I quasi 40 anni di pallacanestro a
Carmignano
La storia della pallacanestro carmignanese inizia ufficialmente il 28
Ottobre 1972 con l’affiliazione della Polisportiva al CSI di Vicenza. Gli altri
sport coinvolti nell’avventura erano la pallavolo, e l’atletica leggera. Questi
movimenti sportivi nacquero successivamente alla costruzione del Centro
Giovanile parrocchiale che, con una certa lungimiranza, aveva previsto
l’acquisizione di abbastanza spazio per
dare modo a tutti questi sport , ed al calcio, di avere un luogo dove
venire praticati.
Dal ’79 l’affiliazione del basket diventa federale ed iniziano da
allora i campionati ufficiali del movimento.
Facendo conto tondo siamo ad un anno da festeggiare i 40 anni di
canestri nel nostro paese, abbiamo così pensato di farci raccontare questa
storia da Antonio Verzotto che, anche se per ragioni anagrafiche non può dire
di averli vissuti tutti, ha da poco festeggiato i suoi 25 anni di attività tra
le panchine biancorosse.
I primi tempi furono
pioneristici, ricorda Antonio, il Palazzetto dei Boschi ancora non c’era, al
suo posto una gettata di cemento che fungeva da pista di pattinaggio. Col tempo
vennero la copertura, prima, dopo qualche tempo venne chiuso anche dai lati,
dopo ancora gli spogliatoi, il campo in linoleum ed alla fine arrivò il riscaldamento, correva l’anno 1988.
Gli albori furono all’aperto, al
Centro Giovanile e non di rado capitava d’inverno di spalare la neve per poter
giocare. Fu anche giocato un campionato intero in trasferta per sopperire alla
mancanza di una struttura minimamente confortevole. Ma queste sono storie che
si vivevano in più di un paese negli anni ‘70, non era prerogativa di
Carmignano.
La tua vicenda personale con questo sport come inizia?
Ci avevo giocato a scuola, alle
medie, quando un professore appassionato portò ogni sezione a fare la propria
squadra e partecipare ai Giochi della Gioventù.
La televisione passava gran poco
di basket, appena la differita di qualche spezzone di campionato italiano,
c’erano però i giornali e al tempo, erano i primi anni ’70, si prendeva Telecapodistria
e qualche canale della Svizzera italiana che passava le partire dei campionati
yugoslavi, i maestri europei del basket.
Assieme al mio compagno di scuola
Enrico Gori, grandissimo appassionato già in quegli anni, ci avvicinammo a
questa disciplina così come un ragazzino si appassiona al calcio attraverso le
figurine dei propri campioni.
La Polisportiva quando entra nella tua vita?
Nell’85 Domenico Sartore,
all’epoca Presidente, volle rilanciare la pallacanestro e chiamò Paolo
Pesavento, professore cittadellese di Educazione Fisica, a gestire un Centro di
Minibasket ed io ne divenni dirigente, avevo 21 anni. La prospettiva di stare
in panchina, gestire la squadra nello spogliatoio mi conquistò subito.
Il mio primo campionato giovanile
carmignanese fu nel 1986 coi giovani del ’73 e del’74. Con me c’erano anche
Francesco Baldo e, con le squadre femminili, Rosanna Sartore e Roberta
Biffanti. Enrico Frigo e Domenico Sartore continuavano invece a seguire gli
aspetti burocratici e logistici. Ricordo anche i fratelli Rossi, Giovanni e
Mauro, ed il mio compagno della prima ora Enrico Gori.
Come sono mutate le difficoltà da allora ad oggi?
All’inizio le strutture erano
scarse, ma eravamo pochi e non c’erano da fare grandi manovre per sistemarci
negli spazi palestra. Ora gli sport si sono moltiplicati: ginnastica, karate,
calcetto oltre a quelli che già c’erano: la struttura oggi c’è, magari da
sistemare ma c’è, però ci sono da fare i miracoli per farci stare tutti!
E, se oggi sembra scontato sapere
che a Carmignano c’è la possibilità di fare basket, all’epoca c’era da correre
per farlo sapere a più persone possibili ed avere un numero di giovani che
consentisse di formare una squadra.
Una sorta di
professionalizzazione poi c’è stata nel corso di questi 25 anni, siamo
diventati più bravi a trattare coi ragazzi sia dal punto di vista sociale che
sportivo ma credo sarebbe un guaio se dimenticassimo il gusto che aveva lottare
un anno intero per vincere quella sola partita che ci potevamo permettere di
vincere nel corso dei primi campionati!
Quali soddisfazioni sportive ricordi con particolare piacere?
Quando eravamo ancora “scarsi”
andammo a giocare una partita a Santa Maria di Sala coi ragazzi del 73/74. Per
entrambe le squadre era l’unica partita che potevano vincere nel corso
dell’anno e l’arbitro non arrivò. Decidemmo di giocare facendo arbitrare gli
allenatori delle due squadre con l’esito che ogni allenatore fischiava tirando
dalla parte dei propri giocatori: vincemmo una battaglia clamorosa!
Qualche anno più avanti la
partita da vincere divenne quella col Camposampiero, mentre con le squadre dei
paesi più grandi la lotta era davvero impari. Ora i livelli si sono appiattiti
per fortuna delle società più piccole come la nostra.
Le prime soddisfazioni vennero
coi ragazzi del ’75. Erano in pochi ma buoni e poi si aggiungeva qualche
giovane del ’76. Per due anni consecutivi arrivammo alle final-four provinciali
dove però non riuscimmo mai a portare a casa la vittoria a causa della
concomitanza con le gite scolastiche che ci portavano via i già pochi ragazzi
che avevamo. Ricordo ragazzi come Franco Ferramosca e Franco Bergamin che
arrivavano a fare anche 40 punti a testa a partita!
Ricordo anche un incontro di fine
anni ’80 a Limena dove ci presentammo in 4, ce ne mancava uno per arrivare ai 5
minimi per giocare. Loro non avevavo ancora vinto una partita in campionato e
non vedevano l’ora di approfittare di questa occasione. Decidemmo di giocare in
barba al regolamento 5 contro 4. Giocammo con Ferramosca, Bergamin, Bernardi e
Pilotto tutta la partita, senza cambi, e vincemmo. Credo che a Limena ancora se
la ricordino!
Altre soddisfazioni me le ricordo
con la squadra 83/84 dove Mauro Dalla Bona e Mirko Bergamin facevano sfracelli
e anche la classe degli ’81 e degli ‘82 se la cavava bene. Ci furono poi degli
anni più o meno competitivi, ma all’inizio del nuovo secolo (suona come
qualcosa di storico) con Roberto De Rossi abbiamo dato un nuovo slancio all’attività
partecipando con i ragazzi a diversi tornei, ospitando formazioni di varie
parti d’Italia e creando quindi nuove occasioni di confronto e di crescita che
si sono concretizzate in ottimi risultati con le squadre dei ’90 e dei ‘91 e successivamente
dei ’94 con cui vincemmo la prima edizione del Torneo di Marostica, che ora è
una manifestazione di grande rilievo.
Come allenatore la soddisfazione
più grande è stata invece vincere per due anni il trofeo Città di Padova coi
ragazzi del 1993.
E se parliamo di soddisfazioni umane?
Sono tante e sono nessuna perché
in 25 anni ce ne stanno tante e diventa persino difficile ricordarle.
Ho avuto molta soddisfazione da
quel gruppo di ex giocatori che si è legato al punto da essere ancora al
Palazzetto sentendo il dovere ed il piacere di continuare ad impegnarsi in
società come allenatori.
E poi incontro tanti ragazzi
divenuti adulti che si ricordano di alcuni episodi divenuti importanti nei loro
percorsi di vita.
Quale hai visto essere la crescita nel modo di insegnare il basket in
tutto questo tempo?
Lo sport è cambiato, è evoluto ed
oggi favorisce l’atletismo sulla tecnica. Un ragazzino basso e rotondetto aveva
vita più facile 15 anni fa rispetto ad ora.
I libri del basket invece sono
rimasti più o meno quelli, tanti allenatori però privilegiano sempre più il
risultato rispetto alla crescita armonica della tecnica con le capacità logiche
dei ragazzi.
Queste forzature nell’insegnare
letture e visioni di gioco che non si apprendono più attraverso un vissuto ma
attraverso dettati, ha portato ad un aumento dei giovani che abbandonano lo
sport prima dei 18 anni perché stanchi e privi di stimoli, e ad una crisi
generale del movimento italiano registrabile coi scarsi risultati delle nostre
squadre di club e nazionali.
E come sono cambiati i ragazzi che vengono in palestra oggi da quelli
che ci venivano negli anni ’80?
Erano più curiosi i giovani degli
anni ’80. Era uno sport nuovo, da scoprire. Ora si aspettano principalmente di
giocare ed hanno minor fame di apprendere. E poi i genitori sono molto più
esigenti verso i propri figli, verso l’allenatore e verso la società,
probabilmente perché arrivando a conoscere di più lo sport ci si sente anche
più legittimati a commentarlo.
Quale augurio ti senti di fare al movimento all’alba dei suoi 40 anni
di attività?
Che la struttura regga se
qualcuno di quelli che tira la carretta adesso volesse farsi un po’ da parte.
Che ci siano insomma, in futuro, delle persone che si facciano carico
dell’impegno e della cura che serve per portare avanti un movimento come
questo.
Ma sono ottimista, le troveremo!