di Roberto Pivato
Quando
Valcareggi gli annunciò la panchina prima di un Verona – Fiorentina, lui non se
la prese, ma si sedette tranquillamente, come niente fosse. Sopra la tuta
giallo-blu, tuttavia, indossava una pelliccia e in testa calcava un cappello da
cowboy.
Questo era Gianfranco Cesare Battista Zigoni (Oderzo, 25/11/44), un
calciatore che definire sopra le righe sarebbe quantomeno riduttivo. Fu famoso
più per le sue bravate che per i successi sul campo, riducibili allo scudetto
‘66/’67 con la Juventus. Ma se gli chiedete i suoi ricordi più belli non vi
parlerà degli anni in bianco-nero, i primi della sua carriera da
professionista, bensì di quelli al Genoa, col quale retrocesse giocando anche
in B; alla Roma, dove si innamorò della città e dei tifosi; ma soprattutto al
Verona, nel quale diventò un idolo indiscusso.
Chiuderà al Brescia dell’amico
Gigi Simoni, ancora in cadetteria. Zigo
non era certo tipo da sottostare a delle regole imposte. Niente alcool, fumo e
sesso prima delle gare? Se capitava l’occasione non c’era partita che tenesse.
Perché per lui il calcio non è mai stato tutto. Nei ritiri faceva passare il
tempo sparando ai lampioni o sfrecciando nelle sue Porsche oltre i 200 all’ora.
Si paragonava a Pelé, in questo sostenuto anche da opinioni illustri quali
quelle di Giovanni Trapattoni o di José Santamaria. Detestava gli arbitri che
accusava di essere al servizio del potere e quindi di agire in malafede: perciò
accumulò più giornate di squalifica che gol. Come quella volta che gliene
dettero sei. Venne espulso per aver mandato a quel paese un guardalinee e, a
fine partita, mentre parlava con l’amico Renato Faloppa (che giocava nel
Vicenza, avversario degli scaligeri quel giorno), rincarò la dose, poiché lo
stesso collaboratore arbitrale gli si avvicinò per chiedergli cosa gli avesse
detto di preciso prima: «Come ti permetti di interrompermi mentre sto parlando.
La bandierina te la cacci su per il culo».
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Zigoni dopo un'espulsione, minacciato dal compagno di squadra Maddè |
Però quando era in giornata, quando
gli andava, era uno dei più forti, uno di quelli che la differenza la fanno
davvero, tanto che al Bentegodi campeggiava uno striscione con su scritto: “Dio
Zigo, pensaci tu”. Uno slogan che diventerà il titolo della biografia scritta
su di lui dall’amico Ezio Vendrame. Zigoni non è mai stato propriamente un
esempio da imitare, ma sapeva immancabilmente farsi amare dai suoi tifosi e
farsi letteralmente seguire da loro. Come quella volta che in un’amichevole
Verona – Vicenza saltò quattro avversari e la mise all’incrocio, per poi
imboccare direttamente la strada degli spogliatoi. Tutto il pubblico a quel
punto abbandonò gli spalti. Il loro idolo non era più in campo, cosa rimaneva
da guardare? Piccolo particolare: alla fine della partita mancavano venti
minuti.
Ce ne sarebbero molti altri di aneddoti a dir poco curiosi su questo
vero e proprio anarchico del calcio, ma noi chiudiamo col suo rifiuto, quando
militava nel Brescia, di scendere il campo contro il “suo” Verona: «Avevo
giocato sei anni nell’Hellas, quella era casa mia, a Brescia stavo da dio, ma
non potevo andare a rubare nel mio salotto».
Folle ma con un cuore.