di GP F1
“Cecità” è più di un libro.
Con esso Jose Luis Saramago non ha narrato
solamente una storia. Saramago ha scavato in profondità, nelle pieghe del
genere umano per creare un racconto che può essere considerato una critica
soffocante nei confronti della società e del senso del vivere comune. In
un’ipotetica città dal nome sconosciuto, inizia a propagarsi un virus che a
macchia di leopardo colpisce chiunque ne entri in contatto. Le vittime si
accorgono subito di essere state colpite da questo male perché istantaneamente,
e senza motivo apparente, non sono più in grado di vedere. Gli occhi non
funzionano più per il semplice fatto che hanno incrociato altri occhi già colpiti
da questa malattia. Le immagini vengono sostituite da un’uniforme massa bianca
che getta nel panico e nel disorientamento più totale chi fino a pochi istanti
prima stava vivendo la sua normalità. Una normalità che cessa immediatamente di
esistere. La situazione è allarmante e per questo motivo non va assolutamente
trascurata. Entra in azione la macchina burocratica che tenta di spegnere
quello che viene definito “il mal bianco”. Si procede attuando scelte drastiche
e risolute: chi è cieco e chi sta per diventarlo deve essere isolato presso
strutture ed edifici destinati fino a quel momento ad altre funzioni. Scatta la
quarantena. La burocrazia parla un “politichese” che altro non serve se non a
celare la vera gravità della situazione. Le persone si svuotano della loro
identità ed il mondo si capovolge. All’interno di un ex manicomio 400 esseri
viventi sono costretti ad agire non più in base alla loro coscienza ma al loro
animalesco spirito di sopravvivenza. Manca la vista e quindi manca la capacità
di controllo e di osservazione. Chi agisce lo fa solo ed unicamente per restare
vivo e non essere raggirato o derubato da chi usa la sopraffazione per ottenere
un beneficio. Non si agisce più per crearsi un futuro ma ci si adopera per
sopportare il presente in una società in cui tutto gira attorno all’ancestrale
principio dell’ “Homo homini lupus”. Gli ideali su cui si fonda una società
civile non esistono più: l’idea di coscienza collettiva, di bene comune, di
rispetto e di collaborazione reciproca vengono calpestati perché, in una
società che non vede, primeggia chi è più forte e più scaltro. Sopravvivendo
seguendo solamente la legge del più forte, gli uomini si ritrovano sperduti e
in lotta tra di loro. Saramago è geniale nell’evidenziare tutta una serie di
meccanismi per i quali, in assenza di un sentire comune, regole ferree e
brutali continuano a generarsi. Così, in un microcosmo come quello nato
all’interno del manicomio, i gruppi di ciechi si dividono e si scontrano per la
supremazia in un ambiente putrefatto dall’assenza di regole. Senza la vista, le
sensazioni descritte coinvolgono gli altri sensi. E le descrizioni sono così
precise e dettagliate che il lettore viene intrappolato all’interno di una lotta
asfissiante ed intestina la cui conclusione rimane incerta fino all’ultimo
momento.
Impossibilitati a vedere gli uomini si trovano con le spalle al muro:
rassegnarsi o continuare a sperare in una miracolosa guarigione che però tarda
a manifestarsi?
Il ritmo del racconto è incalzante, lo stile di scrittura è unico.
Saramago, infatti, utilizza solo due elementi di punteggiatura: il punto e la
virgola. Non esistono virgolette, non esistono due punti, non esiste il punto e
virgola. E’ sorprendente come la lettura non perda fluidità ma, al contrario,
venga agevolata da questo singolare accorgimento stilistico.
Dalla prima all’ultima pagina sembra di leggere un continuo flusso di
coscienza che, senza soluzione di continuità, coinvolge tutti i protagonisti
della storia. Vi lascio con una frase che Saramago sceglie di utilizzare per
iniziare il racconto: “ Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva”.
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