edizione dello “Zucka contro tutti” abbiamo contattato gli organizzatori per avere anticipazioni sulla festa giovanile più influente dell’anno. Venuti a sapere che, dopo 10 anni, la festa non ci sarà abbiamo voluto saperne di più.

Quando avete scelto di non organizzare l’edizione 2011 di Zucka contro tutti?
Vedi, non si è trattato di prendere una decisone da parte nostra, quanto piuttosto di essere venuti a conoscenza che non avremmo potuto organizzarla per decisione altrui. Non è stata nemmeno una sorpresa perche lo avevamo iniziato a capire da alcuni segnali già dall’anno scorso durante l’edizione del 2010.
Poi una lettera della Parrocchia ha reso ufficiale la presa di questa decisione che non abbiamo potuto fare altro che subire.

Quali sono stati i segnali che vi hanno fatto capire come sarebbe andata a finire?
Due anni fa, poco prima dell’edizione 2009 che avremmo dovuto realizzare nella piazza dietro al Comune, ci fu imposto in maniera piuttosto repentina di spostare tutto in zona industriale. Avevamo già presentato la richiesta dei permessi agli uffici comunali che però non ci sono mai arrivati. Fortunatamente fu trovata la soluzione della zona industriale altrimenti avremmo dovuto rinunciare già nel 2009.
Durante gli incontri successivi col Comitato del Centro Giovanile e con il Parroco avvenuti in preparazione della festa del 2010 emerse palese la volontà da parte loro di concludere ogni rapporto tra il Centro Giovanile e l’associazione Zucka Skateboarding. L’accordo in comodato con cui la Parrocchia ci permetteva di utilizzare la piastra in cemento dietro al Centro scadrà ad Agosto 2012 e, con la stessa comunicazione ufficiale, Parroco, Associazione NOI, e Consiglio affari economici della Parrocchia ci comunicarono ufficialmente che non ritenevano opportuno che si organizzasse un altro Zucka contro tutti.



Avete pensato a come tutto questo si sarebbe potuto risolvere bene a vostro favore?
Sarebbe stato tutto più semplice se fossimo entrati dentro alcuni meccanismi ufficiali, come ci fu anche proposto di fare, come ad esempio la Pro Loco. Si trattava comunque di due filosofie di lavoro troppo diverse per poter convivere per cui una soluzione di questo tipo non è mai andata a buon fine.
Abbiamo sempre pensato anche che la nostra autonomia fosse il valore aggiunto più importante della nostra associazione e del nostro modo di operare. Il contest che abbiamo organizzato ogni anno da 10 anni a questa parte è considerato una perla nel panorama skate italiano. Non rientrava in nessun circuito specifico, nemmeno del panorama skate italiano, in maniera che chiunque vi potesse gareggiare liberamente! Un contest indipendente che avrebbe avuto senso salvare solo se fosse rimasto tale.

Qual è la reazione di chi utilizza il park quando viene a conoscenza che il contest e la festa quest’anno non ci saranno?
I ragazzi che praticano lo skate sono schifati, è questa la parola giusta, e per i ragazzini più piccoli che vengono a skateare sono i loro genitori ad essere schifati. La festa era il nostro modo di raccogliere i fondi che ci permettevano di tenere in vita lo skate park rinnovando le strutture e tenendole in sicurezza. Anche i vicini che confinano col nostro spazio sono dispiaciuti che non ci saremo più dal 2012 e hanno avuto modo e voglia di farcelo sapere. La nostra presenza garantiva che gli spazi fossero curati e l’accesso controllato, cose che prima del nostro arrivo venivano trascurate.



Dopo 10 anni, qual’ è stata la molla che ha fatto scattare questa frattura tra Centro Giovanile e Zucka?
Probabilmente la nostra presenza non è mai andata completamente giù al gruppo di gestione del Centro. Con gli anni, crescendo anche d’età, abbiamo fatto passi importanti per rendere sempre più normata la nostra posizione. Tuttavia, col cambio del Parroco, i rapporti sono precipitati in fretta portando a questo punto di non ritorno del mancato rinnovo del contratto di comodato e all’invito a non organizzare la festa.

Cosa rimarrà della vostra esperienza?
Mettiamo subito in chiaro che il Park non morirà quando se ne andrà dal Centro Giovanile! Abbiamo avuto richieste di poterlo ospitare da altre parti, noi abbiamo un paio di piani possibili per garantire che le strutture continuino ad essere utilizzate dagli appassionati. Di sicuro se ne andrà da Carmignano. Quando decideremo dove continuare a farle vivere lo faremo sapere a tutti gli appassionati. Abbiate pazienza e a tempo debito vi diremo tutto! Quello che non tornerà saranno il contest e lo Zucka contro tutti che avevano senso solo per mantenere il Park a Carmignano.



Cosa andrà a perdere Carmignano venendo a mancare le vostre proposte?
Un modo per far partecipare ed attivare ragazze e ragazzi, perderà un punto di aggregazione per chi vuole fare qualcosa di diverso da giocare a calcio o frequentare un bar, andrà a perdere un’esperienza irripetibile.
Per farti capire come sarà difficile ripetere tutto ciò che è stato ti raccontiamo questo aneddoto: Barcellona è l’odierna capitale dello skate nel mondo, è lì che il movimento ha il suo cuore più caldo e dove la gente viaggia da tutto il pianeta per andare a fare questo sport. L’anno scorso noi di Zucka abbiamo partecipato ad un concorso via internet a cui si aderiva presentando un video dimostrativo dei propri atleti.
Oltre a noi di Zucka di Carmignano e, appunto, a Barcellona, c’erano anche un gruppo di Parigi ed uno di Berlino. Abbiamo perso, siamo arrivati secondi dietro a Barcellona per un centinaio di voti. Prova a pensare il bacino di riferimento degli altri gruppi rispetto al bacino di Carmignano e prova a capire cosa è stato Zucka per questo paese…

Cosa vi farebbe tornare qui a Carmignano?
Non abbiamo nessun rancore verso nessuno, se qualcuno stasera ci desse la possibilità di avere uno spazio in paese cominceremmo a lavorare a nuovi progetti da domani mattina!
La cosa che ci rende tristi è che qui non abbiamo ricevuto il riconoscimento di nessuna delle istituzioni, nessuno ha avuto l’intenzione reale di proseguire questa avventura eccezionale. Non ci siamo sentiti accolti da chi avrebbe potuto darci la forza e l’appoggio necessario per proseguire a divertirci costruendo opportunità per i ragazzi del paese. Nessun rancore e nessun dispiacere dentro di noi, solo tanta tristezza per ciò che abbiamo visto fare nei nostri confronti.  

IL DUELLO


Il mio avversario se ne sta lì, zitto e immobile. Bastardo. Quel suo silenzio,
quella sua immobilità sono un insulto. “Vuoi prenderti gioco di me, vero? Eʼ
inaccettabile”, penso tra me e me. La mia vendetta calerà sopra di te,
implacabile e devastante, come uno tsunami.
Appoggio la mano sinistra alla spalla destra e faccio ruotare il mio braccio
muscoloso prima avanti, per due giri, poi indietro per tre volte, senza mai
staccare lo sguardo dal mio nemico. La canottiera “bianca a coste”, esalta
la mia schiena palestrata e la “tartaruga addominale”. Il jeans, appena
strappato, lascia intravedere un pezzettino di coscia. Eʼ depilata. Ci tengo.
Molleggio dolcemente sulle mie scarpe preferite, le “All Stars” viola. In
questo momento, il mondo esterno non esiste: sono concentrato su
quellʼinfame che ho davanti a me. Vedo solo lui, sembra di ferro, molto più
grosso e molto più alto di me, circa due metri. Non mi fa paura, io sono più
veloce di lui. Immagino cosa sta accadeno alle mie spalle: immagino i
passanti impauriti che accellerano il passo e fanno finta di niente, anche
se, con la coda dellʼocchio, cercano di seguire la scena il più a lungo
possibile, da lontano; immagino i miei amici, sono ansiosi, tesi, si staranno
chiedendo se ce la farò. Li sento, in lontananza, mi incitano: “Dai, sei tu il
campione! Sei tu il più forte! Distruggilo!”. Cʼè anche LEI ad assistere: è
bellissima, ma è preoccupata. E quando è preoccupata è ancora più bella.
Quel completino corto, leopardato, glielʼho regalato ormai dieci anni fa e le
sta sempre benissimo.
No, non devo distrarmi, devo rimanere concentrato o potrebbe essere la
fine. Ora basta, è lʼora di darci un taglio. Visualizzo la mia strategia per
sferrare lʼattacco finale. Ecco, sono pronto. Eʼ il momento. Piego la testa a
destra e poi a sinistra, facendo schioccare il collo come solo Mike Tyson
sa fare. Stringo la bandana bianca che mi avvolge le dita della mano
destra, pronta per picchiare. Un paio di saltelli sul posto, una breve
rincorsa, due, tre, quattro passi, e parte un pugno che potrebbe fracassare
il cranio persino al mitico Bud Spencer. “Piri-piri-piri-piri-piri-piri-pì! Macho-
Man Macho-Man!!!”, risponde lʼavversario sconfitto. Quel diabolico
marchingegno volgarmente chiamato “Punji-Ball”.
Ho vinto! “Adrianaaa!” urlo con la bocca storta come Rocky. I miei amici
sorridono, gridano, mi abbracciano e mi fanno i complimenti. LEI, la “mia
Adriana”, mi bacia con passione.
Poi, ancora carico di adrenalina, alzo le braccia al cielo, stringendo forte i
pugni, mi tolgo la canottiera, e la faccio roteare in aria, mostrando ai
passanti il mio nuovo tatuaggio a forma di dragone: la testa parte dalla
scapola sinistra, il corpo del drago continua, avvolgendomi il fianco destro,
per scomparire davanti, al di sotto della cinta. Dove termina la coda lo si
può solo immaginare.
Non cʼè dubbio, ho passato i quarantʼanni, ma sono ancora io il campione,
lʼunico, lʼoriginale, lʼimbattuto macho-man della sagra dellʼAssunta.

L'EDITORIALE

Tutti contro?


C’è già stato per noi modo, in passato (vedi l’editoriale di Fuori Luogo numero 6 del 2010), di sottolineare come uno dei mali di questo frammento di Storia risieda nelle differenze pretestuose, create ad hoc per rubare identità comuni e restituirne di nuove, più deboli e di facile acquisizione.
Muovendosi nell’affollato campo delle distinzioni, da questo numero Fuori Luogo intraprende un percorso che si prefigge di indagare la reale portata di quelle scelte importanti che derivano da comuni appartenenze generazionali.
Situazioni di vita simili, se non identiche per età dei protagonisti, loro residenza, studi intrapresi e cultura, portano le persone a rispondere in maniera del tutto personale ai quesiti della quotidianità. A domande sul mondo del lavoro, sulla vita di coppia, sulle incombenze della vita si risponde in maniera del tutto esclusiva, fino a creare circuiti di esistenze particolari, irripetibili, ricche.
Questo mese siamo andati ad intervistare giovani carmignanesi che hanno preso strade diverse di fronte ai bivi posti dal mondo del lavoro; nello specifico si tratterà di strade che sono state determinate dalle passioni. Passioni che un po’ alla volta, alleggerite dal peso della necessità sono diventate talenti e poi professionalità e che hanno condotto alla crescita di quel coraggio che ha determinato il grande passo.
Scelte comuni a molti ma che portano con se molte delle traiettorie che disegneranno il futuro di queste vite.
Un patrimonio di esperienze che abbiamo deciso di raccogliere un po’ alla volta con l’intento di conservare su carta queste ricchezze individuali che potranno, speriamo, aiutare a riconoscersi, in mezzo alla familiare complessità odierna, soltanto per ciò che siamo.

In questo numero spazio anche alle vicissitudini dell’Associazione Zucka skateboarding in procinto di abbandonare il paese. Nell’intervista che l’Associazione ci ha rilasciato (e che riportiamo fedelmente) si tirano in ballo persone ed enti di cui non abbiamo ancora raccolto la versione dei fatti ma che inviteremo a farlo nei prossimi mesi lasciando loro legittimo diritto di replica. Se non lo si è fatto in questo numero è per, speriamo comprensibili, ragioni di spazio.
E’ volontà della redazione di Fuori Luogo farsi canale di trasmissione di tutte le istanze al fine di garantire un fedele racconto dei fatti e delle ragioni di ciascuno.
Ci rivediamo a Dicembre! Buona lettura!  

lunedì 4 luglio 2011

LE VACANZE DEL CARMIGNANESE


Un duro lavoro di pianificazione e di negoziazione

Lavoro, lavoro e ancora lavoro.
Passiamo la maggior parte delle ore della nostra vita a lavorare. Le altre le passiamo ad arrabbiarci per motivi legati al lavoro: stipendio, carriera, crisi, colleghi, ferie,...
Ferie. Eh già. Anche le ferie sono la causa di molte discussioni al lavoro (ci vai prima tu, ci vado io, io voglio la settimana di ferragosto, no: dobbiamo darci il cambio perché l’azienda resta aperta e l’anno scorso a ferragosto ci sei andato tu, quindi quest’anno ci vado io...); e di molte discussioni in famiglia: decidere la meta non è mai cosa semplice.

Metà giugno, pizza-in-piazza a Carmignano. Riporto il dialogo tra una coppia di miei amici (conviventi e senza figli), che stavano decidendo dove andare in vacanza (e che ringrazio dal momento che mi hanno permesso di pubblicare quel che segue, seppur in forma anonima).

LEI: Dove andiamo in vacanza? Stavolta decidi tu, amore, sennò decido sempre io!
LUI: Beh, lo sai, io andrei in montagna, in un posto tranquillo, rilassante, fresco... a camminare nel bosco, a stretto contatto con la natura...
LEI: Mmmm... in montagna però ci si annoia... io preferirei andare al mare, in villaggio, magari in un’isola della Grecia, che ne dici,“cetriolino”?
LUI: Mah... se dovessi decidere io...
LEI: E poi al mare andiamo in disco, balliamo, conosciamo altra gente, facciamo festa, beviamo un buon mojito seduti in spiaggia, la sera, con quella brezzolina fantastica...
LUI: Beh... io... veramente...
LEI: Creta! La terza settimana di agosto! Partiamo dall’aeroporto di Verona, è comodo, ci porta mio fratello, mi son già messa d’accordo... anzi, qui in borsa ho il depliant del villaggio turistico, animazione “energy”... aspetta, guarda, son passata oggi in agenzia...
Dal depliant scivola fuori qualcosa...
Lui, sospettoso, raccoglie quei foglietti...
LUI (sorpreso): Ma... questi sono i biglietti... non avrai mica già prenotato?!?
LEI (con un sorriso lo abbraccia): Sapevo che saresti stato d’accordo, amore! Ti amo!
Bacio
LUI (disorientato):...
LEI: Ahn, volevo dirti che ho dovuto usare il tuo bancomat per prenotare, perché avevo speso tutti i miei soldi per comprare un paio di cose, tra cui il telo da spiaggia di Louis Vuitton... pensa l’ho trovato in offerta a Padova solo a 179,90 euro! Un affare!
LUI: Sì, un affare per Louis... Ma la terza settimana di agosto è lontana e qui emerge un grosso problema...
LEI: Ammmore, “cetriolino” mio, però non possiamo mica andare a Creta bianchi come il latte, no...?!?
LUI (irritato): Sì che possiamo, vado al mare per abbronzarmi, no?!? E in montagna per rilassarmi...
LEI (ignorando la provocazione): Cooosaaa?!? Vuoi andare in vacanza, vuoi andare in spiaggia senza avere un po’ di colore?!? Ma gli altri ci prenderanno in giro, che vergogna!
Ma amore, siamo in giugno, da qui ad agosto è lunga... dobbiamo andare qualche domenica al mare, così prendiamo un po’ di colore, no!?! Partiamo la mattina presto presto presto e torniamo la sera, OK?!?
LUI (ironico): ...allora, fammi capire... andiamo a Jesolo per abbronzarci in modo da non andare a Creta bianchi come il latte... ma a Jesolo non ci vorrai mica andare così, senza un minimo di abbronzatura...?!?
LEI (senza cogliere l’ironia): Infatti... vedo che inizi a ragionare... è per questo che oggi ho anche prenotato un ciclo di lampade dall’estetista...
LUI (sempre ironico): Ahh... ecco... volevo ben dire...
LEI: Sì ed ho dovuto usare sempre il tuo bancomat, perché non avevo contanti e c’era l’imperdibile offerta dell’estate: paghi in anticipo e ti regalano anche un set di creme e gli occhiali in carbonio di Lapo Elkann! Pensa solo 1999,90 euro!
LUI (rivolto a me): Vedi Fabio, mai dimenticare il bancomat sopra al comodino...
LEI: Macché comodino! L’avevi lasciato sotto alla piastrella dietro all’asciugatrice, in lavanderia...
Non sai che fatica spostare l’asciugatrice!!! Comunque, dovresti imparare a nasconderlo meglio! I ladri, al giorno d’oggi, son furbi!
LUI (rassegnato): Ecco, hai ragione...
E così iniziano le avventure di una coppia di carmignanesi “pendolari del mare” che sognano le lontane ferie d’agosto e, nel frattempo, per non pensare troppo al lavoro, si dividono tra una pizza-in-piazza e svariate ore di coda sulla Treviso-Mare, in direzione Jesolo

DAL FIUME AL MARE


Abbiamo incontrato Alessandro Rigon, un giovane carmignanese di 25 anni, appena tornato da un anno di volontariato nello Zambia. Abbiamo raccolto le sue impressioni e le sue immagini di un mondo a noi così lontano e sconosciuto, o conosciuto solamente attraverso quello che la tv e i giornali ci mostrano. Qui di seguito l’affascinante chiacchierata fatta assieme.

Da dove è nato il desiderio di fare un’esperienza di volontariato in Africa?
Sinceramente non avevo mai pensato seriamente di andare in Africa a fare volontariato. Finiti gli studi ho fatto vari lavori, poi Angelo Chemello, un mio ex capo scout che da anni lavora come medico in Africa, mi ha consigliato di rivolgermi ai missionari comboniani se volevo tentare un’esperienza diversa; così sono andato da loro, non ancora del tutto convinto di partire, e dopo un periodo di conoscenza di qualche mese mi è stata proposta come meta lo Zambia. Gli accordi erano di restare anche solo un paio di mesi, sarei potuto tornare quando avrei voluto, ma alla fine sono stato via un anno.
Ci dici che cosa facevi all’interno della missione e come è strutturata?
La missione si trova nell’est Zambia, in una zona rurale (la città più vicina dista 120 km) molto estesa (circa 170 km) che si chiama Chikowa. Questa missione è stata fondata negli anni ’40, tuttavia è ancora una zona di prima evangelizzazione di cui comunque si occupano solo i sacerdoti e i brothers (fratelli, una sorta di frati moderni): tanto per intenderci nessuno mi ha chiesto di convertire qualcuno, né tantomeno di andare in chiesa. Io mi occupavo principalmente di lavori di edilizia: dal sistemare le capanne, al fare i tetti delle chiese, a costruire stalle per le capre... facevo comunque un po’ tutto quello di cui c’era bisogno. Con me lavoravano 5-6 ragazzi locali, tutti giovani dai 19 ai 33 anni: lì soldi non ce ne sono, quindi tutti hanno bisogno di lavorare. Attorno alla missione vera e propria (che comprende tra l’altro la scuola, una falegnameria, un’officina, un mulino e un’azienda agricola) si estendono una miriade di villaggi immersi nella foresta. Inoltre nel territorio di Chikowa c’è un grande parco naturale che dà un po’ di lavoro grazie al turismo dei safari.
Com’è la vita delle popolazioni locali?
La maggior parte della gente lavora la terra, coltiva per lo più frumento per fare la polenta (che loro mangiano tre volte al giorno!), mentre solo i più intraprendenti provano la coltivazione del cotone o dei bagigi. Le condizioni di vita sono durissime: si lavora a mano, in condizioni pessime, tra il fango e le zanzare. Durante i mesi delle piogge (da dicembre a marzo) la popolazione si sposta dai villaggi ai campi, vivendo in capanne fatiscenti, isolati a causa delle frequenti esondazioni dei fiumi. La gente dimostra tuttavia un grande spirito di adattamento e di sopravvivenza di cui dubito noi saremmo capaci in quelle condizioni. Da sottolineare che c’è una differenza abissale tra mondo rurale e città: in quest’ultime i costumi e lo stile di vita occidentale inizia pian piano a diffondersi e qualcuno riesce a mettere da parte un po’ di soldi per vivere più dignitosamente. Nelle zone rurali, invece, il governo è quasi inesistente, viene riconosciuta molto di più l’appartenenza tribale e il potere del principe-capo della tribù. In queste zone se non ci fossero dei missionari che dedicano la loro vita a queste popolazioni, esse sarebbero abbandonate a se stesse.
Quali sono i problemi maggiori che hai visto?
Sicuramente aids e malaria che mietono moltissime, troppe vittime. Poi il diffuso alcolismo tra i maschi: nella loro società sono gli uomini a comandare, ma sono le donne che fanno andare avanti la baracca, svolgendo anche i lavori più duri. Un altro problema che rallenta il miglioramento della loro condizioni è la mancanza di intraprendenza: sono ancora pochi quelli che cercano di migliorare nel lavoro per tentare di guadagnare qualcosa di più. Molte persone infine sono ancora legate a credenze magiche promulgate dagli stregoni e così tendono a rivolgersi a loro in caso di malattia piuttosto che curarsi. Diffusissimo è pure l’analfabetismo.
Come sei stato accolto dalla popolazione del posto?
Benissimo! Sono tutti molto ospitali e amichevoli, non hanno nessuna diffidenza nei confronti dei bianchi. La zona è sempre stata molto tranquilla, dopo due mesi che ero lì già giravo in bicicletta di notte in mezzo ai campi senza il minimo timore. Il senso di condivisione e di ospitalità è fortissimo: tutti ti invitano nelle loro capanne per mangiare insieme, anche se il cibo non basta neppure a loro, e presentarti tutta la famiglia. Ho trascorso persino un mese in un villaggio con una famiglia, mangiando con loro, lavandomi nella loro stessa bacinella d’acqua, ascoltando la radio coi bimbi la sera e le storie degli adulti attorno al fuoco. Gli unici un po’ malvisti sono gli inglesi (lo Zambia è una loro ex colonia) e soprattutto cinesi e indiani che sono lì per puro business e tendono a vendere merce scadente alla popolazione poverissima per accumulare denaro.
Che visione hanno dell’occidente e dell’Italia?
Tutti dicono che vogliono andare all’estero, ma in realtà non sanno nulla dell’occidente e dell’Italia, nemmeno dove si trovano geograficamente. Solo chi abita in città, grazie ai media, ha qualche idea più reale del mondo circostante, ma i poveri delle foreste credono che in Europa o in America sia tutto magnifico ed è difficile spiegargli che non è esattamente così.
La cosa più bella e quella più brutta che hai visto?
Cose belle ce ne sono un’infinità… mi ricordo in particolare di una notte in cui stavo accompagnando in auto una partoriente all’ospedale. Lungo il tragitto però la ragazza ha dovuto partorire; per fortuna con me c’era un’infermiera ed è andato tutto bene. Quando poi ho chiesto alla donna come avrebbe chiamato il figlio mi ha risposto che lo avrebbe chiamato “macchina” nella loro lingua, proprio perché era nato in auto. Una cosa che mi ha colpito positivamente è inoltre il desiderio dei giovani di imparare lavori nuovi, la loro passione. La cosa più brutta è senz’altro tutta la gente che muore tra grandi sofferenze, perché deve continuare a lavorare e non può curarsi adeguatamente. Un’altra cosa triste è la diffusa prostituzione: molte donne per mantenere la famiglia sono costrette a produrre grappa di giorno e a prostituirsi la notte. È una realtà accettata socialmente e che tutti sanno, tant’è vero che non ho mai sentito un sacerdote dire in chiesa di smetterla con la prostituzione, mentre, al contrario, esortano all’uso dei preservativi contro l’aids e alla moderazione nel bere.
Ritieni che quest’anno ti abbia cambiato?
Certamente il mio modo di vedere le cose è cambiato, ma un conto è il modo di vedere le cose, un altro è il modo in cui le vivi. Non basta un anno in Africa per riuscire a vivere in modo diverso qui in Italia, ad esempio apprezzando maggiormente le piccole cose, o cercando di condividere di più ciò che si ha. Credo sia un percorso in evoluzione e quest’anno per me è stato solo l’inizio, tant’è vero che tra poco andrò in Uganda per due settimane.

OLANDESE CON CESTINO



Pedalate in prosa attraverso un paese dell’Alta

Esterno giorno di un tardo Sabato pomeriggio di metà Luglio: vista da dietro una bici olandese con cestino percorre senza nessuna fretta le tremolanti vie d’asfalto di una Carmignano che si fa bella per la serata estiva. E’ l’occasione ideale per osservarla facendo lucide considerazioni su quel che mostra, tenendo sempre le mani ben salde sul manubrio.
Il quartiere Boschi, per primo: non è molto diverso da una piccola e secca Venezia e sembra studiato per abbattere il desiderio di pedalare verso quel ramo del nostro fiume, tant’è che i marciapiedi non fanno parte della cultura “boschiva” ed il quartiere si dona, arreso, ad auto e furgoni come fa Venezia con traghetti e gondole. E’ così che provare a raggiungere in bici Ceo Pajaro, senza essere costretti a staccare il piede dal pedale in segno di resa, è impresa degna di Binda o Girardengo.
Nulla però in confronto alla presa della libera frazione di Camazzole che, fatta in bicicletta, mette a confronto diretto ciclista e macchina in una giostra in cui i primi, ed a volte anche i secondi, hanno facoltà di scegliere da quale lato della strada partecipare alla tenzone: da sinistra per vedere negli occhi i potenziali investitori, da destra per affrontare al buio i potenziali disarcionatori.
Dove invece gli spazi per ciclisti e pedoni non mancano è il distinto viale Europa in cui, dalla rotonda omaggio al sollevatore di pesi fino al monumento omaggio ai nostri caduti, i viaggiatori a bassa emissione inquinante possono disporre di piste più che sufficienti a preservare la loro sicurezza. Altrettanto non si può dire per la loro digestione, messa a ferro e fuoco dal dunoso progetto dell’Ingegner Dromedari che sembra causare più di un problema di rigurgiti a chi percorre la via nella sua interezza. Singhiozzanti ma almeno vivi, alla meta!
A metà fra i primi due casi ed il terzo si inserisce viale Martiri che porta onore al proprio nome soltanto per un pezzo, quello che dal distributore va verso la statale mentre la parte restante si contorna di piste ciclabili e pedonali rosse mattone che le danno un taglio molto casual e che ben si abbinano allo stile espressionista dell’informe rotonda che alleggerisce la struttura imponente della via.
Percorrendolo sui pedali, il paese regala anche piacevoli sorprese quale la scoperta di come un distributore automatico di latte posizionato in una rilassata via centrale, come via Don Milani, possa diventare un luogo di imprevedibile socialità per il popolo delle bottiglie trasparenti con tappo a vite che si ritrova a fare rifornimento di latte dando luogo a sani riti di condivisione delle quotidiane abitudini alimentari.
L’olandese con cestino finisce lì vicino la sua corsa, legata ad una rete metallica di quelle verdi mentre il suo lucido Cavaliere ciabatta con poca eleganza verso un’acqua e menta gassata con ghiaccio prima di andare a farsi bello, anche lui, per la serata estiva.
La prosa, più della poesia, si nutre di precarietà.         

L'EDITORIALE


Tabella 1
Tabella 2


E’ stato votato tanto. Questa la principale impressione che ci hanno lasciato i referendum di Giugno, quelli che ci chiedevano di esprimerci, detto molto sinteticamente, su acqua pubblica, energia nucleare e legittimo impedimento. In barba ad inviti (espressi fra le righe o soltanto accennati) ad andare al mare, la grande maggioranza degli italiani ha deciso di passare comunque ai seggi ed imbucare le loro schede.
Le tante possibili interpretazioni del voto nazionale hanno avuto naturale sfogo sui mass media e già ci è stato dato modo di apprezzarle.
Proviamo adesso a calare Carmignano sul territorio: prima quello provinciale, poi quello regionale e quello nazionale per vedere dove ci possiamo collocare rispetto al resto.
Dalla Tabella 1 è chiaro come la media dei votanti, in paese, riesca ad essere superiore, di lunga, a quella nazionale dove, per tutti e quattro i quesiti, riesce a staccarla di quasi 5 punti percentuali. Più vicino il dato se ci caliamo nel Veneto o nella Provincia padovana dove la forbice si restringe, rimanendo comunque superiore in entrambi i casi: di 2 punti in regione e di poco meno di 1 nella provincia. Carmignanesi popolo di referendari quindi?
Per capire se sia veramente così vale la pena andare a frugare nelle urne dei nostri vicini padovani, ovvero in quelle dei paesi confinanti o che ci stanno a meno di venti minuti di macchina: è nella Tabella 2 che troviamo la sintesi di quel che è successo. Per il podio provinciale non servirà scomodare nessun vicino di casa vista la distanza che ci separa da Battaglia Terme (al primo posto), da Ponte San Nicolò e da Cadoneghe. E’ Fontaniva a distinguersi per la generosità del proprio elettorato che la mette al quindicesimo posto tra tutti i comuni padovani. Carmignano si attesta sui dati di Piazzola attorno al trentacinquesimo posto (sfiorano entrambe il 62%) andando a posizionarsi nel primo terzo di classifica. Dopo di noi una settantina di comuni tra cui la vicina Gazzo che registra ben 8,5 punti percentuali in meno e sfiora di poco la maglia nera in questa improvvisata competizione elettorale.
Verrebbe da dire quindi che si, siamo un paese vicino ai temi di questo referendum, ma a voler analizzare fino in fondo le percentuali di afflusso divise per i 6 seggi comunali ci accorgeremmo di come sarebbe più corretto dire che sia Camazzole la vera patria dei referendari.
Col 67% di affluenza ai seggi è proprio Camazzole a distinguersi, un dato che, da solo, l’avrebbe portata al prestigioso secondo posto solitario nella provincia. Siamo sicuri che i combattivi abitanti della ridente frazione non perderanno occasione per puntare dritti all’oro alla prossima occasione!
  



martedì 1 marzo 2011

CARMIGNANO PAESE CHIC


A Carmignano di Brenta si vive bene, si respira aria pulita e profumo di natura... Fin qui nulla
di nuovo, ma ecco lo “scoop”: Carmignano è un paese “chic”.
Questo è quanto si evince da una ricerca effettuata dall’ I.L.S.S. (Istituto Locale di Statistica Soggettiva, con sede in località Boschi), e condotta dal suo presidente, il noto Prof. Turchelli, laureato a pieni voti presso l’Università “CEPPU” di Camazzole.
Dall’indagine, infatti, è emerso che Carmignano ha raggiunto il “livello medio più alto di chic-cheria” tra i comuni della provincia di Padova con un numero di abitanti inferiore o uguale a 7.586.
L’ennesima vittoria sugli eterni rivali, in particolare sui comuni di San Pietro in Gu’ e di Grantorto, classificati rispettivamente al secondo e al terzo posto.
I dati raccolti ed elaborati sono stati calcolati su un campione rappresentativo di 17 persone (all’ I.L.S.S. non sono scaramantici, ci spiega il Prof. Turchelli, “Non ci spaventa nemmeno il fatto che spesso, alle cene, ci sediamo a tavola in tredici!”).
Per comprendere meglio il valore della ricerca, l’ I.L.S.S. ci ha permesso di pubblicare i principali indicatori che sono stati presi in considerazione per determinare il “livello di chic-cheria” di un paese:
- il numero delle banche presenti sul territorio comunale;
- il numero dei bar presenti sul territorio comunale;
- il numero dei parrucchieri e delle parrucchiere;
- il numero dei centri estetici;
- il numero delle rotonde;
- il numero dei SUV parcheggiati male negli orari di punta;
- il numero dei distributori automatici di latte fresco;
- il numero delle macellerie diviso per il tempo medio di attesa necessario per ordinare 7 costolette, 12 salsicce e 4 petti di pollo (al sabato pomeriggio);
- il numero dei supermercati rapportato al numero degli abitanti che vanno a far la spesa all’ALìPER di Fontaniva/Cittadella;
- il numero degliamanti del vino (residenti);
- il numero degli amanti della birra (residenti);
- il numero delle attività imprenditoriali suddivise per settore;
- il reddito medio dichiarato;
- il reddito medio non dichiarato (il “nero”);
- il debito medio dichiarato;
- il debito medio nondichiarato (valido solo se avallato da strozzini iscritti all’albo);
- la presenza di una piscina (basta ci sia la “prima pietra”);
- la presenza del “polo scolastico” (basta ci sia la “prima pietra”);
- la presenza di un “poli-ambulatorio” (non vale se c’è solo la “prima pietra”);
- la durata media delle ferie, moltiplicato per “pigreco” e sottratto al luogo di villeggiatura scelto (è una nuova formula inventata dai matematici dell’ I.L.S.S. che presto sarà adottata anche dalla U.E.);
- il livello di istruzione del proprio vicino di casa;
- il Q.I. (Quoziente Intellettivo) del proprio vicino di casa;
- il Q.I. percepito del proprio vicino di casa;
- il tempo medio trascorso in piazza durante il “periodo pizza-in-piazza” (nei paesi dove esista);
- il tempo medio trascorso alle sagre (durante le sagre);
- il livello di mobilità sociale;
- il tempo necessario affiché gli scienziati dell’ I.L.S.S. capiscano cos’è la mobilità sociale;
- il valore medio di un immobile all’interno del territorio comunale;
- il tempo necessario affiché gli scienziati dell’ I.L.S.S. si rendano conto che gli immobili non si comprano all’IKEA.
Ringraziamo l’ I.L.S.S. e il Prof. Turchelli per averci concesso in anteprima i risultati di questa straordinaria ricerca che verrà pubblicata ufficialmente il mese prossimo e sarà disponibile presso gli uffici dell’ I.L.S.S. .

UN PAESE A SPICCHI




I quasi 40 anni di pallacanestro a Carmignano

La storia della pallacanestro carmignanese inizia ufficialmente il 28 Ottobre 1972 con l’affiliazione della Polisportiva al CSI di Vicenza. Gli altri sport coinvolti nell’avventura erano la pallavolo, e l’atletica leggera. Questi movimenti sportivi nacquero successivamente alla costruzione del Centro Giovanile parrocchiale che, con una certa lungimiranza, aveva previsto l’acquisizione di abbastanza spazio per  dare modo a tutti questi sport , ed al calcio, di avere un luogo dove venire praticati.
Dal ’79 l’affiliazione del basket diventa federale ed iniziano da allora i campionati ufficiali del movimento.
Facendo conto tondo siamo ad un anno da festeggiare i 40 anni di canestri nel nostro paese, abbiamo così pensato di farci raccontare questa storia da Antonio Verzotto che, anche se per ragioni anagrafiche non può dire di averli vissuti tutti, ha da poco festeggiato i suoi 25 anni di attività tra le panchine biancorosse. 

I primi tempi furono pioneristici, ricorda Antonio, il Palazzetto dei Boschi ancora non c’era, al suo posto una gettata di cemento che fungeva da pista di pattinaggio. Col tempo vennero la copertura, prima, dopo qualche tempo venne chiuso anche dai lati, dopo ancora gli spogliatoi, il campo in linoleum ed alla fine arrivò  il riscaldamento, correva l’anno 1988.
Gli albori furono all’aperto, al Centro Giovanile e non di rado capitava d’inverno di spalare la neve per poter giocare. Fu anche giocato un campionato intero in trasferta per sopperire alla mancanza di una struttura minimamente confortevole. Ma queste sono storie che si vivevano in più di un paese negli anni ‘70, non era prerogativa di Carmignano.
La tua vicenda personale con questo sport come inizia?
Ci avevo giocato a scuola, alle medie, quando un professore appassionato portò ogni sezione a fare la propria squadra e partecipare ai Giochi della Gioventù.
La televisione passava gran poco di basket, appena la differita di qualche spezzone di campionato italiano, c’erano però i giornali e al tempo, erano i primi anni ’70, si prendeva Telecapodistria e qualche canale della Svizzera italiana che passava le partire dei campionati yugoslavi, i maestri europei del basket.
Assieme al mio compagno di scuola Enrico Gori, grandissimo appassionato già in quegli anni, ci avvicinammo a questa disciplina così come un ragazzino si appassiona al calcio attraverso le figurine dei propri campioni.
La Polisportiva quando entra nella tua vita?
Nell’85 Domenico Sartore, all’epoca Presidente, volle rilanciare la pallacanestro e chiamò Paolo Pesavento, professore cittadellese di Educazione Fisica, a gestire un Centro di Minibasket ed io ne divenni dirigente, avevo 21 anni. La prospettiva di stare in panchina, gestire la squadra nello spogliatoio mi conquistò subito. 
Il mio primo campionato giovanile carmignanese fu nel 1986 coi giovani del ’73 e del’74. Con me c’erano anche Francesco Baldo e, con le squadre femminili, Rosanna Sartore e Roberta Biffanti. Enrico Frigo e Domenico Sartore continuavano invece a seguire gli aspetti burocratici e logistici. Ricordo anche i fratelli Rossi, Giovanni e Mauro, ed il mio compagno della prima ora Enrico Gori.
Come sono mutate le difficoltà da allora ad oggi?
All’inizio le strutture erano scarse, ma eravamo pochi e non c’erano da fare grandi manovre per sistemarci negli spazi palestra. Ora gli sport si sono moltiplicati: ginnastica, karate, calcetto oltre a quelli che già c’erano: la struttura oggi c’è, magari da sistemare ma c’è, però ci sono da fare i miracoli per farci stare tutti!
E, se oggi sembra scontato sapere che a Carmignano c’è la possibilità di fare basket, all’epoca c’era da correre per farlo sapere a più persone possibili ed avere un numero di giovani che consentisse di formare una squadra.
Una sorta di professionalizzazione poi c’è stata nel corso di questi 25 anni, siamo diventati più bravi a trattare coi ragazzi sia dal punto di vista sociale che sportivo ma credo sarebbe un guaio se dimenticassimo il gusto che aveva lottare un anno intero per vincere quella sola partita che ci potevamo permettere di vincere nel corso dei primi campionati!
Quali soddisfazioni sportive ricordi con particolare piacere?
Quando eravamo ancora “scarsi” andammo a giocare una partita a Santa Maria di Sala coi ragazzi del 73/74. Per entrambe le squadre era l’unica partita che potevano vincere nel corso dell’anno e l’arbitro non arrivò. Decidemmo di giocare facendo arbitrare gli allenatori delle due squadre con l’esito che ogni allenatore fischiava tirando dalla parte dei propri giocatori: vincemmo una battaglia clamorosa!
Qualche anno più avanti la partita da vincere divenne quella col Camposampiero, mentre con le squadre dei paesi più grandi la lotta era davvero impari. Ora i livelli si sono appiattiti per fortuna delle società più piccole come la nostra.
Le prime soddisfazioni vennero coi ragazzi del ’75. Erano in pochi ma buoni e poi si aggiungeva qualche giovane del ’76. Per due anni consecutivi arrivammo alle final-four provinciali dove però non riuscimmo mai a portare a casa la vittoria a causa della concomitanza con le gite scolastiche che ci portavano via i già pochi ragazzi che avevamo. Ricordo ragazzi come Franco Ferramosca e Franco Bergamin che arrivavano a fare anche 40 punti a testa a partita!
Ricordo anche un incontro di fine anni ’80 a Limena dove ci presentammo in 4, ce ne mancava uno per arrivare ai 5 minimi per giocare. Loro non avevavo ancora vinto una partita in campionato e non vedevano l’ora di approfittare di questa occasione. Decidemmo di giocare in barba al regolamento 5 contro 4. Giocammo con Ferramosca, Bergamin, Bernardi e Pilotto tutta la partita, senza cambi, e vincemmo. Credo che a Limena ancora se la ricordino!
Altre soddisfazioni me le ricordo con la squadra 83/84 dove Mauro Dalla Bona e Mirko Bergamin facevano sfracelli e anche la classe degli ’81 e degli ‘82 se la cavava bene. Ci furono poi degli anni più o meno competitivi, ma all’inizio del nuovo secolo (suona come qualcosa di storico) con Roberto De Rossi abbiamo dato un nuovo slancio all’attività partecipando con i ragazzi a diversi tornei, ospitando formazioni di varie parti d’Italia e creando quindi nuove occasioni di confronto e di crescita che si sono concretizzate in ottimi risultati con le  squadre dei ’90 e dei ‘91 e successivamente dei ’94 con cui vincemmo la prima edizione del Torneo di Marostica, che ora è una manifestazione di grande rilievo.
Come allenatore la soddisfazione più grande è stata invece vincere per due anni il trofeo Città di Padova coi ragazzi del 1993.
E se parliamo di soddisfazioni umane?  
Sono tante e sono nessuna perché in 25 anni ce ne stanno tante e diventa persino difficile ricordarle.
Ho avuto molta soddisfazione da quel gruppo di ex giocatori che si è legato al punto da essere ancora al Palazzetto sentendo il dovere ed il piacere di continuare ad impegnarsi in società come allenatori.
E poi incontro tanti ragazzi divenuti adulti che si ricordano di alcuni episodi divenuti importanti nei loro percorsi di vita.
Quale hai visto essere la crescita nel modo di insegnare il basket in tutto questo tempo?
Lo sport è cambiato, è evoluto ed oggi favorisce l’atletismo sulla tecnica. Un ragazzino basso e rotondetto aveva vita più facile 15 anni fa rispetto ad ora.
I libri del basket invece sono rimasti più o meno quelli, tanti allenatori però privilegiano sempre più il risultato rispetto alla crescita armonica della tecnica con le capacità logiche dei ragazzi.
Queste forzature nell’insegnare letture e visioni di gioco che non si apprendono più attraverso un vissuto ma attraverso dettati, ha portato ad un aumento dei giovani che abbandonano lo sport prima dei 18 anni perché stanchi e privi di stimoli, e ad una crisi generale del movimento italiano registrabile coi scarsi risultati delle nostre squadre di club e nazionali.     
E come sono cambiati i ragazzi che vengono in palestra oggi da quelli che ci venivano negli anni ’80?
Erano più curiosi i giovani degli anni ’80. Era uno sport nuovo, da scoprire. Ora si aspettano principalmente di giocare ed hanno minor fame di apprendere. E poi i genitori sono molto più esigenti verso i propri figli, verso l’allenatore e verso la società, probabilmente perché arrivando a conoscere di più lo sport ci si sente anche più legittimati a commentarlo.
Quale augurio ti senti di fare al movimento all’alba dei suoi 40 anni di attività?
Che la struttura regga se qualcuno di quelli che tira la carretta adesso volesse farsi un po’ da parte. Che ci siano insomma, in futuro, delle persone che si facciano carico dell’impegno e della cura che serve per portare avanti un movimento come questo.
Ma sono ottimista, le troveremo!