di Roberto Pivato
Gli insegnamenti di papà Italo gli sarebbero tornati utili in
tempo di guerra. Era talmente bravo nel taglio della carne che i compagni di
brigata lo soprannominarono scherzosamente “Boia”, e quello rimase il suo nome
di battaglia. La brigata era quella partigiana numero 31, la Garibaldi Forni,
lui era Algiso Toscani (Salsomaggiore Terme, 13/11/20 – 31/10/10), per gli
amici Giso.
Aveva scelto la
resistenza sull’Appennino parmense Algiso, combattendo nel distaccamento
Peracchi-Lindori. Prima aveva scelto il calcio, malgrado il padre fosse
contrario, vedendolo già dietro il banco della macelleria a proseguire il
mestiere di famiglia. Ma Giso era
testardo e caparbio. Nell’estate del ’36 a Salsomaggiore arriva, per il ritiro
precampionato, il grande Bologna di Felsner, lo “squadrone che tremare il mondo
fa”. Un’occasione più unica che rara per mettersi in mostra. E allora eccolo
dietro la porta, a fare il raccattapalle tutto il santo giorno, sperando di
poter così sfoderare la sua tecnica. La sua costanza e la sua giovanile
sfrontatezza vengono premiate: Felsner si accorge di lui e gli propone un
provino.
Dribblato anche il padre si presenta nel capoluogo petroniano e
ottiene l’ingaggio nelle giovanili. Fa immediatamente scintille: ad un torneo
internazionale conduce i suoi alla vittoria a suon di gol. Un prodigio! Nel
’39, non ancora ventenne, viene fatto debuttare in Coppa Italia, nella partita
contro il Livorno. Giso non si fa
travolgere dall’emozione e si fa un bel regalo di Natale, visto che si giocava
alla Vigilia, il più bello per un attaccante: il gol. Sembra l’inizio di una
fulgida ascesa, invece in prima squadra le porte gli vengono sbarrate dalla
presenza di un mostro sacro quale Hector Puricelli e da un infortunio al
menisco. Fino al prestito al Fidenza. Poi la guerra travolge tutto ed Algiso si
ritrova nuovamente di fronte ad una scelta di vita importante e difficile.
Sceglie la Resistenza, si arruola nella Garibaldi e si incammina su pei monti.
Qui dimostra grande coraggio, spesso non esita a stare in prima linea. Come il
14 luglio 1944, quando una sua bomba a mano mette fuori uso un carro armato
tedesco, dando simbolicamente il via al cosiddetto “Combattimento di Luneto”,
che vide la strenua opposizione dei partigiani della brigata a cui apparteneva Giso ai militi nazisti, spiegati in
grandi forze sull’Appennino parmense per rappresaglia. Cinque dei suoi compagni
periranno in quell’occasione, lui si salverà, ed uscirà indenne dal conflitto. Finita
la guerra riprenderà a giocare: un anno a Parma, due a Pescara, poi nuovamente
nel capoluogo crociato. Col Bologna ha chiuso, i sogni di diventare un grande
calciatore, magari di fama nazionale, sono definitivamente tramontati, ancor
prima del dramma bellico. Ma Algiso è un uomo forte, ancor di più dopo le difficoltà
della vita partigiana. Sa che una delusione non lo può mettere a terra. E poi
c’è l’amore, il ritorno alla sua Salsomaggiore, dove appende gli scarpini al
chiodo, allena, mette su famiglia e frequenta ininterrottamente la locale
sezione ANPI, cercando di mantenere vivo anche nei più giovani il ricordo della
lotta per la libertà. Primi fra tutti i figli, Giancarlo, Paola, Italo, lo
stesso nome del nonno. Curiosamente sarà proprio Italo a seguire le orme del
genitore, ciò che Algiso non aveva fatto nonostante le insistenze paterne,
intraprendendo la carriera calcistica, pure lui per lo più al Parma.
Giso con Francesco Guidolin ai tempi in cui allenava il Parma |
Nel 2010,
alla sua morte, lasciò una preziosa eredità. Molto più che calcistica!
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