Mi piace ancora tanto
insegnare, non sono ancora pronta ad andare in pensione. A volte penso che
dovrei per lasciare spazio ai giovani e per occuparmi di più della famiglia,
tuttavia ho un ottimo rapporto con le mie colleghe più giovani: mi cercano, mi chiedono
consigli, mi fanno sentire giovane. Insomma, do tanto ma ricevo anche tanto.
Inizia
così il nostro incontro con una storica maestra elementare di Carmignano che ha
insegnato a circa 750 alunni… compresi noi di Fuori Luogo. Con la curiosità e
la gioia di rincontrare qualcuno che non si vedeva da tanto, ma anche con una
sorta di imbarazzo e soggezione nell’ ”interrogare” la nostra maestra, partiamo
per raccogliere le sue impressioni sull’universo scuola e su tutto ciò che gli
gira attorno. Quel che segue è la testimonianza di tutta la sua passione per il
suo lavoro, iniziato quasi 40 anni or sono.
Quali
sono le differenze maggiori nell’insegnare oggi rispetto ad anni fa?
Ci sono molte differenze,
a partire dai bambini che sono molto cambiati. Oggi hanno molto più senso
critico, sono, per così dire, meno bambini, più consapevoli delle nozioni che
ricevono, del perché delle cose. Ciò comporta anche un cambiamento nel modo di
fare lezione: tempo addietro il maestro spiegava e gli alunni assorbivano ciò
che ascoltavano; al giorno d’oggi, invece, la lezione è più interattiva, si fa
coi bambini stessi, con la loro partecipazione attiva. Tutto ciò, se da una
parte è positivo, dall’altra è controbilanciato da meno senso del dovere e
della responsabilità nel bambino, il quale è anche meno autonomo. I ragazzi
sono pieni di impegni e, a volte, la scuola passa in secondo piano. Sicuramente
poi hanno meno rispetto, non hanno paura di nulla, ma al contempo sono più
fragili: di fronte agli insuccessi vanno in crisi. Forse ciò è dovuto al fatto
di misurarsi maggiormente con gli altri… Un aspetto che mi amareggia, infine, è
la minor collaborazione della famiglia, dovuta sia a impegni lavorativi
maggiori, sia a una vera e propria crisi di valori per cui la scuola perde importanza
e i bambini vengono giustificati troppo facilmente.
Meglio
il maestro unico o più insegnanti?
Oggi c’è il maestro
prevalente che si occupa di tutte le materie, eccezion fatta per storia,
geografia, inglese e naturalmente religione. Ormai sono 15 anni che sono
insegnante prevalente, mentre in precedenza gli insegnanti erano suddivisi per
aree disciplinari. Entrambe le tipologie di insegnamenti comportano vantaggi e
svantaggi. Lavorando per aree si ha maggiore opportunità di aggiornarsi e si
riesce a rispettare meglio l’orario, senza dover sacrificare alcune materie ad
altre. Il bello di essere insegnante prevalente è che i bambini si affezionano
a te in modo speciale, hai un rapporto privilegiato con loro trascorrendoci
assieme cinque anni. Tuttavia, se non si è creato un buon team, si rischia di
lavorare da solo, sia per quanto riguarda la mole di lavoro, sia per lo scarso
confronto che si può avere con gli altri maestri che, in un certo senso, sono
di passaggio.
Quali
sono le maggiori difficoltà nella scuola odierna?
C’è poca attenzione per
chi è in difficoltà: a causa dei tagli si fanno poche ore di compresenza e di
sostegno non offrendo le giuste possibilità a chi è svantaggiato. Un altro
problema grosso è quello dell’insufficienza degli spazi: poche aule attrezzate
per le attività, molto spesso persino durante le ore alternative a religione
non si sa dove portare i bambini perché le stanze sono tutte occupate.
Purtroppo la situazione, soprattutto dal punto di vista economico, non è delle
migliori e così gli sforzi delle maestre, ma anche del comune che ha sempre
fatto tutto quello che poteva per la scuola, restano troppo spesso vani. Si
tenga presente inoltre che c’è stato un forte incremento di iscritti negli
ultimi anni (ad oggi 360 alunni in totale), dovuto tanto alla chiusura dei
plessi di Camazzole, quanto all’arrivo di numerosi stranieri.
A
proposito di stranieri: com’è la loro integrazione nella scuola e il rapporto
con i compagni?
I bambini stranieri sono
in media 5-6 per classe. Se sono nati qui non hanno alcun problema, né di
adattamento, né didattico. Se invece sono arrivati da poco hanno ovviamente
enormi difficoltà linguistiche e, non potendoci essere un insegnante che si
occupa in particolare di loro, sono affidati esclusivamente alla generosità di
qualche maestra. Il rapporto coi compagni invece è splendido: da questo punto
di vista i bambini ci insegnano moltissimo sull’accettare “il diverso”, non
fanno nessun tipo di distinzione, il loro comportamento è assolutamente
spontaneo e libero da pregiudizi, non si chiedono mai il perché se qualcuno
svolge un lavoro personalizzato differente dal loro. Quando in classe c’è un
compagno in difficoltà non glielo fanno pesare, anzi, se quest’ultimo ha un
successo scolastico sono i primi a metterlo in evidenza. Non ci sono bambini
emarginati, la classe è una sorta di grande famiglia in cui tutti si prendono
cura degli altri vicendevolmente.
Ha
qualche episodio particolare che le è rimasto impresso?
Mi ricordo di un ragazzo
che aveva la capacità di trasmettere filo e per segno tutte le problematiche di
casa. Un giorno uggioso di maggio, vedendolo assorto nei suoi pensieri gli
chiesi a cosa stava pensando e lui mi rispose: «Maestra, dizito chei slarga el
madego stamattina?». Io stavo spiegando e lui pensava al fieno! Un’altra volta
ho dato come compito un testo in cui dovevano usare tutti i dati sensoriali. A
distanza di anni ricordo ancora il suo lavoro, breve ma in cui diceva tutto; si
intitolava “Serate in famiglia” ed era così: «Era una sera d’estate, la luna si
specchiava nella busa del pisso. A un certo punto abbiamo sentito splash. La
cavera era caduta nella busa del pisso». Un altro episodio divertente è quello
del “gato recion”: avevo dato un tema sull’animale domestico. Un bambino parla
del suo gatto e scrive: «Quando il mio gatto sente i morosi che lo chiamano
miagolando vuole andare fuori». Convinta che si trattasse di una gatta corressi
tutti i maschili in femminili. Quando riconsegnai il tema il bambino mi disse
che il suo gatto era maschio; a questo punto intervenne un secondo alunno:
«Aeora el to gato lè recion!». Un terzo immancabilmente mi chiede: «Cosa vuol
dire “recion”?»; io imbarazzata rispondo che significa che ha le orecchie
grandi mentre il secondo alunno mi fissa scuotendo la testa. Altri bei ricordi
sono legati alle feste sportive di fine anno che costavano sempre grande fatica
ma davano pure innumerevoli soddisfazioni. E mi emoziona ogni volta che, magari
subito dopo averli rimproverati, i bimbi ti chiedono: «Maestra, vuoi un caffè?
Perché ti vedo stanca».
Per
concludere: che consiglio darebbe a chi sta per intraprendere la carriera di
insegnante?
L’unico consiglio che mi
sento di dare è di non essere mai troppo sicuri; bisogna fermarsi continuamente
a riflettere su ciò che si fa e chiedersi se lo si è fatto bene. È necessario
mettersi costantemente in discussione e aprirsi al confronto con gli altri.