Sotto una luce nuova |
Mi è capitato in questi giorni di
trovarmi fra le mani una vecchia foto di giornale che catturava una
manifestazione di fine anni ’60 in Europa. Una foto che raffigurava quei
giovani, vestiti di lana e velluto, che ebbero
il merito, per primi, di rivendicare la loro appartenenza anagrafica e che
desideravano distinguersi dai propri genitori riconoscendosi come portatori di
rivendicazioni del tutto originali e rivoluzionarie.
Naturale associare quel momento
del passato con ciò che giornali e telegiornali contemporanei ci mostrano
quotidianamente dei movimenti giovanili, vestiti adesso di cotone e nylon, che
si incontrano e si muovono condividendo l’insostenibilità di questo loro
presente e l’impossibilità di immaginare un futuro sostenibile.
Angosciante riflettere su come le
due generazioni, così simili nel momento della rivendicazione, siano l’una la
conseguenza dei comportamenti dell’altra.
Visto con gli occhi di oggi,
l’impressione è che tutto ciò che veniva rivendicato negli anni ’60, e soprattutto
le soluzioni che a questo disagio sono state trovate, avessero come obiettivo
l’immediato, ma mancasse di una coerente visione strutturale che potesse
assicurare garanzie al di la del tutto e subito.
Voglia di diritti, di libertà, di
uguaglianza persi per strada con il passaggio dalla giovinezza all’età adulta.
Dimenticati fino a diventare nuovamente privilegio e necessario oggetto di
rivendicazione da parte dei nuovi giovani che altro non sono se non i figli dei
primi.
Ci troviamo quindi di fronte al
rischio di una nuova, ennesima frattura sociale che si aggiunge a quella
economica, a quella geografica, a quella di genere e a quella culturale: una
frattura generazionale che rischia di mettere di nuovo i figli contro i
genitori.
Se diabolico è perseverare, chi
giustamente rivendica attraverso le reti fisiche e virtuali di questi nuovi
anni ’10 e si propone di concorrere ad elaborare nuove soluzioni, non può
dimenticare lezioni giuste ed errori da non ripetere. Un nuovo sistema è
necessario, i sacrifici andranno distribuiti equamente e nessuno dovrà essere
escluso da questa partecipazione, ma il fine non potrà non avere una soglia più
estesa di quella che ebbe il fine di 50 anni fa, a scapito dell’immediatezza
dovrà non dimenticare l’esigenza di guardare oltre se stessi fino ad immaginare
una responsabilità che sia al di la delle proprie speranze di vita e di
benessere.
Si può fare!
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