giovedì 25 aprile 2013

STORIA PARTIGIANA


Quando si pensa alla Resistenza solitamente il pensiero va ai monti, a combattenti qui rifugiatesi perché l’ambiente è maggiormente favorevole alla guerriglia contro le truppe naziste presenti nel nostro paese dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 e in opposizione alla Repubblica di Salò, ultimo baluardo fascista dopo la deposizione di Mussolini il 25 luglio dello stesso anno. Ci si dimentica, tuttavia, o si ignora, che un movimento di resistenza attivo e armato fu ben presente anche nella nostra pianura dell’Alta Padovana, scenario di tanti atti coraggiosi, ma anche, purtroppo, di numerose e crudeli rappresaglie nazifasciste che hanno coinvolto tanto i soldati partigiani, quanto gli inermi cittadini.
Voglio qui ricordare la storia di tre giovani partigiani ammazzati sanguinosamente nei giorni della liberazione del ’45. Forse riportare alla luce episodi di tal genere, verificatisi proprio nel nostro territorio, può servire (anche in minima misura) a farci vivere le celebrazioni del 25 aprile con maggiore consapevolezza dell’importanza fondamentale che la guerra di liberazione ha avuto per l’Italia tutta, per la nostra libertà odierna. Sono passati 68 anni, troppo grande è il rischio di dimenticare o minimizzare ciò che è stato.
Giungendo da Carmignano, all’imbocco del ponte sul Brenta che ci collega a Fontaniva, sulla destra, nel campo prospiciente la ditta Isoli, si può scorgere una lapide. Questa lapide ricorda tre ragazzi: Galdino Velo, Antonio Luigi Velo e Pietro Campesan. Questa è la storia del loro sacrificio. Il 28 aprile ’45 gli Alleati non sono ancora entrati a Carmignano e a Fontaniva, stanno avanzando da Vicenza costringendo i nuclei tedeschi ancora presenti ad una frettolosa ritirata. Il loro obiettivo è quello di attraversare il Brenta per raggiungere Cittadella e da qui incamminarsi per la Valsugana fino ad oltrepassare le Alpi per rientrare in patria. A Fontaniva, i partigiani guidati da Emilio Pegoraro e Gino Lago hanno occupato il centro del paese e issato sulla cima del campanile una bandiera rossa. Da qui una vedetta, verso le 10 di mattina, scorge una colonna tedesca che tenta di guadare il fiume da ovest ad est. Dopo molte riflessioni i patrioti decidono di affrontare il nemico in campo aperto, sulle rive del Brenta, per fermarne la ritirata. In un primo momento l’operazione ha successo, ma all’arrivo di rinforzi tedeschi i partigiani, in palese inferiorità numerica, sono costretti a ripiegare in centro paese da dove, arroccati all’interno degli edifici, potranno meglio osteggiare i militari nazisti in transito. Galdino, Antonio Luigi e Pietro rimangono in avanguardia per coprire la ritirata, ma vengono catturati dai nemici. A questo punto la loro vicenda si fa tanto tragica quanto misteriosa: per 24 ore infatti, non si saprà nulla di loro.
Il 29 aprile è un gran giorno: alle 11 di mattina Pegoraro e Lago incontrano il comandante della divisione statunitense presso la stazione ferroviaria. Venti minuti più tardi gli Alleati attraversano trionfalmente il centro di Fontaniva. A mezzogiorno faranno il loro ingresso a Cittadella. La liberazione è compiuta, ma che fine hanno fatto quei tre poveri ragazzi? Il loro destino appare segnato, inutile farsi speranze: i tedeschi non fanno prigionieri. La scoperta dei loro corpi, il pomeriggio del 29 aprile, è in ogni caso raccapricciante: i tre sono stati uccisi e orrendamente seviziati, tra le altre cose si narra che gli fossero stati cavati gli occhi, nella torre della cava oltre il fiume. Avevano rispettivamente 20, 24 e 31 anni.

Il luogo dell'assassinio

Vorrei concludere con le parole dello stesso Emilio Pegoraro: «Mettere sullo stesso piano […] fascismo e antifascismo […] non serve a nessuno e non può essere certo definito un servizio alla ricerca della verità, in quanto errato sul piano giuridico e morale […]. Tutto questo è stato quella lotta! Da una parte la ragione, dall’altra il torto. Una scelta tra il bene e il male».


La lapide che ricorda i tre giovani partigiani

1 commento:

  1. Un commento personale sullo spunto di un articolo letto qualche giorno fa sul Mattino di Padova :
    Se durante la guerra posso (con grande sforzo e minimo risultato) accettare ma non condividere il pensiero che la resistenza partigiana fosse un "nemico intestino" da sconfiggere, il mio pensiero cambia profondamente con il termine delle ostilita'.
    La grande importanza della resistenza si nota se semplicemente si mettono a confronto due stati accumunati dalla stessa sorte (senza entrare nel dettaglio del perche'...) : la Germania e l'Italia entrambe uscite come sconfitte.
    La prima, senza alcun movimento di resistenza popolare, verra' invasa (con tutte le brutte conseguenze del caso) dai vincitori e vivra' divisa fino a pochi anni fa (il muro...).
    La seconda, la nostra patria, grazie alla resistenza partigiana riuscira' a conservare intatta la propria unita' e dignita', non subira' l'invasione e la sottomissione straniera e vedra' oltretutto la nascita di un primo governo nazionale di "transizione". Tale governo senza "colore e bandiere" instituira' poi il referendum in cui gli italiani sceglieranno di fondare la Repubblica esiliando di fatto la casa Savoia.
    Da qui la strada per la nascita della costituzione e' veramente breve.
    Non sta sicuramente a me (a noi) giudicare e/o condannare (non dimentico i barbari e riprovevoli omicidi di cui gli stessi partigiani si macchiarono nel periodo seguente) ma posso certamente valutare i fatti successi con un'ottica diversa.
    Dobbiamo riabituarci a ragionare con la nostra testa, guardando il passato di cui siamo il frutto, uscendo dal circolo vizioso che ci vede "ipnotizzati" a far da eco a discorsi di altri che sono solo piu' abili ad USARE la bocca e le parole.
    Paolo Dalle Tezze

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