di Roberto Pivato
Nobilitare il ruolo di portiere al pari di tutti gli altri,
in una nazione in cui il calcio è fantasia, dribbling, samba, è un’impresa
tutt’altro che facile. Questa impresa riuscì a Gylmar dos Santos Neves, da
tutti conosciuto semplicemente come Gilmar (unione dei nomi del padre e della
madre, rispettivamente: Gilberto e Maria), il più famoso e più forte portiere
carioca di tutti i tempi.
Nato a Santos il 22 agosto 1930, questa icona del
calcio verde-oro si è spenta pochi giorni fa, all’età di 83 anni, dopo una
carriera costellata di successi. Gilmar è stato l’unico estremo difensore della
storia ad aggiudicarsi per due volte il titolo di campione del mondo (Svezia
1958 e Cile 1962) oltre a numerosi titoli in patria col Santos di un certo
Pelè: due campionati, due coppe Intecontinentali e due Libertadores.
Pelè piange sulla spalla di Gilmar |
E proprio
a Pelè è legata l’immagine forse più emblematica di Gilmar: il giovanissimo
attaccante piange di gioia sulla spalla del portiere subito dopo aver battuto
la Svezia nella finale mondiale. Un’istantanea che racconta molto di quello che
era Gilmar per i suoi compagni di squadra: prima di quella stessa gara i
brasiliani erano in preda al terrore scaramantico dato che sarebbero dovuti
scendere in campo con una maglia blu, diversa dalla gialla utilizzata con
successo fino a quel momento.
Il Brasile in blu con la Coppa Rimet 1958 |
Il portiere dovette cercarsi una casacca di
colore differente, poiché solitamente era lui che vestiva di blu. Quando la
trovò l’unico numero disponibile era il 3 e non il 13 col quale era solito
giocare. Circostanza questa dovuta al fatto che il comitato organizzatore, il
quale attribuiva i numeri di maglia, non conoscendo i giocatori sudamericani
assegnò loro le casacche casualmente. I compagni gli assicurarono che se non
avesse indossato il 13 la finale sarebbe andata male; così Gilmar tagliò da
un’altra maglia un 1 e lo cucì a fianco del 3. La partita terminò 5-2 per il
Brasile che si aggiudicò la prima coppa del mondo (all’epoca chiamata ancora
Rimet).
In quella stessa edizione Gilmar non subì reti fino alla semifinale
(5-2 alla Francia), stabilendo il record di imbattibilità in partite
internazionali: ben 17 consecutive. Si dice anche che sia stato lui ad
introdurre in patria l’uso dei calzoncini corti per i portieri, poiché
rendevano più elastici i movimenti… ed erano più estetici nelle riprese
televisive. Gilmar, assieme ad una squadra tra le più forti di tutti i tempi,
fece dimenticare ad un paese intero il “dramma” sportivo del Maracanazo, cioè la sconfitta nel mondiale
del ’50 a Rio de Janeiro contro l’Uruguay che costò il titolo ai verde-oro, già
convinti di averlo in tasca. In quell’occasione il numero uno di casa, Moacyr
Barbosa, aveva contribuito alla sconfitta coi suoi errori, alimentando in
questo modo il discredito del popolo brasiliano nei confronti del ruolo di
estremo difensore. Ci pensò Gilmar a far sì che i ragazzini iniziassero a
sognare non più soltanto di fare gol, ma anche di impedire agli altri di
realizzarli.
Un numero 13 che è rimasto ad oggi il miglior numero uno del
Brasile.
Una spettacolare parata di Gilmar |
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