di Roberto Pivato
Quando l’ambasciatore inglese in Germania, Sir Neville
Henderson, comunicò al segretario della Federazione Calcistica inglese, Stanley
Rous, la volontà espressa dal Primo Ministro in persona, Arthur Neville
Chamberlain, di far fare il saluto nazista ai propri calciatori schierati al
centro dell’Olympiastadion di Berlino, qualcuno fece le proprie rimostranze.
Non fu l’allenatore Tom Whittaker, uno che poi partecipò come pilota
dell’aeronautica britannica al D-Day
ricevendo anche una medaglia al valore; né il capitano Eddie Hapgood, che pure
nella sia autobiografia descriverà quel momento come il più vergognoso della
sua vita; né tantomeno il giocatore più rappresentativo della nazionale di Sua Maestà, il celeberrimo Stanley
Matthews. Nessuno di loro ebbe il coraggio di rifiutare, o forse semplicemente
la percezione di avvallare con quel gesto un regime dittatoriale che già aveva
iniziato a mostrare il suo volto più crudele (l’Anschluss austriaca era cosa fresca di due mesi appena), ma che
ancora doveva gettare l’Europa e il mondo intero nel baratro della seconda
guerra mondiale.
Soltanto un giocatore inglese non volle alzare il suo braccio
destro e stendere la mano ben ferma e aperta di fronte ai 105000 presenti allo
stadio, tra cui i gerarchi Hermann Goering, Rudolf Hess e Jospeh Goebbels (il Führer era ancora in visita in Italia a
Mussolini): si trattava di Stanley Cullis, l’arcigno difensore del
Wolverhampton, nemmeno ventiduenne, alla sua quinta convocazione in nazionale.
Quel
14 maggio del ’38 “Stan” doveva essere tra gli undici titolari, ma il suo
braccio lungo il fianco avrebbe di certo stonato vicino a quelli ben eretti dei
suoi compagni. Uno sgarbo che non era il caso di fare al paese ospitante, che
sarebbe stato sicuramente interpretato male e avrebbe inclinato i già difficili
rapporti col regime di Hitler. Così Cullis finì in panchina, libero di tenere
le braccia come più desiderava mentre osservava i suoi compagni vincere
piuttosto nettamente 3-6.
Non dev’essere stato facile per un giovanotto
esuberante e ad inizio carriera rinunciare a quel match, amichevole sì, ma
comunque di prestigio. Tanto più che il destino gli fece perdere gli anni
migliori della sua carriera proprio a causa del conflitto bellico. Le sue
presenze con la maglia dell’Inghilterra, alla fine, saranno soltanto dodici,
con la soddisfazione però di essere stato il più giovane capitano della
nazionale dei Tre Leoni, in occasione
dell’ultima gara da lui giocata, in Romania il 24 maggio del ’39. Cullis è poi
diventato una leggenda del Wolverhampton, formazione nella quale ha militato
praticamente per tutta la carriera, non riuscendo, anche in questo caso
beffardamente, a vincere nulla, visti i soventi secondi posti. Se non altro si
rifece da allenatore, sempre dei Wanderers.
Altri presenti con lui a Berlino quel 14 maggio, anche se col braccio alzato,
hanno sicuramente contato di più nel panorama calcistico britannico.
Stanley,
tuttavia, non ha mai dovuto fare i conti con la propria coscienza per quel
giorno di primavera poco prima che il mondo cambiasse per sempre.
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