martedì 24 febbraio 2015

SULLA SEDIA, PER FORZA

di Beniamino Fortunato


<< Maledetta crisi! Maledetta disoccupazione giovanile! Quanto mi sarebbe piaciuto aprire una pasticceria tutta mia, avrei già davanti la fila di famiglie che viene da me a fare colazione, a fare merenda, a prendersi le paste da aprire la domenica a pranzo coi nonni a tavola mentre in tv danno la benedizione del Papa…
Avrei finito il liceo senza infamia ne lode e sarei andato ad imparare l’arte da un pasticcere del centro come ragazzo di bottega per poi dare sfogo alla mia creatività con un’attività tutta mia, avrei la fila a quest’ora…
Invece finito il liceo mi è toccato iscrivermi all’università, chi si sarebbe rischiato di scommettere sull’avvio di una nuova bottega di questi tempi? almeno se stai studiando nessuno viene a rinfacciarti di stare a perdere tempo… e poi mia nonna ci tiene così tanto ad avere un laureato in famiglia!
Ora l’università è messa lì da parte perché adesso faccio politica, mi occupo del mio territorio. E chi se lo sarebbe aspettato? un anno fa stavo al bancone della festa rock del paese ed ho conosciuto l’assessore, in realtà io lo conoscevo già, la sua faccia stava spesso nella cassetta delle lettere di casa mia. Devo essergli stato simpatico perché mi ha chiesto come mi chiamavo ed in quattro e quattr’otto avevamo ricostruito le mie parentele fino al secondo grado. Fino a quella sera non è che mi fossi mai appassionato alle questioni amministrative però mi stava simpatico anche se, per questioni anagrafiche, non avevo potuto votare per lui alle scorse elezioni. Però l’avrei fatto!
Insomma da lì è partita la mia carriera politica, passata per le elezioni di sei mesi dopo, in cui ho proprio spaccato, e per l’incarico affidatomi di conseguenza.
Ma chi se lo immaginava? beh adesso faccio politica già da sei mesi e devo dire che mi viene bene parlare alla gente, spiegare loro quello che vogliamo fare, rispondere alle domande… quello un po’ mi inquieta perché ti arriva di tutto agli incontri pubblici eh, e con sta questione dell’antipolitica è un attimo trovarsi quello che ti accusa di far parte della casta... a me? che son qua da sei mesi? almeno io con questa ragione me la sbologno in fretta st’accusa… poi per il resto è facile trovare qualche spalla tra i miei più esperti compagni di amministrazione.
Si insomma, mi sa che forse ho trovato la mia strada anche se qui è dura soprattutto quando mi metto a pensare a come andrà a finire… questa cosa dura qualche anno poi tornano le urne… e lì? altro che contratto a termine, qui è una lotteria… e se non spacco più? cosa faccio io? mi rimetto a studiare? sì, e magari aspetto altri 5 anni per ricominciare a vedere una busta paga…
Vado a lavorare? ma a fare cosa? cosa mi invento? non ho neanche avuto il tempo di imparare a fare una crema pasticcera decente… mi metto ad impararlo da adulto? mah, la vedo dura… maledetta crisi!
Mi sa che mi devo tenere stretto sto ufficio che se lo perdo mi mangio le mani… mi sa che è questo il mio tesoro, me la devo giocare da furbo! Da domani  si inizia a programmare la prossima campagna elettorale, bisogna piacere alla gente, essere sempre presente su Facebook e quando ci sono i fotografi, la tv locale, i giornalisti. Magari rivedere l’armadio e il taglio di capelli, l’immagine è importante, l’ho capito da mia nonna quando mi dice che con la barba da fare sembro un talebano… me la devo giocare bene con l’elettorato anziano, mi devo giocare bene la consulenza gratuita della nonna!
Se parto adesso gioco d’anticipo, e chi mi frega la prossima volta?
Poi magari arriva qualcosa di più, chissà? uno scatto d’anzianità, un ufficio più grande di questo, la carriera… a quel punto sarò in ballo e ballerò! Basta che mi tenga stretto il mio tesoro che se scappa qua va a ramengo tutto, mica posso imparare a fare il pasticcere a 40 anni o, peggio ancora, a 50… qui mi ci gioco il futuro, non posso perdere nessun treno altrimenti qua si resta a terra per davvero… che ansia… maledetta crisi! Maledetta disoccupazione giovanile! >>. 

martedì 17 febbraio 2015

INDIVISION: Il progetto Onyros

di Fabio Marcolongo

Sabato mattina. Sono a San Pietro in Gù, in uno studio di produzione video, circondato da monitor, casse acustiche e computer.
Silenzio: sto metabolizzando l’emozione che mi ha suscitato la visione della puntata “ZERO” della web-serie “Onyros”, prodotta e realizzata dal collettivo INDIVISION.

Il protagonista di "Onyros"

Atmosfere horror?
No, direi piuttosto “thriller”. Ma con curiosi intrecci amorosi che vedremo nelle prossime puntate!

Si scherza, si ride, si respira entusiasmo e voglia di fare. Voglia di fare un film.

Innanzitutto, che cos’è INDIVISION?
Siamo un “collettivo di film-maker”, composto da una decina di professionisti di Padova e provincia (alcuni sono di Carmignano - ndr) che provengono dal settore della produzione video e ad attività lavorative ad esso collegate (fotografi, grafici, copywriter, truccatrici, sound-designer, creativi...), e che nutrono una forte passione per il cinema. 
A breve INDIVISION verrà ufficializzata come associazione, perché vorremmo aprire le porte anche a giovani non-professionisti interessati ed affascinati dall’arte cinematografica.

Come è nata questa idea del “collettivo”?
C’è un grande fermento attorno al sogno di fare un film. E c’è una gran voglia di realizzare un prodotto di alta qualità, seppur con un budget ridotto. Viviamo in una parte dell’Italia (il Nordest) in cui le produzioni cinematografiche e le opportunità ad esse collegate sono praticamente inesistenti. Il “collettivo” nasce come risposta a queste esigenze.
Poi c’è un’altra considerazione da fare: ciascuno di noi ha capito che da solo, come singolo freelance, non potrà mai realizzare appieno le sue idee, né massimizzare le sue capacità. Fare squadra è un modo per condividere opinioni, conoscenze ed esperienze e per crescere sia dal punto di vista umano che professionale.

Come vi siete conosciuti?
I primi contatti nascono nell’ambiente universitario: qualche anno fa, alcuni di noi hanno fatto un corto intitolato “Crisi”. Poi, dopo un periodo in cui ciascuno ha seguito la propria strada, abbiamo riallacciato i contatti per realizzare una serie di video per conto di un grosso cliente. Il nuovo gruppo era composto anche da persone che non si conoscevano prima, ma si è instaurata subito una forte sintonia.
Alla fine dei lavori eravamo molto soddisfatti per i risultati ottenuti, così ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “Perchè non sfruttare queste esperienze per fare qualcosa di nostro, qualcosa che ci appartenga fino in fondo?”

INDIVISION: qual è il significato del nome?
INDIVISION significa INDIVISIONE cioé unione, ma anche VISIONE INDIPENDENTE. Questo deriva dall’idea che non vogliamo legarci a “compromessi di mercato” (per esempio fare un corto che fa ridere per portare a casa più visualizzazioni su Youtube), ma che facciamo le cose che ci piacciono, cose che vorremmo vedere anche come spettatori. I progetti che stiamo realizzando non sono finanziati da un produttore che mette i soldi e quindi ti dice cosa devi (o non devi) mostrare. 
Poi c’è l’altra faccia della medaglia: non appoggiandoci ad un produttore non disponiamo di un budget. Abbiamo il nostro tempo, le nostre attrezzature, le nostre idee, la nostra professionalità e la voglia di trovare, di volta in volta, qualcuno che possa essere interessato a sponsorizzare il singolo progetto o parte di esso.

Quando parliamo di produzione ci riferiamo anche ad un altro aspetto, quello organizzativo, giusto?
Giusto. La produzione riguarda tutta la parte di pre-organizzazione, organizzazione e realizzazione del prodotto finito (sia esso un cortometraggio, un documentario, una web-serie). Quindi ricerca della location, permessi per le riprese, trasferimenti e catering per la troupe, oggetti di scena, costumi, trucco, fotografia, logistica, ricerca degli attori,...

La prima produzione INDIVISION:  “Onyros”. Il format è quello della web-serie, cosa significa?
Significa che stiamo scrivendo una serie di episodi (10-12), ciascuno della durata di 5-8 minuti, che verranno diffusi tramite internet. Per tornare al discorso del budget, prevediamo di produrre autonomamente tre puntate, poi vorremmo trovare un supporto economico per sostenere le spese delle successive.

Un'immagine dal set di "Onyros"

Ho appena visto la puntata “ZERO”: come è nata l’idea della storia che volete raccontare?
Volevamo girare un cortometraggio per Halloween, ma non trovavamo un finale che ci soddisfacesse. Ad un certo punto è nata un’immagine che però ci soddisfava troppo, nel senso che meritava di più di un cortometraggio. Così ci siamo detti: “Perché non proviamo a svilupparla meglio?”. E da questa immagine è nata una storia che è una riflessione sulla società e sul sistema di comunicazione che ci circonda e di cui siamo parte.

E quale sarebbe questa immagine?
La vedrete nelle prossime puntate di “Onyros”...

A chi vi ispirate quando scrivete o quando girate le riprese?
In generale, dal nostro punto di vista, quello della regia, ci ispiriamo a figure come David Lynch e John Carpenter. Poi, nello specifico di “Onyros”, cerchiamo di integrare le nostre idee con quelle della sceneggiatura, nella quale si può facilmente riconoscere la raffinatezza e la creatività della parte femminile di INDIVISION.

Qualche anticipazione sullo sviluppo della storia?
Ci sarà un protagonista, affiancato da diverse donne, e ci sono delle “forze oscure”. Per ora non possiamo aggiungere altro.

Allora chiudiamo come abbiamo aperto, con un filo di suspance, ma prima vi volevo chiedere: dove avete fatto le riprese? Anzi no... non ditelo!

Rilanciamo agli attenti lettori di Fuori Luogo Blog la domanda: secondo voi dove sono state fatte le riprese della puntata “ZERO” di “Onyros” che potete vedere qui sotto?  



IL SITO WEB DI INDIVISION: http://www.indivision.it/

mercoledì 11 febbraio 2015

TUTTO UN ALTRO CALCIO: ÉTIENNE MATTLER, DIFESA E RESISTENZA

di Roberto Pivato

Mattler con la Coppa di Francia del '37

Quando nel ’44 lo videro tornare, a Sochaux non credevano ai propri occhi. 
Le notizie giunte assicuravano che era morto, come tanti altri, in un campo di prigionia nazista. E invece eccotelo lì, come il tempo non fosse mai passato da prima della guerra. Non solo era vivo, ma voleva pure tornare a giocare. E come si poteva dirgli di no?! Lui era Étienne Mattler (Belfort, 25/12/05 – Sochaux, 23/03/86), mica uno qualsiasi! 
Col Sochaux aveva giocato dal ’29, fino a quando l’invasione nazista fermò anche il calcio, e lui, dopo essere stato baluardo della retroguardia giallo-blu, decise di esserlo anche della Resistenza. Combatté i tedeschi, fu catturato e deportato e tutti lo credettero morto. Invece lui era scappato. Si era divincolato dalla marcatura teutonica e, per una volta, aveva fatto come le punte, quelle svelte, che non sai mai da quale parte andranno. Ne aveva marcata di gente così! E quasi sempre aveva avuto la meglio lui. Chissà come sarebbe andata a ruoli invertiti? Andò bene. 
Mattler evase e si rifugiò in Svizzera, finché le cose non cominciarono a migliorare, Parigi venne liberata nell’agosto del ’44 e lui poté rivedere la Francia. Da giovane aveva giocato nella formazione del suo paese, Belfort; poi due anni allo Strasburgo e, infine, l’approdo ai Les Lionceaux. Qui vince due campionati e una coppa nazionale e si consacra come forte difensore (lo chiamavano le balayeur, cioè lo spazzino, il netturbino). Se ne accorgono pure in nazionale e Mattler prende parte ai primi tre mondiali della storia. Diventa anche capitano dei Bleus, dimostrando tutto il suo carisma e coraggio in un’occasione particolare: il 4 dicembre 1938, a Napoli, si svolse un’amichevole tra l’Italia (fresca campione del mondo per la seconda volta, proprio in terra francese) e i transalpini. Il clima non era certo dei migliori: le tensioni fra i due paesi erano forti e durante la coppa del mondo i calciatori azzurri erano stati continuamente fischiati dai supporter locali (anche e soprattutto per il loro saluto romano all’inizio delle partite).

Meazza e Mattler al calcio d'inizio di Italia - Francia del '38 

Alla vigilia dell’incontro amichevole, nell’albergo partenopeo dove la nazionale francese era allocata, Mattler si mise a cantare a squarciagola “La Marsigliese”, seguito dai propri compagni. Un semplice gesto che infuse però coraggio e serenità a quei calciatori che, se non erano proprio impauriti, avrebbero sicuramente desiderato trovarsi altrove. Durante la gara, com’era prevedibile, il pubblico di casa si prese la sua stupida rivincita: fischi e offese in continuazione nei confronti dei giocatori avversari, in particolare verso quelli di colore. Difficile giocare in quelle condizioni; avvilente quantomeno. Deve essersene accorto il capitano, il quale, malgrado una clavicola danneggiata, rimane in campo per tutto il match per sostenere e infondere morale ai compagni. Appena tornato era naturalissimo per lui presentarsi subito alla sua squadra, forse ancora prima che ai suoi familiari od amici. D’altra parte la passione non si placa, nemmeno con le guerre, nemmeno con la prigionia e l’esilio. Étienne riprende il suo posto nella difesa del Sochaux, soprannominata emblematicamente “Linea Maginot”. Nella stagione ‘45/’46 ricopre anche il doppio ruolo di allenatore-giocatore, poi decide di fare il ct a tempo pieno. Guida il Thillot fino al 1949, poi il ritiro. 
La morte, quella vera stavolta, arriva nell’ ’86. A Sochaux non lo vedranno più tornare.

venerdì 6 febbraio 2015

TRUE DETECTIVE

di GP F1


True Detective è un film in otto puntate. True Detective è un inno alla non banalità. True Detective è istinto e razionalità, è luce ed ombra, è tensione latente che mai si assopisce, è viaggio interiore nelle oscurità più profonde dell’animo umano.
Ambientato nel sud degli Stati Uniti, più precisamente nello stato della Louisiana, True Detective narra una storia che si sta protraendo nel tempo da più di 20 anni.  Marty (Woody Harrelson) e Cohle (Matthew McConaughey), questi i nomignoli dei protagonisti, sono due poliziotti della squadra omicidi che vengono nuovamente coinvolti nella risoluzione di un caso al quale entrambi hanno già intensamente lavorato a partire dal 1995. Davanti ad una 8 mm, i due devono rispondere al fuoco di domande che due loro colleghi – Thomas e Papania - hanno appositamente preparato per l’occasione. Marty e Cohle non sono per niente intimoriti dalla convocazione nel dipartimento di polizia e dall’interrogatorio individuale al quale entrambi devono sottoporsi. Davanti al freddo obbiettivo di una telecamera Marty e Cohle adottano comportamenti diametralmente opposti attraverso i quali chi guarda può trarre già da subito i primi giudizi (ma alla fine saranno proprio quelli esatti?).
Marty è sobrio, incravattato, collaborante e rispettoso. Cohle è trasandato, sfrontato e diretto per cui è lui che fin dall’inizio dell’interrogatorio cerca di imporre il suo codice di comportamento, le sue regole. Se Marty è la normalità e la pacatezza, Cohle è l’istinto che non si riesce a frenare. Due voci narranti, due punti di vista che si alternano per descrivere ciò che è accaduto 20 anni prima. Flashback e presente si alternano in modo geniale. Lo spettatore viene infatti catapultato nelle vite dei due detectives diventando un osservatore onnisciente. Lentamente riaffiora il passato di Rusty e Cohle ed inesorabilmente spuntano dinamiche che i due sapientemente nascondono durante i loro interrogatori proprio perché esterne e quindi estranee ai fatti di sangue per i quali sono stati convocati in dipartimento. Scavare nel passato per dare un senso al presente può però far rinascere delle grosse complicazioni.


Nel 1995 i due si conoscono, diventano prima colleghi e poi tentano di diventare amici. Cohle è un tipo stranissimo e non fa nulla per nasconderlo: vive il lavoro ventiquattrore su ventiquattro, non ha vita sociale e quando viene interpellato, oltre a non perdere mai il controllo e la pazienza, non è mai in grado di essere banale. Nasconde un passato che lo ha segnato profondamente e che, col passare degli episodi, si scopre essere pesantissimo. Rusty è la spalla ideale di Cohle. Molto più terra terra e molto più ligio ai compiti di un buon padre di famiglia, Rusty vive la sua vita all’interno di una bugia che in pochissimo tempo Cohle riesce a svelare e sgretolare. Il caso al quale i due cominciano a lavorare è spinoso e quasi irrisolvibile. All’interno di una piantagione di canna da zucchero viene rinvenuto il cadavere di una ragazza, Dora Lange. La posizione del corpo ed i vari tatuaggi che vengono rilevati sul cadavere fanno subito pensare ad un omicidio seriale a sfondo esoterico. I due brancolano nel buio ed effettivamente il posto nel quale è stato compiuto l’assassinio è in un punto sperduto della Louisiana. Marty e Cohle sono soli nella solitudine più totale. I luoghi che successivamente i due visiteranno e gli immensi spazi che i due attraverseranno per collezionare un briciolo di prove sono il simbolo di una nullità che nasconde il male. L’impatto visivo di alcune scene è unico. Non c’è traccia di metropoli, di tecnologia, di novità. Tutto sembra incredibilmente distante e distorto. Ad accompagnare le scene una colonna sonora d’impatto, che filtra sia l’umore degli stessi personaggi sia l’enormità dei luoghi in cui si trovano. 


I due assi temporali distinti su cui si sviluppa la storia si uniscono nuovamente solo verso la conclusione della serie fornendo allo spettatore tutti gli elementi per trarre le dovute conclusioni.
Conclusioni che non riguarderanno la scoperta di chi sia in realtà il serial killer bensì di chi siano veramente Cohle e Marty ed in che modo le loro storie, che appaiono apparentemente piatte e banali agli occhi dei colleghi, siano dei veri e propri vasi di Pandora.
Quindi non si tratta solo di un inseguimento alla ricerca di  uno spietato serial killer.
True Detective è molto di più.