martedì 23 dicembre 2014

IL SEGRETO DEL NATALE

dalla Redazione


Se abitate a Carmignano e non avete problemi di glicemia vi sarà senz'altro capitato almeno una volta di assaggiare il dolce-salame di Anna, preparato con una ricetta segreta che mai prima d'ora aveva oltrepassato le barriere invisibili di Via Quartiere.
Grazie alla vasta rete di agganci di Fuori Luogo siamo però riusciti a portare a casa per questo Natale il segreto di questo dolce che sta incrociando da trent'anni le vite di molti di noi accompagnando con gusto i momenti più sereni della nostra vita.

E questa ricetta è il nostro modo di augurarvi delle serene festività.

INGREDIENTI:
-          3 etti di biscotti secchi
-          2 etti di zucchero
-          2 uova
-          1 bustina di cacao amaro
-          80 grammi di burro

PROCEDIMENTO:
Prendete i biscotti. Raccoglieteli dentro un canovaccio e frantumateli il più possibile.
In una terrina versate il rosso delle due uova, gli ottanta grammi di burro e lo zucchero. Mischiate fino a che non otterrete una crema omogenea e soffice.
Montate a neve gli albumi delle due uova. Aggiungete poi gli albumi montati nella crema ottenuta in precedenza.
Aggiungete i biscotti frantumati e la bustina di cacao amaro. L’impasto dovrebbe diventare molto più denso e compatto.

Una volta ottenuto l’impasto finale, versatelo su di una pellicola di carta stagnola avvolgendolo completamente e chiudendo l’involucro. Mettete il tutto in freezer finché il dolce non si solidifica completamente. 
Il vostro salame al cioccolato è pronto per essere mangiato!! Buona festa!!!

mercoledì 17 dicembre 2014

FLORILEGIO DI SPROPOSITI NATALIZI

di GP F1



Le dieci frasi “sciogli ghiaccio” che potrete dire o che vi sentirete dire il 25 dicembre. La classifica non prevede un ordine di importanza ma si focalizza sui luoghi comuni che spesso si utilizzano per improntare, proseguire o concludere una conversazione che deve svilupparsi nel modo più neutrale possibile.

“Tanti auguri, seto! Pareva l’altro dì e invesse se sa passà un ano”. Frase di tipo Interstellar, l’ultimo film di Christopher Nolan, in cui i personaggi si rendono conto di una differente percezione del tempo in base alla loro posizione nello spazio. Il “seto” posto successivamente agli auguri funge da rafforzativo assoluto.

“Te si sempre sta beo/a, peta che te fasso i auguri”. Commento che tende al complimento infinito. Essendo il concetto di bellezza molto relativo, non si trova però il nesso tra la prima parte dell’affermazione e la seconda parte della stessa.

“Vien qua che te baso e te fasso i auguri”. Solitamente la frase viene sussurrata nel momento in cui scocca il cosiddetto “bacio parente”. In qualsiasi famiglia c’è un parente che, nel tentativo di baciare una guancia, scocca invece un bacio nell’orecchio destro o sinistro della vittima. L’effetto si può definire “diapason atomico”. Il fischio percepito si assopirà dopo circa dure ore dall’episodio scatenante.

“Intanto se sentemo e tachemo. No gò fatto tanta roba”. Anche in questo caso entra in gioco il concetto di relatività. Perché bisogna sedersi il prima possibile se il pranzo non prevede nulla di impegnativo? Diffidare della modestia del cuoco.

“Gavìo da fare el 31? Parchè conosso un posto dove che i fa el musetto col cren che se na favoea!! Pà no parlare dea lengua…..”. Frase solitamente pronunciata proprio mentre si sta affrontando il piatto più impegnativo del pranzo natalizio. E’ strano come nello stesso momento in cui si stanno ingurgitando centinaia di calorie ci sia anche la facoltà di pensare alle future calorie da assimilare. Il nostro spirito di sopravvivenza non ha confini.

“Peta che se femo na foto tacai l’albaro. Mi no so mia bon/bona….tien qua. Dopo te me a fe vedare”. Che nostalgia delle macchine fotografiche con il rullino! Il periodo di transizione tecnologica si fa sentire sempre di più. Siete digital natives o digital immigrants?

“Varda ciò, chi che ghe se! No sta mia passare trovarme seto! Ormai so anca stufo/a dirteo!”. La finta sorpresa iniziale seguita dal consueto e schietto rimbrotto finale. Se per caso chi viene interpellato risponde con un’altra domanda il discorso potrebbe ingarbugliarsi ancora di più. Sconsigliabile proseguire la conversazione con una surreale “Ma steto sempre dove che te stasevi?”.
“Te ricordito chea volta che……” Il finale è volutamente aperto perché solitamente la frase viene completata con una situazione di palese imbarazzo vissuta da chi viene chiamato in causa. L’effetto ricordo e successiva risata è irresistibile ma a volte l’aneddoto raccontato è lo stesso di ogni anno.

“Grassie seto! Ghi ne gavevo proprio bisogno!! Ma no gavevimo dito de no farse i regai st’ano?”. Frase da dire a regalo ricevuto. Bisogna saperla recitare bene. Fino a “bisogno” si deve essere felicemente sorpresi. La domanda successiva deve essere posta a mò di rimprovero ma con i famosi occhi del gatto con gli stivali di Schreck.

“Ben ciò. Magnà anca st’ano. Desso, dopo a Befana riva Pasqua in un attimo”. Frase conclusiva di un pranzo che magari è durato fino alle 17.30 del pomeriggio. Fuori è calata l’oscurità, l’apparato digerente sta lavorando come una centrale termonucleare e l’unico che probabilmente è ancora in grado di rispondere, non risponde ma sospira malinconicamente.

giovedì 4 dicembre 2014

TUTTO UN ALTRO CALCIO: CLAUDIO TAMBURRINI, LA GRANDE FUGA

di Roberto Pivato



A metà anni ’70 l’Almagro era una squadra argentina di Primera B (la terza serie, l’equivalente della nostra serie C … pardon: Lega Pro). Il club si trovava in uno dei tanti barrio di Buenos Aires, in piena periferia. Insomma: non proprio l’eden calcistico. Portiere di quella formazione era Claudio Marcelo Tamburrini, un ventunenne studente di filosofia. El Tricolor si comporta bene e sfiora la promozione. Intanto però nel paese le cose precipitano: il generale Videla ha preso il potere con un golpe e ha instaurato una dittatura sanguinaria. I dissidenti iniziano a sparire, nessuno sa esattamente che fine facciano: sono i desaparecidos.
Ma anche chi non è apertamente contrario a Videla non può stare tranquillo: basta essere sospettati di sovversione perché arrivi uno squadrone della morte a sequestrarti e portarti in uno dei tanti centri di detenzione (definizione politicamente non troppo scorretta di luogo di tortura, lager). È ciò che capita a Tamburrini il 23 novembre 1977. Su delazione di un suo conoscente, prassi piuttosto diffusa, viene prelevato dalla sua abitazione e condotto nel carcere di Mansión Seré, a Castelar, cittadina poco distante dalla capitale. Qui lo spogliano e lo picchiano selvaggiamente assieme ad altri compagni di sventura.
Claudio non parla, non saprebbe nemmeno cosa dire, poiché, alla fin fine, è solo un simpatizzante del Partito Comunista a cui è iscritto da anni. Le torture durano quattro mesi, poi Claudio, Guillermo, Carlos e Daniel, i suoi compagni di prigionia, decidono per la fuga. Il 24 marzo del ’78, secondo anniversario del colpo di stato di Videla, i quattro si calano con dei lenzuoli da una finestra del carcere; fuori impazza la bufera, loro sono ancora nudi. Dopo varie peripezie e mesi di latitanza in Argentina, Tamburrini riesce a fuggire in Brasile e da qui in Svezia, dove avrebbe terminato gli studi, diventando professore universitario, e avrebbe messo in piedi la sua famiglia.
Intanto il primo giugno 1978 prendono il via i mondiali argentini, fortemente voluti dal regime come propaganda. La nazionale di casa vince, com’era nelle previsioni e come doveva essere. Claudio guarda le partite nei suoi nascondigli e tifa per l’Argentina. Una contraddizione forte, ben viva anche alla coscienza di Tamburrini che ammetterà: «Vedevo le partite in televisione e tifavo perché la Nazionale vincesse. Com’era possibile, considerando l’esperienza che avevo appena vissuto?». Una dimostrazione di quanto la propaganda, anche sportiva, possa risultare efficace e di come il calcio possa tristemente diventare oggetto di manipolazione di massa da parte del potere.

Claudio Tamburrini oggi

Claudio Tamburrini narrerà la sua avventurosa vicenda nel libro Pase Libre – La fuga de la Mansión Seré. Il regista Israel Adrián Caetano lo trasporterà sul grande schermo nel 2006, intitolando il suo film Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977 (Crónica de una fuga).