E' un modo per condividere una storia che ci unisce e ci identifica con la serenità che contraddistingue un augurio sincero.
Buona lettura dalla Redazione di Fuori Luogo.
Per spiegare ad uno straniero il
significato del termine ‘luogo’ potremmo utilizzare la definizione pulita ed
efficace scritta sul dizionario. Oppure azzardare un’operazione meno immediata
ma certamente più affascinante: che se in un determinato posto geografico,
oltre a precise caratteristiche fisiche, riesci a riconoscere anche un umore ed
un clima generati “naturalmente” da chi questo posto lo abita, allora avrai
riconosciuto ciò che potresti descrivere con gli stessi aggettivi che si
possono utilizzare per descrivere una persona. Potremmo poi prendere lo
straniero per mano ed accompagnarlo in osteria da Ceo a mangiare un panino e
bere una spuma o una birretta. Oltre a comprendere con poco sforzo il
significato del termine, si porterà a casa il ricordo di un’esperienza da poter
raccontare perché le storie che profumano di vita conservano il loro profumo
anche in lingue differenti.
IL
LOCALE
A chi è stato almeno una volta da Ceo
Pajaro prendendosi il giusto tempo di guardarsi attorno, non sarà sfuggito che,
lì dentro, anche le sedie avrebbero una storia interessante da raccontare.
Quando proponiamo a Ceo ed al figlio Nano di regalarci un po’ di tempo per
ricordare la loro storia, che è anche la storia di un pezzo del nostro paese e
della nostra Brenta, le parole non fanno nessuna fatica ad uscire.
Ed allora si parte. Si parte dal
principio: “Raccontaci Ceo, da dove è iniziato tutto?” e Ceo racconta: “Ero
giovane, era il 1949. Qui il posto era proprio bello, mi piaceva. Prima che
arrivassi io, qua dove siamo adesso passava la ferrovia che portava la ghiaia
dai cantieri del Duca Camerini di Piazzola alla stazione di Carmignano, e poi
da lì a tutta l’Italia. Chiesi se si poteva costruire una casa e mi dissero che
sarebbe stato troppo pericoloso, che l’acqua del Brenta prima o poi l’avrebbe
portata via. Non mi importò, non li ascoltai: ebbi il permesso dal comune e
costruii questa casa, avevo 23 anni allora. Nato l’8 Ottobre del ’26 anche se
le carte dell’anagrafe riportano la data del 9”.
“E l’osteria?” chiediamo. “Dal primo
giorno che venni ad abitare aprii l’osteria, anche se allora non si trattava
proprio di osteria ma di un circolo del dopolavoro in cui i clienti dovevano
avere una tessera per poter “consumare”. Non si poteva aprire un’osteria per
problemi di bacino di popolazione. A quel tempo c’era il locale che oggi si
chiama Malatesta che occupava già la licenza nella nostra zona per cui fino al
’69 non saremmo stati osteria”.
“Appena aperti qui preparavamo
panini, le morette del Brenta fritte con la polenta che pescavamo con la moscaròea: una trappola per mosche che
avevamo adattato alle nostre esigenze. La si posava sdraiata in riva al fiume
in maniera che l’acqua la riempisse per metà, ci mettevamo un tappo e, sul
fondo, della farina gialla che serviva da esca. Quando il pesce entrava non ne
usciva più e quando la moscaròea era
piena di pesce ci bastava tirarla su e mettere il pescato nel crivèo con la farina e dopo a friggere”.
“A quei tempi funzionava a un franco alla
passùa: quando uscivi dal locale, anche solo per pisciare, il contratto si
scioglieva ed al rientro andava rinnovato!”. Il cibo a chilometri zero e l’happy hour di quarant’anni fa…
Penso ai rimpianti di chi è troppo giovane
e non ha potuto vivere l’osteria a quella maniera, nel frattempo il racconto
prosegue: “il pesce del Brenta abbiamo potuto mangiarlo fino al ’91, poi le
cose sono cambiate, troppe concerie che, a monte, scaricavano e inquinavano
l’acqua e il pesce spariva tutto, gli ultimi anni servivamo solo pesce di mare
e, dal 2003 abbiamo deciso di smettere anche col servire pasti, troppo, troppo
lavoro, no se riussiva a ‘ndarghine fòra!”.
Chiediamo di slancio: “Cos’altro è
cambiato qui attorno da quando c’è l’osservatorio dell’osteria?” “Uh, un sacco
di cose: dal modo in cui si trascorre la Pasquetta in Brenta ai mutamenti della
fauna, uccelli e pesci soprattutto. Della Pasquetta mi ricordo cos’era negli
anni ’60 e ’70, quando le famiglie venivano ad aprire la bella stagione in
Brenta mangiando ovi e fugassa
accompagnati da vino bianco. E com’era bello giocare a Rugolo – ricorda Nano – bastava una tavola di quelle che usano in
edilizia, un mucchio di sabbia e delle uova che coloravamo cuocendole con
ortica (per farle venire verdi) o altre spezie. Si facevano rotolare le uova su
questa tavola che sistemavamo in pendenza e finivano nella sabbia. Chi lanciava
l’uovo dopo di te, se toccava il tuo, se lo poteva portare a casa. I più
fortunati erano quelli che potevano permettersi uova di oca o di faraona perché
non si rompono mai…”.
“Dal punto di vista faunistico i
cambiamenti sono stati, se possibile, anche di più: in questo periodo
vediamo tante specie di uccelli, diversi però da quelli di una volta. La bigia
padovana, ad esempio, non c’è più da almeno 10 anni credo, per colpa delle
cornacchie e delle gazze che se le sono mangiate tutte.
Poi adesso abbiamo gli scoiattoli che
prima non avevamo mai visto, vanno da una pianta all’altra ed è bello guardarli
correre dalla finestra. Ce ne sono sia di quelli neri che di quelli rossi. Poi
ci sono i picchi che senti fare – tac tac tac – sugli alberi: quello normale e
quello verde. Vi è mai capitato di avere l’impressione che qualcuno vi rida
dietro quando siete seduti fuori sotto la pergola? Quello è il verso del
picchio verde. Gli uccelli tradizionali come il martin pescatore non sono mai
mancati, mentre di nuovi sono arrivati i gabbiani che prima non c’erano. Cucaine e rondoni, invece, non se ne vedono più”.
“Se guardiamo ai pesci, siamo in un
momento fortunato: sono tornati tutti a parte lo strijo che non c’è più da quando hanno fatto la diga di Carturo che
gli impedisce di risalire fino a qua e, se faranno altre briglie nel fiume come
sembra sia in progetto, allora si vedranno altri numerosi cambiamenti. Per
adesso la pesca va forte anche se, rispetto a una volta, c’è meno di tutto,
meno pesci, meno uccelli, di conseguenza meno pescatori e meno
cacciatori.”
“E
se semo anca divertii in sti ani savìo: dal ’71 al ’73 abbiamo organizzato
la sagra della pasquetta, di fianco l’osteria c’erano perfino le giostre; e
anche un paio di feste dell’Unità, per due anni consecutivi sempre nello spazio
dietro il locale”.
“E anca al
giorno d’oncò e storie da contare no manca! Ogni mattina, Lunedì escluso,
si parte qualche minuto prima delle 7 col primo caffè al primo cliente che è
sempre Callisto Mariga, e fino alle 7 di sera è lunga, specialmente durante la
stagione calda” (continua...)
Sarebbe bello organizzare un torneo di Rugolo in occasione della prossima Pasquetta.
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Anonimo dirty