mercoledì 1 settembre 2010

CARMIGNANO DAL BAR


Il bar è un punto di osservazione privilegiato della società in cui viviamo.
Ecco, qui di seguito, alcune figure tipiche della Carmignano del XXI
secolo*:

LʼARRICCHITO. Arriva con il SUV e lo parcheggia in qualsiasi posto,
purchè sia in vista. Meglio se riesce a salire sul marciapiedi o su unʼaiuola
con almeno un paio di ruote. Scende parlando al cellulare che poi, una
volta appoggiato sul bancone del bar, si scoprirà essere spento. Indossa
una camicia a righe macchiata di sugo, un paio di pantaloni lunghi color
cachi e un paio di scarpe Geox sporche di fango. Scherza con la barista
usando un linguaggio piuttosto colorito e si vanta delle sue imprese
amorose: riferisce, in particolare, qualcosa a proposito di una
contorsionista rumena che lavora per il “Circo Americano”. Infine,
raccomanda ai presenti di non raccontarlo in giro poiché la moglie non ne
sa nulla. Ordina un caffè corretto prugna, sfoglia il giornale e se ne va con
la camminata tipica del cow-boy.
LA MOGLIE DELLʼARRICCHITO. Arriva al bar verso metà mattina, per
non incontrare il marito. Parcheggia la BMW coupé strisciando lentamente
ma inesorabilmente gomma e cerchio in lega contro il marciapiedi o contro
il cordolo dellʼaiuola. Fresca di parrucchiera e un pò arrossata dalla
lampada abbronzante, si atteggia in una camminata da fotomodella
(nonostante i suoi quarantʼanni), ancheggiando nella migliore tradizione
delle passerelle milanesi. Si siede con eleganza ad un tavolino, appoggia
la borsa Louis Vuitton sulla sedia accanto, si toglie gli occhialoni D&G,
inizia a sfogliare Vanity Fair e ordina cappuccio e cornetto. Di lì a poco
arriva un giovane alto e muscoloso che si presenterà come il personaltrainer
contattato su internet. Dopo circa 15 minuti i due salgono sulla
coupé e se ne vanno. Interessante il dialogo tra la moglie dellʼarricchito e
la sua amica barista: la prima chiede alla seconda di non dire nulla al
marito, poiché egli considera i personal-trainer dei giovani sfaticati, ed è
stanco di trovarsene a casa ogni settimana uno di nuovo!
IL COMUNISTA DI PRINCIPIO. Arriva e parcheggia la Renault 4 rossa al
posto della coupé appena partita. Scendendo impreca contro le mogli
snob dei capitalisti e si lamenta di Berlusconi e del mondo materialista. Poi
dice qualcosa relativamente ai suoi diritti di lavoratore schiavo del padrone
sfruttatore. Un giovane cliente del bar lo guarda, sorride e gli dà ragione. Il
comunista di principio sfoglia lʼUnità e ordina un caffè di orzo e un
bicchierino di vodka Keglevich (la migliore). Poi lega le Nike che si erano
slacciate, manda un messaggino con lʼiPhone, si reinfila i Ray-Ban, paga
il conto tentando di negoziare il prezzo al ribasso (sostiene sia un suo
diritto, contro le multinazionali del caffè) ed uscendo si accende una Philip
Morris. Lo aiuto ad andarsene, spingendo la Renault 4 che non ne vuole
sapere di rimettersi in moto.
IL DIPENDENTE STATALE. Arriva a piedi, con due colleghi. Al cellulare
spiega che rientrerà in ufficio nellʼarco di 45 minuti, perchè si trova in
archivio per sistemare una pratica urgente. Lʼallegra e spensierata
compagnia ordina due caffè macchiati e uno liscio discutendo
animatamente di vacanze low-cost e di spacci di vestiti di marca.
IL PRECARIO. Lʼho notato prima, mentre sorrideva e approvava i discorsi
del comunista di principio: giovane, sui trentʼanni, laureato in Scienze della
Comunicazione e con un contratto a progetto appena rinnovato per altri
sei mesi. Festeggia da solo, perchè i suoi amici sono tutti a lavorare. Nel
frattempo ha fatto amicizia con lo sgabello alla sua destra. Forse è
ubriaco. Anche il ragazzo forse è ubriaco, ma riesce a farsi offrire una
birra da mezzo (lʼennesima) dalla barista, in cambio della promessa che
sarà lʼultima. Sfoglia la rivista Quattroruote e dice allo sgabello che sogna
di comprarsi unʼAudi A4. Lo sgabello gli consiglia di ordinare due amari e
di brindare insieme nella speranza di un futuro migliore.
Passano le ore e passano anche altre figure: studenti, ragazzi e ragazze,
fidanzati dʼogni età, pensionati, esperti di politica e di calcio,... Ma ho finito
lo spazio a mia disposizione e quindi non mi resta che rinviarvi al prossimo
numero per continuare il viaggio in questo nostro splendido mondo
surreale.

DAL FIUME AL MARE




Tocca a Fabio raccontarci la sua frenetica vita tra metropoli e fornelli


Fabio Liguori (per gli amici Bibo) non è proprio un carmignanese (la sua famiglia vive a Grantorto) ma dalla sua adolescenza ha sempre frequentato il nostro paese e molti dei suoi amici vivono qui. Per questo abbiamo voluto intervistarlo per raccontarvi la sua affascinante scelta di vita.
Fabio, puoi presentarti ai lettori che non ti conoscono? Dunque, ho 31 anni e faccio il cuoco. Ho frequentato l’istituto alberghiero e successivamente, a 23 anni, sono andato quasi allo sbaraglio ad imparare il mestiere a Londra per un anno e mezzo. Poi ho lavorato nell’ordine ad Amalfi, Asolo, Bruxelles, Castelfranco, Miami per arrivare oggi a Parigi dove sto ormai da più di un anno e mezzo.
Cosa ci dici di tutti questi posti? Di ogni posto dove sono stato vi potrei parlare di mille ricordi ma mi rendo conto che la descrizione che farei sarebbe troppo legata all’umore ed all’esperienza personali che avevo nel periodo preciso in cui ci sono stato. Se Londra l’ho vissuta con gli occhi spaesati di un giovane ventenne che per la prima volta nella sua vita lascia casa e famiglia per andare a vivere in una metropoli dove dovrà imparare anche solo a strirarsi i pantaloni, oggi a Parigi vi racconterei di un posto visto con gli occhi di una persona adulta che sta lì soprattutto perché ha trovato una buona occasione lavorativa che gli consente di fare esperienza e migliorare il proprio curriculum. A parte questo ogni giorno mi rendo conto di quanto sia bella questa città!
Da dove ha origine questo perpetuo girovagare? Mi sposto perché ho l’opportunità di farlo ed ho ancora tanta voglia di vedere il mondo. Inoltre ogni cambio porta con se un miglioramento della mia condizione lavorativa a partire dall’esperienza maturata di volta in volta: se a Londra pulivo l’insalata, ora, a Parigi la ordino al fruttivendolo e sovrintendo a chi la dovrà pulire.
Sai già quale sarà la tua prossima tappa? No, non lo so. Ma mi basterà deciderlo e trovare una proposta di lavoro allettante e non ci vorrà molto per cambiare ancora. La Spagna ancora mi manca, qualche impiego a Barcellona o Madrid potrebbero stuzzicarmi anche se lì la paga non è molto buona e la vita invece costa. Un altro desiderio che ho è quello di buttarmi in qualche paese emergente come Marocco, Turchia o Libano, paesi in cui è più facile trovare voglia di investire economicamente nel settore da parte di facoltosi stranieri.
Questo stile di vita ti ha arricchito? Economicamente no, soprattutto perché vivendo senza nessuno che ti faccia ragionare sul futuro sperpero parecchio e non mi pongo progetti a lungo termine. Come persona, invece, a 31 anni ho visto così tanti luoghi che pochi riescono a vedere in una vita e grazie a questo ho messo via molta esperienza. Mi ritengo privilegiato grazie alle scelte che ho fatto.
Ti ha invece tolto qualcosa? Non ho costruito legami duraturi con le persone incontrate. Vivo una vita piuttosto libertina anche perché coi miei orari di lavoro è molto difficile incontrare assiduamente persone che fanno altri lavori; se invece incontri ragazze che fanno il tuo stesso lavoro, molto probabilmente possiedono anche la tua stessa indole libertina… In ogni caso io per primo posso dire di non cercarli questi legami duraturi.
Dalla tua posizione come hai visto cambiare in dieci anni i tuoi amici del paese? Ho visto che le responsabilità li portano molto spesso a pensare di più a farsi una vita piuttosto che a crearsene una secondo i loro gusti. Riescono a progettare a lungo termine ma per farlo, spesso, sono costretti a rinunciare a ciò che li potrebbe far stare meglio.
Come sei visto da cuoco italiano all’estero? Solo per essere italiano quando arrivi in un posto parti con dei punti in più grazie alla tradizione culinaria che accompagna il nostro paese ed è per questo che vieni visto in maniera non molto positiva dai colleghi che potrebbero rimetterci. Oltre a ciò è importante dire che, se i datori di lavoro ci vedono di buon occhio, è anche dovuto dal lavorare molto senza chiedere tanto: sappiamo sacrificarci ed adattarci alle situazioni in maniera flessibile.
La cosa più strana che ti è capitato di vedere? Potrei dirtene migliaia! Da uscire una sera per una birra e tornare dopo tre giorni, dal vedere uomini e donne appartarsi dentro celle frigorifere, a fare risotti per 200 persone, o pulire 50 kg di capesante in 3 ore, fino alle nuove tecnologie in cucina che ti permettono di dare il colore che preferisci ai cibi o di scaldare la mozzarella facendola divenire liquida senza che mai diventi filosa grazie ad una sostanza di ultima generazione!

REALTA' SOMMERSE




Storia della realizzazione completamente indipendente di un videoclip musicale


I Nowhere Crowd sono un progetto musicale atipico per la scena locale. Fuori dagli schemi sia per il metodo di composizione che per il modo di procedere. I ragazzi, come loro primo passo, hanno realizzato un videoclip per la regia di Cristian Tomassini. Silvio, Francesco e Cristian ci hanno raccontato come è nata questa “folle idea”, dimostrandoci come sia possibile realizzare un ottimo prodotto con pochi mezzi ma con tanta passione e voglia di fare.

Chi sono i Nowhere Crowd?
S: I Nowhere Crowd, più che gruppo musicale, ci piace definirli “open project”. Siamo cinque musicisti (un batterista, un tastierista, un bassista e due chitarristi) che lavorano a progetti, scrivono, compongono e registrano musica; inoltre curiamo in prima persona il lato artistico e la produzione della nostra musica. Non siamo una vera e propria band, bensì un progetto che nasce a settembre 2009 e deriva da altri progetti diversi. Non abbiamo un cantante fisso come tutte le band, ma cantanti turnisti, che vengono a darci una mano nei singoli progetti.
Quando e perché nasce l’idea di un videoclip musicale?
F: L’idea nasce dal fatto di aver provato in passato le classiche esperienze dei musicisti locali: suonare in giro, registrare dei demo o degli album… e aver visto come siano inefficaci. Abbiamo deciso di sperimentare perciò nuovi canali per farci conoscere.
S: Il tutto è nato in modo naturale e non programmato. Il pezzo è stato scritto senza forzature, senza la ricerca della commercialità, senza l’intenzione di abbinarci un video. Il video è nato subito dopo, quando abbiamo steso il testo.
F: Ci siamo detti: lavoriamo in proprio sulle canzoni, siamo in grado di farlo? Siamo dotati di quel minimo di strumentazione necessaria che ormai, grazie alla grande diffusione dei computer, è divenuta accessibile a tutti e abbiamo pensato: siamo in grado di fare un prodotto vendibile, apprezzabile? Ci siamo risposti di sì, abbiamo fatto i nostri esperimenti, ci siamo comprati la nostra attrezzatura, abbiamo constatato che il risultato poteva essere soddisfacente e abbiamo deciso di fare così: anziché aspettare di avere pezzi per un cd completo che non comprerebbe comunque nessuno, pubblichiamo canzone per canzone, sfruttiamo la velocità del brano per quelle che sono le dinamiche di internet; butti il singolo sui social network, lo fai girare un mese e nel frattempo lavori ad un secondo pezzo.
Quindi il pezzo lo avete registrato voi da soli?
F: Sì, il pezzo è fatto totalmente “in casa”.
Come siete arrivati poi al contatto con Cristian per il videoclip?
S: Ci siamo informati se fosse possibile realizzare un video, abbiamo girato parecchie case di produzione di video locali, ma le cifre erano altissime e nemmeno il modus operandi ci piaceva, perché tutti quanti ci han detto: dateci il soggetto, diteci quando volete iniziare le riprese e noi facciamo tutto. Non c’era la collaborazione che noi cercavamo, il lavorare insieme sul progetto, c’era un lavoro per cui tu sei il cliente che paga per un servizio. Noi invece volevamo essere parte attiva anche della lavorazione del videoclip. Alla fine ho mostrato agli altri ragazzi i lavori precedenti di Cristian, sono piaciuti e l’abbiamo contattato.
C: I ragazzi mi hanno contattato e io gli facevo tutto: preproduzione, postproduzione, regia, fotografia… L’idea della band era di collaborare parecchio a livello visivo: nella testa di Silvio c’era già tutto da questo punto di vista, c’era la sceneggiatura, il soggetto. Naturalmente alcuni espedienti, alcune trovate sono venute durante le riprese.
Svelaci alcuni trucchi del mestiere? Come avete fatto ad ottenere certi effetti?
C: Tutte le finestre che si muovono da sole o le cose che si rovesciano sulla tavola sono ottenute tramite fili da pesca tirati dai ragazzi nascosti in vari punti della stanza. La scena in cui trema tutto stile terremoto è ottenuta in postproduzione e con la fotografia. Una curiosità: la scena in cui le cose sulla tavola esplodono tirate dai fili doveva essere un buona la prima, perché c’era del vino rosso che si rovesciava e una volta sporcata la tovaglia bianca non si poteva più far niente. Abbiamo girato la scena, ma io mi son scordato di registrarla e alla fine ce la siamo cavata perché il vino era talmente diluito che la macchia dopo pochi minuti era scomparsa. L’effetto della bambina che entra nella tv è ottenuto col cosidetto green screen (schermo verde): un filtro del computer fa diventare il verde trasparente, dando così l’impressione che ci sia un buco. Anche questo è un effetto low cost: l’abbiamo ottenuto semplicemente comprando del cartoncino verde. Sembra che la bambina entri nella tv mentre in realtà entra in una scatola di cartone verde. Il sangue era top all’amarena e top al cioccolato.
S: Anche nella costruzione dei materiali abbiamo lavorato assieme, ad esempio abbiamo costruito da soli parti dell’attrezzatura come il crane (la gru che sposta la telecamera nda), o il generatore di ombre costruito coi lego technic.
C: Grazie alla postproduzione poi si riesce ad ottenere un buon lavoro, si aggiungono gli effetti giusti per rendere il tutto non pacchiano ma competitivo, altrimenti ci vogliono una valanga di soldi.
Quali sono state le location?
C: La sala prove del centro giovanile, dove sono girate le scene col cantante, la casa di Gargiulo (il chitarrista della band nda) e della sorella (l’attrice all’inizio, la mamma della bambina nda), in cui abbiamo ambientato le scene con la bimba, e il fury a Camazzole, che ha ospitato invece le parti col gruppo.
Vi siete occupati voi stessi dell’allestimento delle scene?
C: In tutto quello che era la produzione, quindi anche allestire le location, la band si è arrangiata, risparmiando quello che sarebbe stato necessario dare ad altri per fare lo stesso lavoro.
F: Gli unici aiuti esterni sono stati Roberto Sechi per le luci, Roberto Fiori per la fotografia, Marta Rambaldi per il trucco… oltre naturalmente agli attori.
Avete fatto proprio tutto autonomamente… 
S: Sì, ci siamo accorti con la nostra esperienza musicale precedente che ogni volta che affidi il tuo progetto a qualcun altro rischi di non essere soddisfatto alla fine, rischi di non riuscire a sviluppare la tua idea originale a pieno. Con Cristian ci è piaciuto lavorare perché siamo riusciti a realizzare l’idea che avevamo all’inizio. Ci siamo occupati inoltre della promozione, cioè di pubblicizzare il videoclip. Il sito del gruppo (www.nowherecrowd.com) per esempio è stato fatto da Francesco, che è un esperto del settore. Si tratta di un mini sito cinematografico. Ci siamo creati un profilo facebook, il myspace e ci siamo fatti i nostri contatti. Anche della grafica e dei costumi ci siamo occupati noi.
La parola d’ordine mi pare di capire è stata: tutto ciò che possiamo fare da soli facciamolo!
C: Certo! Il cinema, così come la musica, si possono benissimo fare anche con pochi mezzi, bastano tanta passione e tanta voglia di fare. E poi, al giorno d’oggi, con i passi in avanti della tecnologia e la sua diffusione chiunque sia in grado di usare un computer può fare un sacco di cose.
S: Con la conoscenza, con la fatica che si fa, si può sopperire a tutto ciò che altrimenti si pagherebbe.
Quali sono i principali riferimenti del videoclip? Da cosa siete stati influenzati?
S: Sicuramente Nightmare. Da quel film è stata presa l’idea dell’uomo nero che aspetta la bambina, l’idea del sogno malato della bambina stessa ed alcuni elementi che appaiono nel videoclip.
C: Per quanto riguarda me l’elemento tv è tratto dal film di Cronenberg Videodrome: la tv intesa come ciò che ci plasma, che influisce sulle nostre menti. La presenza della bambina poi può richiamare molti film, da L’esorcista a Shining, a The Ring.
In quanto tempo è stato girato il videoclip?
F: Le riprese sono state fatte in quattro giorni.
C: Siccome però si poteva girare sostanzialmente solo il sabato e la domenica a causa degli impegni di tutti, complessivamente le riprese son durate due mesi. Quattro giorni è comunque un tempo molto breve rispetto a quelli soliti. In ogni location, non avendo una troupe, ci sono un’infinità di cose da fare. Anche la preproduzione, cioè segnare cosa serve e decidere le location, è stata fatta in quattro giorni. La postproduzione e il montaggio li ho fatti col computer nella mia cameretta i mesi seguenti le riprese.
S: Il tutto ha avuto inizio a Gennaio ed è finito a inizio Giugno. Il videoclip  è stato pubblicato il 21 Giugno.
Il prossimo passo?
S: La pubblicazione del video è solo l’inizio.
F: Non c’è una strada consolidata per fare promozione. Abbiamo pensato a tutte le piattaforme di distribuzione potenzialmente interessanti: social network, webzine (magazine on-line), giornali, radio on-line, radio vere e proprie, tv on-line… Il nostro mercato non è nazionale, abbiamo fatto un prodotto per l’estero. Tutte le idee che ci vengono per fare pubblicità cerchiamo di sfruttarle. Abbiamo stampato 10000 volantini con la locandina del video e li distribuiamo in giro.  Sul sito c’è la possibilità di scaricare delle cose in più: la versione del pezzo non compressa, quindi di qualità superiore rispetto al formato mp3, il video per cellulare, wallpaper… e tutto gratuito, l’unica cosa che chiediamo in cambio è un indirizzo email per avere contatti.
Una domanda per Cristian: quali sono le differenze maggiori tra girare un cortometraggio e un videoclip musicale?
C: Quando inizi a fare corti la prima cosa che non hai sono gli attori, di conseguenza non si hanno neppure i dialoghi. Perciò, siccome non avevo la possibilità di trovare attori professionisti, ho giocato sulla musica e sulle immagini: quindi i miei primi corti erano sostanzialmente dei clip, il taglio era già quello dei video. Io avevo già dei videoclip in mano poiché quando sovrapponi musica ed immagini quello che ottieni non è nient’altro che un videoclip. I clip sono belli da fare perché non hai il problema dell’audio: sai che sotto c’è la canzone e puoi sbizzarrirti mettendo praticamente qualunque cosa ti venga in mente, non hai connessione audio, non ci sono i dialoghi, è molto più semplice e molto più espressivo perché puoi metterci in pratica di tutto. D’altra parte il videoclip sta rivoluzionando la stessa tecnica cinematografica; ormai moltissimi film adottano il taglio e le tecniche dei video musicali.
Progetti per il futuro?
S: Vogliamo pubblicare altri singoli, uno alla volta, sullo stile di quanto fatto con questo primo pezzo.
F: Il prossimo step è quello di fare canzoni in modo da avere un Ep che sarà possibile preordinare e ordinare ad un prezzo simbolico. Rilasceremo le canzoni gratuitamente fino alla realizzazione dell’Ep; poi quando questo sarà pronto butteremo fuori il pacchetto completo per chi è desideroso del feticcio cd. Crediamo ormai che il cd stia per morire, soprattutto per una band emergente non ha senso puntare su un cd.
C: Sta per essere pubblicato un cortometraggio, girato insieme ad un ragazzo di Padova, dal titolo “La crisi”, con attori professionisti e con una troupe vera e propria, ma anche con la partecipazione e l’aiuto dei Nowhere Crowd (Francesco fa il fonico, Silvio ha fatto la comparsa). È stata un’esperienza straordinaria! La mia prima esperienza professionale, anche se sempre indipendente. Abbiamo finito le riprese, ora dobbiamo finire il montaggio, a Settembre dovrebbe uscire. Il cinema è comunità, gente che suda e fatica insieme, e ce n’è tantissima appassionata pronta a sacrificare tempo ed energie per il cinema. Quando dici alla gente che fai cinema o musica o cose di questo genere sembra che tu stia giocando, invece è lavorare sodo: per “La crisi” abbiamo lavorato 15 ore al giorno!