lunedì 3 maggio 2010

DAL FIUME AL MARE



Intervista ad Irene



Ciao Irene, dove ti trovi e cosa fai?
Vivo a Praga da un anno e mezzo, sono insegnante di lingua e cultura italiana all'Istituto italiano di Cultura di Praga.
Dopo un Master in Didattica dell'italiano mi sono chiesta: e adesso? Praga è arrivata sul mio cammino in maniera casuale, non avevo mai considerato la possibilità di viverci, semplicemente ho inviato il mio curriculum come in molti altri posti, ho passato un colloquio di selezione e mi sono detta: perché no?
Quali sono stati i motivi principali che ti hanno spinta a trasferirti all’estero?
La scelta di vivere all'estero è stata dettata da motivi differenti: da una parte la maggior facilità di svolgere il mio lavoro all'estero in quanto insegnante di italiano per stranieri, dall'altra la grande difficoltà attuale di inserirsi nel sistema d'insegnamento pubblico in Italia. Inoltre la possibilità di vivere all'estero mi ha da sempre incuriosita e attratta, trovo infatti che sia una grande opportunità poter ricevere nuovi stimoli, vedere, toccare, sentire, sperimentare e anche scontrarsi con cose nuove.
Com’è Praga vista con gli occhi di una ragazza italiana che ci vive?
Vivere all'estero non è sempre facile, nonostante la Repubblica Ceca sia a soli 900 km da Carmignano le differenze culturali si fanno notare. Generalmente gli italiani identificano la Repubblica Ceca con Praga, i locali notturni con annessi e connessi e la birra a fiumi. Non voglio certo dire che questo non sia vero, anzi, ma Praga è una città di un milione e mezzo di abitanti, il centro culturale e politico della Repubblica Ceca ed è sicuramente una città molto dinamica ed attiva. In giro per la città ci sono centinaia di teatri, manifestazioni, eventi, concerti e festival interessanti, solo che non bisogna cercarli tra le folle di turisti a Piazza San Venceslao. Come spesso capita, la Praga turistica non è l'animo di Praga, anche se la città vive di questo e sa bene come spremere i turisti.
Se da una parte quindi le opportunità di fare qualcosa di nuovo o di intraprendere una qualsiasi esperienza non mancano, come in ogni grande città c'è anche l'altra faccia della medaglia. Qui manca la familiarità e il contatto umano di persone che sono cresciute insieme a te, non esiste il senso di una comunità che ti sostiene e ti appoggia: un esempio molto banale è che nessuno conosce i propri vicini di casa o non ci si può aspettare di incontrare un amico casualmente per strada o al bar e fare quattro chiacchiere, senza contare che la mentalità ceca è parecchio diversa dalla nostra.
E come sono i cechi? È stato difficile rapportarsi con loro?
Generalmente i cechi tendono ad essere riservati e introversi, quando conoscono una persona hanno bisogno di prendere le misure e di stabilire un contatto krok za krokem (passo dopo passo), ma quando si diventa amici, la loro amicizia non è mai superficiale, anche se bisogna considerare che la fase di limbo può durare molto a lungo! I cechi inoltre amano organizzare tutto per tempo, pianificano gli eventi, anche gli incontri al bar con gli amici, e per questo possono sembrare poco spontanei e all'inizio per uno straniero è un po' disorientante. Un'altra cosa fondamentale per loro è la natura, le escursioni, i boschi e la loro casa di campagna, ogni ceco ha una chata fuori città, adorano le montagne e gli sport invernali. Insomma sono un po' degli orsi selvatici, ma sicuramente dal cuore buono!
Alla fine ti ritieni soddisfatta della tua scelta? Pensi di tornare “a casa” o di rimanere all’estero?
Il segreto di vivere fuori dal proprio paese, in base a quanto ho potuto apprendere attraverso la mia esperienza, sta nel ricreare una micro-comunità con cui condividere esperienze, idee, emozioni. A Praga, dopo una fase inospitale in cui ho dovuto cercare il mio spazio, ho trovato un equilibrio e una rete sociale che mi sorregge e per ora non penso di ritornare in Italia. Conoscendo la mia indole so anche che mi piacerebbe sperimentare altri posti e altre culture, fermo restando che non rinuncerei mai al mio lavoro, perché sono riuscita ad ottenere proprio quello che volevo, un lavoro dinamico, creativo, indipendente e autogestibile, che mi dà la possibilità di stare con la gente e spesso di conoscere persone straordinarie.
Insomma, vivere all'estero comporta sempre una scelta, il dilemma è decidere tra appartenere o andare, con i piaceri e i dispiaceri che accompagnano entrambe le possibilità. Fare un'esperienza all'estero è sicuramente formativa a 360 gradi, bisogna provare per conoscere e come dice Kureishi “se non si lasciasse niente o nessuno non ci sarebbe spazio per il nuovo” (da “Nell'intimità”).

UNA RADIO LIBERA A CARMIGNANO NEGLI ANNI '70


La sede della Radio nel garage di Ceo Pajaro



Alla fine degli anni settanta, tra Carmignano e Fontaniva, nasceva una radio libera che avrebbe tenuto compagnia a moltissimi ascoltatori fino all’inizio del decennio successivo. Siamo andati ad incontrare (Anna Agugiaro) una delle fondatrici e speaker di questa radio che era nota col nome di Radio Riviera Brenta.

Quando e dove nasce Radio Riviera Brenta?
La radio nasce nel 1976 dalla passione e dalla voglia di stare insieme di un giovane gruppo di amici di 16-17 anni. Il nome ovviamente è stato scelto per la nostra collocazione: la riviera del Brenta, per l’appunto. Esisteva anche un adesivo della radio: il ponte sul fiume in giallo e lo sfondo blu. La prima sede è stata il garage di “Ceo Pajaro”: c’era un tavolo con i due piatti per i dischi, il microfono e un registratore. Dalla vetrata si godeva un panorama molto rustico: il prato sul retro del bar e le galline che vi gironzolavano. A noi piaceva, rispecchiava la genuinità della radio e di noi ragazzi. Era tutto molto tranquillo, naturale, amatoriale… casereccio direi. Dopo un paio d’anni il quartier generale si è spostato al di là del ponte, a Fontaniva, a casa di Curzio Zancan, il vero e proprio fondatore e “tecnico” della radio, e qui continua a vivere ancora per due anni circa.
Come funzionavano le trasmissioni della radio? C’erano delle rubriche fisse?
La radio andava in onda tutti i giorni, dal lunedì al sabato. La mattina era Curzio che di solito andava in diretta, oppure metteva una cassetta registrata. Dalle due di pomeriggio iniziavano le rubriche: il radiogiornale, il programma per bambini, l’oroscopo, la trasmissione che si occupava di musica italiana e quella che invece mandava in onda solo canzoni straniere… Io ad esempio mi occupavo del programma per i bambini e dell’oroscopo. A volte ho condotto anche il radiogiornale, il quale, in sostanza, consisteva nel leggere semplicemente le notizie dai quotidiani, ma talvolta al suo interno trovavano spazio anche notizie del borgo, o fatti scherzosi, spesso di presa in giro tra noi speaker. Ogni rubrica durava circa un’ora e andava in onda in un giorno fisso, che di solito era quello in cui lo speaker che se ne occupava non aveva altri impegni. Al massimo, se qualcuno non poteva una volta, veniva sostituito. Era tutto volontariato, nessuno veniva retribuito per ciò che faceva; tutti partecipavano per pura passione, per la voglia di stare insieme e perché era una novità divertente e stimolante. Ciascuno si preparava quello che voleva per la sua ora di trasmissione e andava, in assoluta libertà e seguendo i suoi gusti.
Una radio libera in tutti i sensi insomma…
Assolutamente sì! Non c’era uno specifico indirizzo musicale, ognuno si preparava la sua scaletta, seguendo i suoi gusti personali e senza che nessun altro controllasse prima ciò che sarebbe stato trasmesso. Soltanto una volta fummo costretti ad intervenire per “censurare” un nostro amico che, appassionatissimo di Claudio Baglioni, trasmetteva esclusivamente le sue canzoni. Ma fu un’eccezione. Anche diventare speaker era semplicissimo: bastava chiedere a Curzio il quale ti diceva di prepararti chè il giorno dopo avresti avuto un’ora tutta tua. Nessun provino perciò, la radio era aperta a tutti, più volontari c’erano meglio era, così magari si poteva andare avanti a trasmettere la sera qualche ora in più. Non avevamo vincoli, gestivamo la radio come potevamo, secondo le nostre possibilità e sempre in modo totalmente volontario.
Com’era il rapporto con gli ascoltatori? Avete ricevuto apprezzamenti o critiche particolari?
Abbiamo sempre avuto un bel seguito di pubblico, nonostante non ce l’aspettassimo. Riuscivamo a coprire un raggio di circa 35-40 km con le trasmissioni, perciò ci potevano ascoltare fino al di là di Padova. Una sera, ad esempio, siamo stati invitati a cena, per fare conoscenza, da una famiglia di nostri fan residente in un paese subito dopo Padova. Abbiamo sempre ricevuto molti attestati di stima, non mi ricordo critiche; non abbiamo mai invaso il campo di nessuno e quindi non c’era motivo per cui la radio dovesse spiacere a qualcuno. Inizialmente, quando trasmettevamo da Ceo, non avevamo il telefono, quindi l’unico mezzo attraverso il quale gli ascoltatori potevano mettersi in contatto con noi, fare richieste, o semplicemente complimentarsi con noi, era la lettera. Ce ne arrivavano parecchie, specie di bambini. Col passaggio della sede a casa di Curzio era arrivato anche il telefono e riuscivamo a fare anche programmi in diretta col pubblico che chiamava e faceva le sue dediche. Inoltre, abbiamo organizzato delle feste della radio, che pubblicizzavamo nelle trasmissioni, ma a cui pensavamo di ritrovarci in quattro gatti. Invece ogni volta c’era il pienone. Di solito le feste si svolgevano da Ceo, dove una pasquetta abbiamo addirittura trasmesso in diretta fuori in giardino con tutti i villeggianti intorno, oppure in dei capannoni che ci affittavano. Ma l’evento che forse aveva riscosso maggior successo è stata una gara di ballo che avevamo organizzato a Nove, con primo premio una Cinquecento nuova. Allettati anche dal ricco montepremi, accorsero in moltissimi. Quando fu ora di consegnare coppa e premio alla coppia vincitrice, abbiamo dato loro una banconota nuova di zecca da cinquecento lire. Subito non l’hanno presa benissimo poiché si aspettavano l’auto, ma poi anche loro hanno riso della nostra innocente trovata pubblicitaria per attirare più gente possibile…
Come facevate a sostenervi economicamente?
La radio si manteneva quasi esclusivamente tramite autofinanziamento, che derivava principalmente da queste feste. Poi c’era la pubblicità: gli sponsor comunque erano pochissimi; noi andavamo in giro a cercarne, ma non se ne trovavano molti. La struttura della radio poi, non permetteva di fare chissà che pubblicità: gli “spot” stessi gli ideavamo noi, erano completamente fatti in casa. Un altro modo per fare fondi era organizzare giochi a premio, ma i premi che i negozi ci rifilavano erano per lo più cianfrusaglie orribili che noi stessi ci vergognavamo di mettere in palio. Insomma, non era facile andare avanti, riuscivamo a mala pena a coprire i costi pur essendo tutti volontari.
È per questo motivo che la radio ha chiuso?
Principalmente sì: i costi iniziavano a diventare davvero insostenibili! E poi gli impegni scolastici o lavorativi non ci lasciavano più molto tempo per la nostra passione radiofonica.
Che fine hanno fatto gli speaker di Radio Riviera Brenta?
Sono persone normalissime: chi ha famiglia, chi è restato qui nella zona, chi invece si è trasferito. Nessuno comunque è occupato nel campo radiofonico. La nostra era nata come pura passione, come semplice desiderio di stare fra amici, non è mai stata un lavoro o qualcosa di professionale. La radio era un punto di incontro, come oggi per tanti giovani può essere il bar ad esempio. Spesso ci andavamo anche nei giorni in cui non dovevamo trasmettere, soltanto per stare assieme. Per tutti noi è stata un’esperienza splendida, che ci ha arricchito enormemente, e quando ci ritroviamo ricordiamo sempre con piacere ed allegria, e un po’ di nostalgia, il periodo di Radio Riviera Brenta.

A BORDO DEL CESTINO




Viaggio semiserio attraverso la distribuzione di Fuori Luogo

Il destino di ogni singolo esemplare di Fuori Luogo passa per un cestino. E’ grazie a questo comodo accessorio da bicicletta che la distribuzione diviene ogni volta l’occasione per osservare Carmignano e fare lucide considerazioni con le mani sul manubrio di ciò che ci sta attorno.
Il quartiere Boschi, ad esempio non è molto diverso da una piccola e secca Venezia e sembra studiato per abbattere i desideri di pedalate verso quel ramo del nostro fiume, tant’è che i marciapiedi non fanno parte della cultura “boschiva” ed il quartiere si dona arreso ad auto e furgoni come fa Venezia con traghetti e gondole. E’ così che provare a raggiungere in bici Ceo Pajaro, senza essere costretti a staccare il piede dal pedale in segno di resa, è impresa degna di Binda e Girardengo.
Nulla però in confronto alla presa della libera frazione di Camazzole che, fatta in bicicletta, mette a confronto diretto ciclista e macchina in una giostra in cui i primi, ed a volte anche i secondi, hanno facoltà di scegliere da quale lato della strada partecipare alla tenzone: da sinistra per vedere negli occhi i potenziali investitori, da destra per affrontare al buio i potenziali disarcionatori.
Dove invece gli spazi per ciclisti e pedoni non mancano è il distinto viale Europa in cui, dalla rotonda omaggio al sollevatore di pesi fino al monumento omaggio ai nostri caduti, i viaggiatori a bassa emissione inquinante possono disporre di piste più che sufficienti a preservare la loro sicurezza. Altrettanto non si può dire per la loro digestione, messa a ferro e fuoco dal dunoso progetto dell’Ingegner Dromedari che sembra causare più di un problema di singhiozzo a chi percorre la via nella sua interezza. Rigurgitanti ma almeno vivi, alla meta!
A metà fra i primi due casi ed il terzo si inserisce viale Martiri che porta onore al proprio nome soltanto per un pezzo, quello che dal distributore va verso la statale mentre la parte restante si contorna di piste ciclabili e pedonali rosse mattone che le danno un taglio molto casual e che ben si abbinano allo stile espressionista dell’informe rotonda che alleggerisce la struttura imponente della via.
Percorrere sui pedali il paese regala anche piacevoli sorprese quale la scoperta di come un distributore automatico di latte posizionato in una via centrale ma sempre rilassata come via Don Milani possa diventare un luogo di imprevedibile socialità per il popolo delle bottiglie di plastica e vetro trasparente che si ritrova a fare rifornimento di latte in tutti i diversi momenti del giorno dando luogo a sani riti di condivisione delle abitudini alimentari quotidiane.
Pedalando verso casa ormai col cestino vuoto un ultimo pensiero a tutti coloro che hanno scelto una cassetta per lettere senza coperchio sollevabile che inevitabilmente si troveranno a leggere un Fuori Luogo stropicciato a causa dell’inevitabile sforzo necessario a far entrare il foglio in quell’unico buco così stretto.
A voi e a tutti coloro che sotto elezioni guardano di sbieco mentre infili qualcosa nella loro cassetta senza nemmeno preoccuparsi di accertare che quel che stai portando loro non è pubblicità elettorale dedichiamo i chilometri pedalati coi pesanti cestini colmi da Gennaio fino ad oggi.

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