di GP F1
Le dieci frasi “sciogli ghiaccio” che potrete dire o che vi
sentirete dire il 25 dicembre. La classifica non prevede un ordine di
importanza ma si focalizza sui luoghi comuni che spesso si utilizzano per
improntare, proseguire o concludere una conversazione che deve svilupparsi nel
modo più neutrale possibile.
“Tanti auguri, seto! Pareva l’altro
dì e invesse se sa passà un ano”. Frase di tipo Interstellar, l’ultimo film di Christopher
Nolan, in cui i personaggi si rendono conto di una differente percezione del
tempo in base alla loro posizione nello spazio. Il “seto” posto successivamente
agli auguri funge da rafforzativo assoluto.
“Te si sempre sta beo/a, peta che te
fasso i auguri”. Commento
che tende al complimento infinito. Essendo il concetto di bellezza molto
relativo, non si trova però il nesso tra la prima parte dell’affermazione e la
seconda parte della stessa.
“Vien qua che te baso e te fasso i
auguri”. Solitamente
la frase viene sussurrata nel momento in cui scocca il cosiddetto “bacio
parente”. In qualsiasi famiglia c’è un parente che, nel tentativo di baciare
una guancia, scocca invece un bacio nell’orecchio destro o sinistro della
vittima. L’effetto si può definire “diapason atomico”. Il fischio percepito si
assopirà dopo circa dure ore dall’episodio scatenante.
“Intanto se sentemo e tachemo. No gò
fatto tanta roba”.
Anche in questo caso entra in gioco il concetto di relatività. Perché bisogna
sedersi il prima possibile se il pranzo non prevede nulla di impegnativo?
Diffidare della modestia del cuoco.
“Gavìo da fare el 31? Parchè conosso
un posto dove che i fa el musetto col cren che se na favoea!! Pà no parlare dea
lengua…..”. Frase
solitamente pronunciata proprio mentre si sta affrontando il piatto più impegnativo
del pranzo natalizio. E’ strano come nello stesso momento in cui si stanno
ingurgitando centinaia di calorie ci sia anche la facoltà di pensare alle
future calorie da assimilare. Il nostro spirito di sopravvivenza non ha
confini.
“Peta che se femo na foto tacai
l’albaro. Mi no so mia bon/bona….tien qua. Dopo te me a fe vedare”. Che nostalgia delle macchine
fotografiche con il rullino! Il periodo di transizione tecnologica si fa
sentire sempre di più. Siete digital natives o digital immigrants?
“Varda ciò, chi che ghe se! No sta
mia passare trovarme seto! Ormai so anca stufo/a dirteo!”. La finta sorpresa iniziale seguita
dal consueto e schietto rimbrotto finale. Se per caso chi viene interpellato
risponde con un’altra domanda il discorso potrebbe ingarbugliarsi ancora di
più. Sconsigliabile proseguire la conversazione con una surreale “Ma steto
sempre dove che te stasevi?”.
“Te ricordito chea volta che……” Il finale è volutamente aperto
perché solitamente la frase viene completata con una situazione di palese
imbarazzo vissuta da chi viene chiamato in causa. L’effetto ricordo e
successiva risata è irresistibile ma a volte l’aneddoto raccontato è lo stesso
di ogni anno.
“Grassie seto! Ghi ne gavevo proprio
bisogno!! Ma no gavevimo dito de no farse i regai st’ano?”. Frase da dire a regalo ricevuto.
Bisogna saperla recitare bene. Fino a “bisogno” si deve essere felicemente
sorpresi. La domanda successiva deve essere posta a mò di rimprovero ma con i
famosi occhi del gatto con gli stivali di Schreck.
“Ben ciò. Magnà anca st’ano. Desso, dopo a Befana riva Pasqua in un
attimo”. Frase
conclusiva di un pranzo che magari è durato fino alle 17.30 del pomeriggio.
Fuori è calata l’oscurità, l’apparato digerente sta lavorando come una centrale
termonucleare e l’unico che probabilmente è ancora in grado di rispondere, non
risponde ma sospira malinconicamente.