Quando si pensa alla Resistenza solitamente il pensiero va ai
monti, a combattenti qui rifugiatesi perché l’ambiente è maggiormente
favorevole alla guerriglia contro le truppe naziste presenti nel nostro paese
dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 e in opposizione alla Repubblica di
Salò, ultimo baluardo fascista dopo la deposizione di Mussolini il 25 luglio
dello stesso anno. Ci si dimentica, tuttavia, o si ignora, che un movimento di
resistenza attivo e armato fu ben presente anche nella nostra pianura dell’Alta
Padovana, scenario di tanti atti coraggiosi, ma anche, purtroppo, di numerose e
crudeli rappresaglie nazifasciste che hanno coinvolto tanto i soldati
partigiani, quanto gli inermi cittadini.
Voglio qui ricordare la storia di tre giovani partigiani
ammazzati sanguinosamente nei giorni della liberazione del ’45. Forse riportare
alla luce episodi di tal genere, verificatisi proprio nel nostro territorio,
può servire (anche in minima misura) a farci vivere le celebrazioni del 25
aprile con maggiore consapevolezza dell’importanza fondamentale che la guerra
di liberazione ha avuto per l’Italia tutta, per la nostra libertà odierna. Sono
passati 68 anni, troppo grande è il rischio di dimenticare o minimizzare ciò
che è stato.
Giungendo da Carmignano, all’imbocco del ponte sul Brenta che
ci collega a Fontaniva, sulla destra, nel campo prospiciente la ditta Isoli, si
può scorgere una lapide. Questa lapide ricorda tre ragazzi: Galdino Velo,
Antonio Luigi Velo e Pietro Campesan. Questa è la storia del loro sacrificio.
Il 28 aprile ’45 gli Alleati non sono ancora entrati a Carmignano e a
Fontaniva, stanno avanzando da Vicenza costringendo i nuclei tedeschi ancora
presenti ad una frettolosa ritirata. Il loro obiettivo è quello di attraversare
il Brenta per raggiungere Cittadella e da qui incamminarsi per la Valsugana
fino ad oltrepassare le Alpi per rientrare in patria. A Fontaniva, i partigiani
guidati da Emilio Pegoraro e Gino Lago hanno occupato il centro del paese e
issato sulla cima del campanile una bandiera rossa. Da qui una vedetta, verso
le 10 di mattina, scorge una colonna tedesca che tenta di guadare il fiume da
ovest ad est. Dopo molte riflessioni i patrioti decidono di affrontare il
nemico in campo aperto, sulle rive del Brenta, per fermarne la ritirata. In un
primo momento l’operazione ha successo, ma all’arrivo di rinforzi tedeschi i
partigiani, in palese inferiorità numerica, sono costretti a ripiegare in
centro paese da dove, arroccati all’interno degli edifici, potranno meglio
osteggiare i militari nazisti in transito. Galdino, Antonio Luigi e Pietro
rimangono in avanguardia per coprire la ritirata, ma vengono catturati dai
nemici. A questo punto la loro vicenda si fa tanto tragica quanto misteriosa:
per 24 ore infatti, non si saprà nulla di loro.
Il 29 aprile è un gran giorno: alle 11 di mattina Pegoraro e
Lago incontrano il comandante della divisione statunitense presso la stazione
ferroviaria. Venti minuti più tardi gli Alleati attraversano trionfalmente il
centro di Fontaniva. A mezzogiorno faranno il loro ingresso a Cittadella. La
liberazione è compiuta, ma che fine hanno fatto quei tre poveri ragazzi? Il
loro destino appare segnato, inutile farsi speranze: i tedeschi non fanno
prigionieri. La scoperta dei loro corpi, il pomeriggio del 29 aprile, è in ogni
caso raccapricciante: i tre sono stati uccisi e orrendamente seviziati, tra le
altre cose si narra che gli fossero stati cavati gli occhi, nella torre della
cava oltre il fiume. Avevano rispettivamente 20, 24 e 31 anni.
Il luogo dell'assassinio |
Vorrei concludere con le parole dello stesso Emilio Pegoraro: «Mettere sullo stesso piano […] fascismo e antifascismo […] non serve a nessuno e non può essere certo definito un servizio alla ricerca della verità, in quanto errato sul piano giuridico e morale […]. Tutto questo è stato quella lotta! Da una parte la ragione, dall’altra il torto. Una scelta tra il bene e il male».
La lapide che ricorda i tre giovani partigiani |