di Roberto Pivato
La sera del 21 novembre 1973 la selezione calcistica cilena è
al gran completo al Palazzo de La Moneda di Santiago. L’occasione è di quelle
speciali: il presidente Pinochet vuole stringere le mani ad uno ad uno ai
valorosi calciatori che sono riusciti nella lodevole impresa di qualificare il
Cile per i mondiali in Germania Ovest dell’anno successivo. Tra questi
calciatori ce n’è uno bassoccio e un po’ tracagnotto, con folti capelli neri e
ricci e un paio di baffoni dello stesso colore.
È il cannoniere del Colo Colo e
della nazionale, l’amatissimo Carlos Caszely. Carlos è in fila e aspetta
l’arrivo del dittatore, lui che era un sostenitore di Allende suicida l’11
settembre di quell’anno durante il golpe del generale. Carlos ripensa alla
patetica messa in scena del pomeriggio: lo Stadio Nacional di Santiago è
praticamente vuoto, ci sono solo soldati coi fucili puntati sulle tribune, uno
strano odore di morte negli spogliatoi, un arbitro che si presta alla
sceneggiata e i giocatori della Roja.
Si dovrebbe disputare la gara di ritorno dello spareggio contro l’Unione
Sovietica per l’accesso ai campionati del mondo. All’andata, in URSS, finì 0-0.
I sovietici però si sono rifiutati di recarsi in Cile a giocare, ritenendo
inaccettabile calcare un campo di calcio divenuto campo di prigionia e di
tortura in un paese retto da una dittatura militare. La FIFA non sente ragioni
(se non quelle della politica e degli interessi, sic!). Assegna la vittoria a tavolino al Cile, che si qualifica, e
appoggia la ridicola farsa voluta dal regime.
La nazionale di casa dovrà fare
il suo ingresso in campo e giocare comunque, contro un avversario invisibile,
segnare e farsi immortalare dai fotografi in atteggiamenti esultanti ad eterna
memoria dello splendore della dittatura. Tutto procede secondo copione: i
cileni si passano la palla e arrivano davanti alla porta incontrastati. Carlos
riceve la sfera e pensa di buttarla fuori, anziché in rete, come segno di
ribellione. Poi però si guarda intorno e ha paura dei fucili spianati su di
lui. Tocca ad un compagno che mette in rete e viene fotografato mentre esulta
come avesse segnato un gol vero.
Al rientro negli spogliatoi non c’è nessuna
gioia, solo vergogna mista a rabbia ed incredulità. Solo ora i calciatori
cominciano a realizzare di aver preso parte a tutto tranne che ad una partita
di calcio.
Il Re del metro quadrato (così
soprannominato per la sua capacità di trovarsi sempre al posto giusto in area
di rigore per segnare) vede Pinochet avanzare verso di lui. Allora incrocia le
mani dietro la schiena. Il dittatore è costretto ad accettare lo smacco e a
passare oltre.
Negli anni a seguire Caszely non saluterà mai Pinochet e
deciderà, nel 1988, di fare qualcosa di concreto per opporsi al suo regime. Si
svolge il referendum per assegnare o meno un nuovo mandato presidenziale al
generale. Nelle previsioni dovrebbe essere un plebiscito di Sì, invece, grazie
anche all’iniziativa di Caszely, il quale gira uno spot pro-No in cui compare
la madre che racconta di essere stata catturata e torturata negli anni ’70, il
No si afferma e il Cile torna ad essere un paese democratico dopo 15 anni.
Carlos può così liberarsi di quel senso di vergogna e di complicità col regime
che non lo aveva mai abbandonato da quel lontano 21 novembre 1973.
Nessun commento:
Posta un commento