di Roberto Pivato
Nel 1982 il Brasile è governato da una dittatura ormai da
quasi vent’anni. A San Paolo c’è una squadra di calcio, fondata ad inizio ‘900
da operai, che fin’ora è rimasta pressoché nell’anonimato, a causa dei scarsi
risultati ottenuti sul campo: il Corinthians. In quello stesso 1982 Sócrates
Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente e
solamente Sócrates, è un ragazzo di 28 anni, un campione noto a tutti per le
sue straordinarie doti coi piedi, ma dotato anche di un’intelligenza acuta e di
un non comune senso sociale nell’ambito calcistico.
D’altra parte quando si ha
un nome così impegnativo, che il padre gli diede dopo la lettura de La Repubblica di Platone, è destino che
non si debba essere una persona qualunque. Soprannominato il “Magro” (per la
sua corporatura alta e smilza), oppure il “Dottore” (per la sua laurea in
medicina), Sócrates è un talento purissimo, un calciatore dotato di infinita intelligenza
tattica, visione di gioco e abilità tecnica (un altro suo nomignolo era “il
tacco di Dio”, a causa della sua predilezione per questo tipo di giocata
spettacolare).
È però anche un personaggio piuttosto controverso ed eccentrico:
look che non passa certo inosservato,
con capelli lunghi e folta barba; tendenze politiche di sinistra ampiamente
dichiarate; poca tolleranza per la dittatura e per la vita professionale di un
calciatore brasiliano dell’epoca.
Tutto questo è Sócrates, il quale rimane,
tuttavia, un idolo indiscusso del popolo carioca: il capitano della nazionale
forse più spettacolare, ma non vincente, di tutti i tempi. Ai mondiali del 1982
i verde-oro, infatti, vengono fatti fuori dalla ben più concreta Italia, mentre
in Copa America avevano racimolato un terzo posto nel ’79 e nell’ ’83 finiranno
secondi. La rivincita “socratica” andrà però ben oltre l’aspetto puramente
sportivo. Nel 1982 il “Dottore”, assieme ad altri compagni del Corinthians
quali Wladimir e Casagrande, rifiutano l’autorità dell’allenatore e danno vita
ad una sorta di autogestione interna: è l’inizio della “Democrazia
Corinthiana”.
Tutte le decisioni riguardanti la squadra (tattica, formazioni,
allenamenti…) vengono prese in assemblee in cui il parere di ciascuno ha lo
stesso potere (dal magazziniere al capitano), secondo il principio per cui: «una
testa, un voto». In tal modo vengono presi provvedimenti scandalosi per la
consuetudine calcistica brasiliana dell’epoca: niente ritiri, poiché portano
sfiducia nel calciatore che avverte di dover essere controllato; possibilità di
personalizzare le magliette bianco-nere di gioco con scritte che sveglino le
coscienze sociali dei tifosi (la più famosa delle quali era la semplice:
«Democracia», cioè «Democrazia»), o entrare in campo sostenendo uno striscione
con scritto lo slogan: «Ganhar ou perder, mas sempre com democracia» («Vincere
o perdere, ma sempre con democrazia»).
Sembra una pazzia, eppure ha tantissimo
successo tra il pubblico. Il Corinthians, da squadra mediocre e per lo più
perdente, diventa un simbolo in tutto il paese e riesce perfino ad aggiudicarsi
due campionati paulisti consecutivi (1982 e ’83). L’esperienza della
“Democrazia Corinthiana” dura solo un altro anno, mentre la dittatura in
Brasile cadrà definitivamente soltanto nel 1989. Certamente, però, l’esperienza
innovativa di Sócrates e compagni ha contribuito affinché questo potesse
accadere ed è stato certamente il più grande successo del “Dottore” il quale,
al contrario, finirà tristemente la sua carriera (disputando anche una stagione
deludente in Italia tra le fila della Fiorentina) e poi morirà, nel dicembre
del 2011, per i suoi eccessi alcolici. Ma crediamo che per lui, il quale soleva
dire che «essere campione è un dettaglio» rispetto ad essere un uomo, la
democrazia in campo e fuori sia stata la soddisfazione che vale una vita.
Nessun commento:
Posta un commento