L’Africa di Francesco
Francesco Baldo è un carmignanese doc che dal ’95 vive e lavora in
Africa dove segue progetti di sviluppo umanitario in Somalia. Molti lo
ricorderanno come figlio di Ilario, edicolante storico della piazza del paese.
Approfittando del suo periodo di vacanza trascorso a casa abbiamo preso al volo
l’opportunità di aggiornarci sulle sue interessanti vicende che sono un po’
anche quelle del paese dove lavora.
Ci racconti del tuo percorso professionale Francesco?
Iniziai fin da ventenne ad
appassionarmi al sud del mondo anche se all’epoca mi affascinava di più l’America
Latina per gli sviluppi soprattutto politici di quel che accadeva lì, mai avrei
pensato di finire in Africa in quel periodo! Il sentiero che mi avrebbe portato
dove sono adesso iniziò con alcune missioni umanitarie che, da volontario mi
portarono in alcune martoriate zone della ex-Yugoslavia nei primi anni ’90. Una
mia compagna di missione venne poi messa sotto contratto dal CEFA, una Onlus di
Bologna che segue progetti anche in Africa, e da lì iniziò a svolgere il suo
lavoro di Infermiera in Kenya.
Presi l’occasione per trascorrere
da lei qualche settimana di vacanza e lì mi arrivò la proposta di iniziare a
collaborare ai loro progetti. Detto e fatto dal ’95 al 2005 ho lavorato per il
CEFA, dapprima come logista: dovevo occuparmi di acquistare i medicinali al
prezzo migliore della piazza (l’esperienza da “bottegaro” qui mi aiutò
parecchio) per poi prendermi cura di spedirli nel posto giusto e nel giusto stato
di conservazione affinchè altri miei colleghi avessero potuto distribuirli a
persone ed animali. Dopo qualche tempo diventai amministratore e iniziai ad
occuparmi della rendicontazione per i finanziatori dello stato di avanzamento
dei progetti. Infine divenni coordinatore di progetti fino al 2005, anno in cui
venni assunto dalla FAO (Food and Agricolture Organization), l’agenzia delle
Nazioni Unite che si occupa dei casi di sicurezza alimentare.
E qui veniamo ai progetti che stai seguendo in questo momento…
Esatto! Il compito della FAO, in
maniera più sintetica possibile, è agire in maniera che ogni abitante della
terra possa disporre di almeno 2100 chilocalorie al giorno. Dato sintetico ma
troppo semplificativo. Diciamo meglio che la FAO persegue la sicurezza
alimentare nel mondo, che vuol dire agire in maniera che ogni persona nel mondo
possa disporre ogni giorno della quantità e del genere di cibo di cui ha
bisogno.
Obiettivo ambizioso!
Si, ma oltre al cibo è importante
ricordare che l’acqua potabile ha un valore importantissimo poichè con l’acqua
non sana diventa difficile ritenere gli alimenti, per cui andrebbe sacrificato
l’obiettivo finale.
Andiamo più nello specifico del tuo ruolo…
Io vivo in Kenya, a Nairobi, ma
lavoro in Somalia. Per arrivare dove lavoro l’unico mezzo è l’aereo. E ciò da
bene la dimensione delle difficoltà logistiche di un paese come la Somalia, in
guerra ininterrottamente dal ’91, in cui il Sud del paese è completamente in
mano a forze musulmane radicali che impediscono allo stato di essere presente
ed allo stesso modo escludono anche noi delle Nazioni Unite da qualsiasi
possibilità di lavorare. In Somalia la FAO agisce in modo da accrescere la
capacità di pastori, agricoltori e pescatori locali di resistere ad eventuali
shock imprevisti che potrebbero ridurli ad uno stato di emergenza umanitaria.
Per shock intendo calamità naturali come alluvioni o siccità, oppure a virus
che uccidano i loro animali o le loro colture o anche conseguenze dei
combattimenti tra militari che possono impedire gli spostamenti all’interno dei
territori. In più progettiamo miglioramenti delle infrastrutture che facciamo
poi realizzare a loro pagandoli in maniera da rinforzare la loro capacità di
cavarsela anche a fronte di imprevisti inattesi.
Quali sono le difficoltà che incontri più spesso facendo tutto questo?
Le difficoltà sono le più
impensabili! Ho speso un sacco di tempo per dare un valore monetario ad un
metro cubo di terra spostata dai lavoratori a cui facciamo realizzare le opere
idriche: la difficoltà risiedeva nel trovare un prezzo che non fosse né troppo
alto, in maniera da scoraggiare i ricchi del posto ad inserire i loro protetti
come operai, ne troppo basso, per garantire la giusta retribuzione a chi ne
aveva veramente bisogno.
Un altro problema che ho dovuto
affrontare è stato quello di trovare un metodo di pagamento dei lavoratori che
scongiurasse il rischio del caporalato, cioè il rischio di creare delle figure
che potevano ricattare i lavoratori nel momento del pagamento settimanale attraverso
la possibilità di farli o meno lavorare la settimana successiva. Abbiamo
superato il problema affidando i pagamenti al sistema bancario informale che, a
fronte di una commissione molto bassa, consente di fare arrivare soldi a
qualsiasi somalo nel mondo solo trasmettendone nome, cognome, indirizzo e
numero di cellulare; un sistema basato essenzialmente sulla fiducia che da anni
funziona benissimo in tutto il mondo e che ha avuto una piccola crisi soltanto
dopo l’11 Settembre a causa della non rintracciabilità degli spostamenti del
denaro che gli Stati Uniti vedevano come una minaccia alla loro sicurezza.
La Somalia è cambiata dal 95 ad oggi?
Quando io sono arrivato lì la
crisi era già in corso e la guerra ormai dura da quasi vent’anni. Ora, il
problema di una crisi protratta così a lungo sta nella possibilità che venga
dimenticata a favore di crisi più importanti che distolgono l’attenzione
internazionale. In generale, al Sud del paese c’è un senso di peggioramento
della situazione, mentre al Nord-Ovest è in atto un processo politico molto
interessante: ci sono state da poco delle elezioni democratiche. Chi ha perso
ha lasciato il potere senza problemi e chi ha vinto si sta dimostrando la
classe politica più tecnicamente competente mai vista nel paese. Posso dirlo
con sicurezza perché mi trovo spesso a sviluppare i nostri progetti assieme ai
ministri competenti per agricoltura, pastorizia e pesca.
E dal tuo punto di vista da “africano” come hai visto cambiare l’Italia
negli ultimi 15 anni?
Vedo una grandissima difficoltà
della gente a ricordare anche ciò che è successo ieri. C’è il grosso rischio
che non esista più memoria storica in Italia. Credo che ciò sia dovuto
all’invasività che ha, in ogni famiglia, quell’elettrodomestico chiamato
televisione che, per sopravvivere, ha bisogno di continuare a creare
informazioni mirate a far dimenticare ciò che è successo ieri.
E di Carmignano cosa dici?
Faccio molta fatica a parlarne
visto che ci vengo veramente poco. Vivendo in piazza però mi accorgo con facilità
di come non ci siano più le file di biciclette che alle 18, ogni sera,
tornavano a casa dalle camicerie o dalla Cartiera e che vedevo passare
quotidianamente quando abitavo qui. Anche i parcheggi delle grandi aziende li
ritrovo ogni volta più vuoti di macchine. Penso sia una differenza importante.
Vuoi lasciarci qualcosa prima di ripartire?
Un messaggio di cui voglio farmi
testimone: il mio lavoro mi mette a contatto con l’inizio di quel percorso
chiamato emigrazione che voi potete vedere solo nella sua parte conclusiva.
Vedo in quanti partono, vedo i deserti che devono affrontare per mesi, i rischi
che corrono per arrivare in Europa attraverso viaggi che durano spesso anni.
Considerate le motivazioni che spingono queste persone a partire ed affrontare
rischi pazzeschi. La maggior parte di quelli che partono non arriveranno mai.
Non voglio fare del buonismo ma mi piacerebbe che questa energia motivazionale
che li spinge fino a noi sapessimo utilizzarla meglio come sistema paese,
meglio di come si sta facendo adesso.
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