di Roberto Pivato
Quando Aleksey Klimenko, quel caldo 9 agosto 1942 allo stadio
Zenit di Kiev, si trovò la porta spalancata e più nemmeno un avversario da
dribblare, ci pensò su un attimo, poi, sorridendo di sfida alle tribune,
anziché calciare in fondo alla rete, si girò e mandò il pallone verso la metà
campo. L’arbitro fischiò immediatamente la fine, ben in anticipo sui 90 minuti.
E con la fine della partita fischiò anche la fine della vita di otto dei
ventidue giocatori in campo.
Il match di cui stiamo parlando è quello svoltosi in Ucraina,
sotto la dominazione nazista, tra l’FC Start e la Flakelf. La prima è una
scalcagnata formazione composta per otto undicesimi da ex-giocatori della
Dinamo Kiev (tra cui Klimenko), mentre gli altri tre appartenevano alla
Lokomotiv, altra compagine della capitale; la seconda è una fortissima selezione
di ufficiali della Luftwaffe. Una gara che doveva sancire la superiorità ariana
sull’occupato sovietico e riparare al clamoroso 5-1 rifilato tre giorni prima
dagli ucraini agli stessi tedeschi. Kiev ospitava in quell’estate un piccolo
torneo, organizzato dagli occupanti, a cui prendevano parte altre sei
formazioni composte per lo più da collaborazionisti filo-nazisti di varie
nazionalità. La Start batté facilmente queste avversarie, arrivando allo
scontro decisivo contro la ben più quotata (e più in forma, visti gli stenti in
cui vivevano i giocatori di casa) Flakelf. È il 6 agosto e Klimenko e compagni
si impongono ancora una volta senza difficoltà. Questo però rovinava i piani e
l’immagine dell’invasore, oltre a dare forza e convinzione per resistere alla
popolazione di Kiev. Così la Flakelf venne ulteriormente rafforzata e il 9
agosto venne programmata la “rivincita”. Stavolta il risultato doveva essere
uno solo: successo tedesco. Per non correre alcun tipo di rischi l’arbitro fu
un ufficiale SS il quale, prima dell’inizio, raccomandò alla Start di perdere e
di fare il saluto nazista Heil Hitler verso
la tribuna ai gerarchi del Fuhrer. Ordine
subito disobbedito: gli undici in maglia rossa urlarono invece il tipico motto
dello sport sovietico: Fitzcult Hurà!
(viva la cultura fisica). Il direttore di gara arbitrava a senso unico e sugli
spalti le mitragliatrici erano spianate in direzione dei calciatori ucraini.
Perciò l’avvio fu favorevole alla Flakelf. Tuttavia, a fine primo tempo, la
Start conduceva 3-1, tant’è che si rese necessario un nuovo intervento di un
militare teutonico per rammentare gli esiti tragici di un risultato non
previsto. Minaccia che parve fare effetto ad inizio ripresa. Due gol in pochi
minuti e parità ristabilita. A questo punto però la dignità, l’incoscienza e la
volontà di non essere brutalmente sottomessi anche in un campo di calcio fecero
sì che Klimenko e compagni non stessero ai patti, portandosi sul 5-3. Già
questo bastava a condannarli a morte ed essi ne erano fin troppo consapevoli.
Il gesto che pose definitivamente termine alla contesa fu l’affronto di
Klimenko: lo sgraziato terzino, con un’irresistibile serpentina, saltò come
birilli quattro o cinque tedeschi, portiere compreso, e invece di realizzare il
sesto gol ricacciò la sfera indietro come a dire: «Vi abbiamo dimostrato di essere più forti di voi, di non aver paura
delle vostre minacce e della vostra forza. Ve lo dimostreremo ancora ed ancora,
ogni volta che sarà necessario. Forse ci ucciderete, ma vinceremo sempre noi».
Il manifesto della Partita della morte |
Questo incontro è stato ribattezzato “la partita della
morte”. Il primo giocatore venne arrestato un mese dopo e morì dopo venti
giorni di atroci torture. Gli altri furono tutti deportati in campi di
concentramento dove persero la vita. Solamente tre riuscirono a fuggirne vivi.
Aleksey Klimenko fu ucciso per rappresaglia, il 24 febbraio 1943, assieme a due
suoi compagni di squadra, nel famigerato lager ucraino di Syrec. Il corpo venne
gettato nell’enorme fossa comune di Babij Jar, tristemente famosa per aver
accolto il cadavere di più di 100 mila vittime del nazismo.
La formazione dell' FC Start |
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